P. Aguilar: Papa in Perù uno tsunami dello Spirito
Amedeo Lomonaco - Lima
Il viaggio apostolico di Papa Francesco in Perù si è appena concluso con la cerimonia di congedo, preceduta dalla Santa Messa nella base aerea Las Palmas. Per ripercorrere questi intensi giorni di visita pastorale, l'intervista a Lima al coordinatore nazionale Migrantes per la comunità peruviana in Italia, padre Emerson Campos Aguilar
R. – C’è stato uno “tsunami peruviano”. Facendo un paragone con la Colombia e il Cile, credo che la risposta del Perù abbia generato uno “tsunami” totale dello spirito: forse perché si trova nel mezzo di una terra di santi. Per questo credo che resti in noi una grande sfida: “fare carne” la parola del Papa.
D. – Volendo ricordare e sintetizzare questo viaggio apostolico, lei che immagini e che parole userebbe proprio per ricordare questi giorni di visita apostolica di Papa Francesco in Perù?
R. – In Madre di Dio c’è stata la sua Enciclica. Lì ha toccato il tema ecologico nella sua interezza: l’ecologia umana e il rispetto per la terra. Credo che nella foresta amazzonica, che ha unito più di 400 etnie - in quella varietà - ha saputo dire una parola, a mio parere, profetica: “Tanti hanno parlato di voi; adesso siete voi a parlare”. A Lima si è comportato come un samurai: perché lì ha incontrato le autorità politiche, e ha mostrato loro la responsabilità e la speranza che c’è nel Perù. Ma è una responsabilità che non si sta prendendo in mano, perché ognuno pensa alle sue tasche e non a quell’insieme che si chiama “Perù”. In questo credo che il Papa sia stato molto forte e chiaro. Invece, a Trujillo ha toccato il mondo del dolore. In quell’occasione credo di poterlo identificare con la sua Enciclica “Evangelii gaudium”, perché ha toccato il popolo semplice, il popolo che dietro ad un’icona fa vedere l’unità della sua fede. Convinto, convince. Poi ognuno tornerà a casa con qualcosa che ha visto, che ha toccato. Questa è l’evangelizzazione orale, e il Papa ci chiede di custodirla. E l’Angelus è stata una sintesi di quello che lui vuole: che noi peruviani dobbiamo specchiarci in quella che è stata la nostra storia. San Martin de Porres è la figura più bella per capire la santità. È un uomo che ha avuto tanti condizionamenti, per il colore della pelle, la discendenza… E invece per Dio non esiste tutto questo: Dio è aldilà di questi limiti. Questo è stato un messaggio molto chiaro e pieno di speranza, e credo che il popolo peruviano non lo dimenticherà mai.
D. – Cosa resterà di questo viaggio, e quali frutti porterà? Cosa può sperare il Perù?
R. – Io spero che venga una “primavera vocazionale”. Il Papa è stato molto chiaro quando ha detto: non abbiate paura di fare un passo in avanti, di seguire Gesù. E lo ha detto pubblicamente; ha domandato in piazza: “Volete seguire Gesù?”. Lui ha detto: “Sì, ma non un giorno, sempre!” Credo quindi che abbia risvegliato nei ragazzi, nei giovani, la speranza. E poi penso che sia stato un invito a essere cristiani della Pasqua domenicale. Ha messo il centro Cristo, pilastro della nostra fede. E poi dobbiamo lavorare come uomini e donne di fede in ogni campo. Penso che sia questa la sfida: mettere in pratica le parole che il Papa ha detto. Ma dobbiamo impegnarci per farlo. Qui, noi sacerdoti, abbiamo tanto da fare perché sia così.
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