Il parroco di San Gelasio: la visita del Papa è un dono
Amedeo Lomonaco - Città del Vaticano
Cresce l’attesa per la visita pastorale, domani, di Papa Francesco alla Parrocchia romana di San Gelasio I nel quartiere Ponte Mammolo-Rebibbia. Durante la visita, il Pontefice incontrerà i bambini, i ragazzi del catechismo, i giovani dell’oratorio, le famiglie, i malati, gli anziani e i poveri e gli operatori del centro Caritas.
Durante la visita pastorale, è previsto anche il colloquio del Santo Padre con due giovani, di 18 e 25 anni, provenienti dalla Repubblica del Gambia. Dopo la confessione di alcuni parrocchiani, alle 18.00, il Papa presiederà la liturgia eucaristica. La parrocchia è affidata alla famiglia ecclesiale Missione Chiesa-Mondo, una realtà ecclesiale i cui membri si adoperano per promuovere il rinnovamento della pastorale parrocchiale seguendo le piste del Concilio Vaticano II. Istituita nel 1972, la parrocchia di San Gelasio I Papa sorge tra schiere di palazzi,. non lontana dal carcere di Rebibbia. La chiesa di San Gelasio I è assiduamente frequentata da centinaia di fedeli. Sono tantissimi anche i giovani che, quotidianamente, vengono coinvolti in attività di oratorio.
Ad accogliere il Santo Padre ci sarà, tra gli altri, il parroco don Giuseppe Raciti che, ai nostri microfoni, si sofferma sulla realtà della propria parrocchia:
Sono il parroco della parrocchia di San Gelasio, che sarà visitata da Papa Francesco. E’ un dono tanto atteso da questa comunità perché in 46 anni della sua vita non ha mai ricevuto la visita del Papa. La comunità è molto emozionata, in fibrillazione per questo dono. E’ un dono che sta procurando i suoi effetti: si considera la parrocchia casa propria, ci si rimbocca le maniche per pulire, per sistemare, per accogliere il Papa al meglio. Questo è il primo miracolo di questa visita del Papa: la mobilitazione generale della gente scandita da orgoglio e da un senso di appartenenza che la gente sta riscoprendo.
Qual è la realtà di questa parrocchia?
R. - Il quartiere è quello di Rebibbia. Siamo nella periferia romana, vicino al carcere. Questo per noi è un segno, una sfida. Il fatto di essere rinchiusi dentro quelle mura ci può far correre il rischio di disinteressarci della vita di quelle persone che, comunque, consideriamo nostri parrocchiani. Abbiamo cercato in questi anni di interagire con i detenuti, di incontrarli. Siamo anche andati dentro il carcere, abbiamo ascoltato la Parola di Dio insieme con loro. Questa esperienza ci ha molto arricchito, come comunità, per creare i ponti di cui spesso il Papa ci parla. Ponti che oltrepassano le pareti così alte della vita dei detenuti. Questa è una sfida. Poi c’è la sfida della povertà, che vediamo crescere sempre di più. E ci sono gli immigrati che ormai popolano il quartiere. La borgata storica di Rebibbia prima era abitata dai romani. Lentamente, ormai, si sta trasformando e sono molti gli immigrati residenti nel nostro quartiere. E la sfida è questa: cercare di dialogare con loro, accoglierli, cogliere il positivo. Durante la festa di San Gelasio, per esempio, c’è un momento che ormai è diventato una tradizione nella parrocchia. Ed è molto atteso dalla gente. Si tratta della serata multietnica, con la cena multietnica. Gli immigrati presentano i loro cibi, le loro tradizioni e noi interagiamo con loro. Questo è un momento bellissimo.
Saranno presenti dei detenuti durante l’incontro con il Santo Padre?
R. - Ci sarà qualcuno tra quelli in semi-libertà. E ci saranno gli ex-detenuti: qualcuno, ormai, fa parte della parrocchia, nel senso che la frequenta, l’ha frequentata. Abbiamo anche aiutato alcuni a cercare un reinserimento sociale. Piccole cose… Noi non siamo una grande comunità parrocchiale: siamo piccoli, poveri di mezzi e di risorse, ma non di umanità. Siamo carichi di umanità e di cuore. Ed è quello che ci salva in questa parrocchia.
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