Francesco: le nostre vocazioni hanno radici nella terra e cuore nel cielo
Emanuela Campanile - Città del Vaticano
E’ con la “Memoria” e con le virtù che da lei nascono, che “ci si sostiene nel corso del tempo e della storia per crescere verso l’alto e portare frutto”. Nelle parole di Francesco ai sacerdoti, religiosi e seminaristi incontrati al ‘Colegio Seminario’ di Trujillo, la grande consapevolezza che: la memoria si rivolge al passato per trovare la linfa che ha irrigato nei secoli il cuore dei discepoli, e in tal modo riconosce il passaggio di Dio nella vita del suo popolo. Memoria della promessa che Egli ha fatto ai nostri padri e che, quando rimane viva in mezzo a noi, è causa della nostra gioia e ci fa cantare: ‘Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia’.
Ed è proprio da questo “essere ricchi di memoria”, spiega il Papa, che scaturiscono virtù come “La gioiosa coscienza di sé”, “L’ora della chiamata” e “La gioia contagiosa”.
La gioiosa coscienza di sé
Figura di riferimento per Papa Francesco, è Giovanni Battista che ha profonda coscienza di essere solo colui che “annuncia”:
Giovanni Battista sapeva che la sua missione era indicare la strada, iniziare processi, aprire spazi, annunciare che un Altro era colui che portava lo Spirito di Dio. Noi consacrati, e con consacrati intendo tutti, non siamo chiamati a soppiantare il Signore, né con le nostre opere, né con le nostre missioni, né con le innumerevoli attività che abbiamo da fare. Semplicemente ci viene chiesto di lavorare con il Signore, fianco a fianco.
Ma come combattere la tentazione di sentirsi troppo importanti? Francesco ha un consiglio:
Imparare a ridere di sé stessi ci dà la capacità spirituale di stare davanti al Signore coi propri limiti, errori e peccati, ma anche coi propri successi, e con la gioia di sapere che Egli è al nostro fianco. Due pastiglie: anche una volta basta, guardarsi allo specchio.
Farsi carico dell’ora della propria chiamata
Proseguendo nel suo discorso, e citando il passo del Vangelo di Giovanni in cui l’apostolo ricorda l’ora esatta del proprio incontro con Gesù, Francesco richiama i presenti a fare memoria di quando si è stati “toccati” dallo “sguardo” di Cristo, perché:
Quando ci dimentichiamo di questa ora, ci dimentichiamo delle nostre origini, delle nostre radici; e perdendo queste coordinate fondamentali mettiamo da parte la cosa più preziosa che una persona consacrata può avere: lo sguardo del Signore. Lasciati guardare.
Una chiamata, spiega, che non si può scordare e che nasce da "amore viscerale, amore di misericordia che commuove le nostre viscere per andare a servire gli altri con lo stile di Gesù Cristo". Passo successivo, altrettanto fondamentale per il Pontefice, è ricordare da chi è stata tramandata la fede perché, sottolinea Francesco, “Il Popolo fedele di Dio possiede l’olfatto” e “Sa distinguere chi è ricco di memoria e chi è smemorato”. Da qui, l’invito a "non dimenticare, e tanto meno a disprezzare, la fede semplice e fedele del vostro popolo". "Sappiate accogliere, accompagnare e stimolare - incoraggia il Papa - l’incontro con il Signore. Non trasformatevi in professionisti del sacro che si dimenticano del loro popolo, da dove vi ha tratto il Signore. Non perdete la memoria e il rispetto per coloro che vi hanno insegnato a pregare".
La gioia contagiosa
In questa terza riflessione, la figura evangelica di riferimento è l’apostolo Andrea:
Andrea inizia il suo apostolato dai più vicini, da suo fratello Simone, quasi come qualcosa di naturale, irradiando gioia. Questo è il miglior segno del fatto che abbiamo “scoperto” il Messia. La gioia è una costante nel cuore degli Apostoli, e la vediamo nella forza con cui Andrea confida a suo fratello: “Lo abbiamo incontrato!”. Dunque ‘la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù’.
Ecco, quindi, l’importanza e la necessità di contrastare “in questo mondo frammentato”, l’isolamento e la solitudine:
la sfida per noi è essere artefici e profeti di comunità. Perché nessuno si salva da solo. E in questo vorrei essere chiaro. La frammentazione e l’isolamento non è qualcosa che si verifica “fuori”, come se fosse solo un problema del “mondo”. Fratelli, le divisioni, le guerre, gli isolamenti li viviamo anche dentro le nostre comunità, e quanto male ci fanno!
Nel suo essere chiaro, Papa Francesco prosegue spiegando come “essere artefici di comunione e di unità” significhi “apprezzare” “le differenze, “sapendo che ciascuno, a partire dalla propria specificità, offre il proprio contributo, ma ha bisogno degli altri”. Altra tentazione da combattere, avverte, quella “del figlio unico” che “vuole tutto per sé, perché non ha con chi condividere”:
A coloro che devono esercitare incarichi nel servizio dell’autorità chiedo, per favore, di non diventare autoreferenziali; cercate di prendervi cura dei vostri fratelli, fate in modo che stiano bene, perché il bene è contagioso. Non cadiamo nella trappola di un’autorità che si trasforma in autoritarismo. Grande attenzione di Papa Francesco anche al dialogo tra giovani e anziani sacerdoti. Un dialogo tra diverse generazioni, capace di arricchire gli uni e gli altri e soprattutto di "far sognare" chi è più avanti negli anni.
E' quindi con un sentito invito a vivere nella gioia del servire e dell’ aver incontrato Cristo, che Papa Francesco conclude il suo discorso ricco di riferimenti ad aneddoti personali e storie quotidiane: nel vero e prorio stile che lo contraddistingue.
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