Papa Francesco ai vescovi: parlate la lingua del popolo di Dio
Benedetta Capelli - Città del Vaticano
Essere vescovi sulle orme di san Toribio di Mongrovejo, l’uomo che ha saputo arrivare all’altra sponda, che ha toccato i cuori del suo popolo, che è stato padre, pastore, amato a tal punto che ad accompagnarlo nelle braccia di Dio fu la musica del flauto di un aborigeno: ultimo atto di devozione dei suoi figli. Papa Francesco sceglie, nell’incontro con i vescovi a Lima, di ripercorrere la vita del “nuovo Mosè” per dare linfa vitale al mandato dei presuli.
Vescovo di strada
In cerca dei lontani e dei dispersi - spiega il Pontefice – san Toribio passò 18 dei suoi 22 anni di episcopato percorrendo per tre volte il territorio di sua competenza, perché convinto che la testimonianza di pastore accanto al suo gregge fosse la prima espressione dell’evangelizzazione:
Un vescovo con le suole consumate dal camminare, dall’andare incontro per «annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno». Come sapeva bene questo san Toribio! Senza paura e senza repulsioni si addentrò nel nostro continente per annunciare la Buona Notizia.
Parlare la lingua del popolo
Centrale nel suo magistero fu il terzo Concilio di Lima nel quale dispose che i catechismi fossero tradotti in alcune lingue locali. Per lui era necessario imparare il linguaggio della gente perché solo così il Vangelo poteva penetrare nei cuori. Un insegnamento – sottolinea il Papa – attualissimo per i pastori di oggi, chiamati ad imparare un linguaggio nuovo, come ad esempio quello digitale, per arrivare alle giovani generazioni e far sì che “la fede metta radici” in loro:
Occorre arrivare lì dove si generano i nuovi temi e paradigmi, raggiungere con la Parola di Dio i nuclei più profondi dell’anima delle nostre città e dei nostri popoli. L’evangelizzazione della cultura ci chiede di entrare nel cuore della cultura stessa affinché questa sia illuminata dall’interno dal Vangelo.
Evangelizzare con carità e giustizia
San Toribio non taceva dinanzi alle ingiustizie, ai soprusi e alla corruzione. “Così ci mostra il pastore – spiega Francesco - che sa come il bene spirituale non possa mai essere separato dal giusto bene materiale e tanto più quando è messa a rischio l’integrità e la dignità delle persone”.
E in questo modo sa ricordare all’interno della società e delle comunità che la carità va sempre accompagnata dalla giustizia e non c’è autentica evangelizzazione che non annunci e denunci ogni mancanza contro la vita dei nostri fratelli, specialmente dei più vulnerabili.
Una Chiesa chiamata ad essere madre feconda
Altra preoccupazione per san Toribio era la formazione dei sacerdoti nativi perché “era necessario – evidenzia il Papa - che la Chiesa potesse generare propri pastori locali” e diventare madre feconda. Difese l’ordinazione dei preti meticci, fu loro fedele amico, visitandoli e prendendosene cura.
L’amore per essere uniti
Pur non negando le tensioni, le diversità ed i conflitti, il vescovo insegnò a dialogare in modo onesto e sincero, invitando a non restare prigionieri di divisioni ma perseguendo nuove strade. Una via che anche oggi va battuta.
Cari fratelli, lavorate per l’unità, non rimanete prigionieri di divisioni che riducono e limitano la vocazione alla quale siamo stati chiamati: essere sacramento di comunione. Non dimenticate che ciò che attirava nella Chiesa primitiva era come si amavano. Questa era – è e sarà – la migliore evangelizzazione.
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