Francesco all'America Latina: "Politica come alta forma della carità"
di Emanuela Campanile
Politica come “alta forma della carità”. Da questa frase di Papa Francesco, pronunciata nel Videomessaggio in occasione dell’“Incontro dei cattolici nella politica al servizio dei popoli latinoamericani”, il senso e la chiave di lettura di che cosa la Chiesa intenda per “conseguimento del bene comune della società”.
In termini di contrapposizione e facendo riferimento a realtà attuali come “qualche paese dell’America Latina”, Francesco spiega che la politica essendo servizio, “non è serva di ambizioni individuali” o di prepotenze “di centri d’interessi”, “ricadendo addirittura in forme di autocrazia e totalitarismo”.
Da qui, procede il Papa:“Si potrebbe affermare che il servizio di Gesù – che è venuto a servire e non a essere servito – e il servizio che il Signore esige dai suoi apostoli e discepoli è per analogia il tipo di servizio che si chiede ai politici”. “Un servizio di sacrificio e di dedizione - puntualizza - che a volte si possono considerare i politici come “martiri” di cause per il bene comune delle loro nazioni”.
Nell' analisi della realtà attuale, soprattutto rivolgendo il proprio sguardo a quanto vivono alcuni Stati dell’America Latina, Francesco raccomanda la necessità di “riabilitare la dignità della politica” e di recuperare un “dialogo aperto e rispettoso che ricerca le convergenze possibili” piuttosto che sostituirlo con “accuse reciproche e ricadute demagogiche”.
“Non ci accontentiamo della pochezza della politica”, esorta quindi il Papa che invoca la necessità della presenza “di dirigenti politici capaci di mobilitare vasti settori popolari inseguendo grandi obiettivi nazionali e latinoamericani”.
Ma per affrontare le grandi sfide del Continente latino americano, occorre “rafforzare il tessuto familiare e sociale”, promuovendo “una cultura d’incontro” “che si lasci alle spalle le tenaglie dell’individualismo e della massificazione, della polarizzazione e della manipolazione”.
Prendersi cura “della nostra casa comune e dei suoi abitanti più vulnerabili” è “incamminarci verso democrazie mature, partecipative, senza le piaghe della corruzione o delle colonizzazioni ideologiche, o le pretese autocratiche e le demagogie a buon mercato”. “Non possiamo - esorta Francesco - rassegnarci alla situazione deteriorata in cui spesso ci dibattiamo”.
In questa cornice di necessità e di richiami ai più urgenti doveri, il Pontefice aggiunge un ulteriore elemento di riflessione, citando quanto dichiarato da Benedetto XVI nel maggio 2007, in occasione del discorso d’inaugurazione della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano ad Aparecida: “la notevole assenza, nell'ambito politico di voci e di iniziative di leader cattolici di forte personalità e di dedizione generosa, che siano coerenti con le loro convinzioni etiche e religiose”.
Per Francesco,pur riconoscendo numerose “testimonianze di cattolici esemplari sulla scena politica”, rimane centrale una domanda: “com’è possibile che i cattolici appaiano piuttosto irrilevanti nello scenario politico, o addirittura assimilati a una logica mondana?”.
Distinguendo i diversi casi, le difficoltà oggettive e le diverse realtà con cui devono confrontarsi questi credenti, il Papa mette in guardi dal pericolo che “il contributo cristiano all’azione politica si manifesta solo attraverso le dichiarazioni degli Episcopati, senza che si avverta la missione peculiare dei laici cattolici di ordinare, gestire e trasformare la società secondo i criteri evangelici e il patrimonio della Dottrina Sociale della Chiesa”.
Da qui, Francesco spiega le motivazioni della sua preoccupazione sul rischio del clericalismo e sulla tentazione di “pensare che il laico impegnato sia colui che lavora nelle opere della Chiesa e/o nelle cose della parrocchia o della diocesi”.
“Senza rendercene conto - ammonisce - abbiamo generato una élite laicale credendo che sono laici impegnati solo quelli che lavorano in ‘cose di preti’, e abbiamo dimenticato, trascurandolo, il credente che molte volte brucia la sua speranza nella lotta quotidiana per vivere la fede. Sono queste le situazioni che il clericalismo non può vedere, perché è più preoccupato a dominare spazi che a generare processi”.
“Come pastori, uniti al nostro popolo - conclude - ci fa bene domandarci come stiamo stimolando e promuovendo la carità e la fraternità, il desiderio del bene, della verità e della giustizia e come facciamo a far sì che la corruzione non si annidi nei nostri cuori”. Persino nei nostri cuori di Pastori. E, al tempo stesso, "ci fa bene ascoltare con molta attenzione l’esperienza, le riflessioni e le preoccupazioni che possono condividere con noi i laici che vivono la loro fede nei diversi ambiti della vita sociale e politica”.
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