Papa: futuro dell'Asia non di chi costruisce armi ma fraternità
di Giada Aquilino
Chi non soffre con il fratello sofferente, “anche se è diverso da lui per razza, per religione, per lingua o per cultura”, deve interrogarsi sulla sincerità della sua fede e sulla sua umanità. Nell’udienza generale in Aula Paolo VI, Francesco torna con la memoria al recente viaggio in Myanmar e Bangladesh e, anche nei saluti nelle varie lingue, in particolare in quelli in arabo, si dice “molto toccato” dall'incontro con i rifugiati Rohingya, ricordando che ha chiesto loro il perdono “per le nostre mancanze e per il nostro silenzio”, chiedendo alla comunità internazionale “di aiutarli e di soccorrere tutti i gruppi oppressi e perseguitati presenti nel mondo”. Pure nella catechesi si sofferma sull’incontro con queste popolazioni affluite “in massa” in Bangladesh, in un territorio peraltro “dove la densità di popolazione è già tra le più alte del mondo”.
Dopo i ringraziamenti alle autorità e ai vescovi dei due Paesi asiatici per l’invito a visitarli, Francesco sottolinea il primo viaggio di un Papa inMyanmar, grazie alle relazioni diplomatiche stabilite. Quindi pensa alla popolazione locale che “ha sofferto a causa di conflitti e repressioni, e che ora sta lentamente camminando verso una nuova condizione di libertà e di pace”. Tra questa gente la religione buddista è - evidenzia - “fortemente radicata” e i cristiani sono un “piccolo gregge”: quella chiesa “viva e fervente”, ricorda il Pontefice, ha confermato “nella fede e nella comunione” nell’incontro con i vescovi e nelle due celebrazioni eucaristiche. Una è stata occasione di sottolineare che “le persecuzioni a causa della fede in Gesù sono normali per i suoi discepoli, come occasione di testimonianza, ma - citando il Vangelo di Luca - che ‘nemmeno un loro capello andrà perduto’”. L’altra è stata dedicata ai giovani.
“Nei volti di quei giovani, pieni di gioia, ho visto il futuro dell’Asia: un futuro che sarà non di chi costruisce armi, ma di chi semina fraternità”.
Quindi Francesco rivive la benedizione delle prime pietre di 16 chiese, del seminario e della nunziatura, per poi passare all’incontro con le autorità del Myanmar e all’incoraggiamento per “sforzi di pacificazione”, auspicando che “tutte le diverse componenti della nazione, nessuna esclusa, possano cooperare a tale processo nel rispetto reciproco”. Del saluto ai rappresentanti delle diverse comunità religiose, il Papa ricorda quello al Supremo Consiglio dei monaci buddisti, la “stima” della Chiesa per la loro antica tradizione spirituale e la fiducia “che cristiani e buddisti possano insieme aiutare le persone ad amare Dio e il prossimo, rigettando ogni violenza e opponendosi al male con il bene”.
In Bangladesh, dove - aggiunge il Pontefice - la popolazione è in grandissima parte di religione musulmana, la sua visita ha segnato un “ulteriore passo in favore del rispetto e del dialogo tra il cristianesimo e l’islam”. D’altra parte, prosegue, la Santa Sede ha sostenuto “fin dall’inizio” la volontà del popolo bengalese di costituirsi come nazione indipendente, come pure l’esigenza che in essa sia “sempre tutelata la libertà religiosa”.
Ricorda la Messa a Dhaka con l’ordinazione di sedici sacerdoti, uno degli eventi - assicura - “più significativi e gioiosi del viaggio”. E ringrazia Dio, aggiunge, perché in quelle zone d’Asia “le vocazioni non mancano, segno di comunità vive, dove risuona la voce del Signore che chiama a seguirlo”. Ha incontrato poi i vescovi, incoraggiandoli “nel loro generoso lavoro per le famiglie, per i poveri, per l’educazione, per il dialogo e la pace sociale”, come pure religiosi e consacrati del Paese, assieme ai seminaristi, novizie e novizi, “germogli della Chiesa”.
Francesco non dimentica il “momento forte di dialogo interreligioso ed ecumenico” nella capitale del Bangladesh, segno di “apertura del cuore come base della cultura dell’incontro, dell’armonia e della pace”. Un pensiero speciale va alla “Casa Madre Teresa”, dove la santa alloggiava quando si trovava a Dhaka, che accoglie orfani e persone con disabilità.
“Là, secondo il loro carisma, le suore vivono ogni giorno la preghiera di adorazione e il servizio a Cristo povero e sofferente. E mai, mai manca sulle loro labbra il sorriso: suore che pregano tanto, che servono i sofferenti e continuamente con il sorriso. E’ una bella testimonianza. Ringrazio tanto queste suorine".
Quindi il pensiero finale per i giovani bengalesi, di cui ricorda specialmente le danze. “Sanno danzare bene! Una festa che ha manifestato la gioia del Vangelo accolto da quella cultura; una gioia fecondata dai sacrifici di tanti missionari, di tanti catechisti e genitori cristiani. All’incontro erano presenti anche giovani musulmani e di altre religioni: un segno di speranza per il Bangladesh, per l’Asia e per il mondo intero”.
Infine, salutando i pellegrini polacchi, ringrazia in particolare coloro “che si sono impegnati per donare e portare in Piazza San Pietro” il bellissimo albero di Natale e ricorda che domenica prossima in Polonia si celebra la Giornata di Preghiera e di Aiuto alla Chiesa dell’Est”: “affido a Dio quest’opera, segno della sollecitudine per il sostegno dei fedeli e dei pastori dei Paesi confinanti”.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui