Papa su Cure Palliative: curare sempre, anche quando non si può guarire
Debora Donnini-Città del Vaticano
La vocazione più profonda della medicina consiste nel “curare sempre” anche se non sempre è possibile guarire. Questa è l’indicazione della Lettera di Papa Francesco, a firma del cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, ai partecipanti al Convegno sulle cure palliative, organizzato dalla Pontifica Accademia per la Vita.
Il limite: luogo di incontro non di solitudine
La Lettera ruota attorno al senso del “limite” che si sperimenta nei momenti conclusivi della vita. Momenti che suscitano a volte ribellione e angoscia e per questo la società odierna spesso cerca di evitare di confrontarvisi. Le cure palliative, invece, attestano che “il limite” va anche accettato, può diventare “non più luogo di separazione e di solitudine”, ma occasione di incontro. La morte stessa “viene introdotta in un orizzonte simbolico” nel quale può risaltare non tanto come il termine contro cui la vita soccombe, quanto piuttosto come il compimento di un’esistenza “gratuitamente ricevuta e amorevolmente condivisa”.
La terapia del dolore
Tra i temi centrali della Lettera la questione della “terapia del dolore”. Si ricorda che già Papa Pio XII aveva distinto dall’eutanasia e legittimato con chiarezza “la somministrazione di analgesici per alleviare dolori insopportabili non altrimenti trattabili, anche qualora, nella fase di morte imminente, fossero causa di un accorciamento della vita”. Anche se oggi l’accorciamento della vita non è più un effetto collaterale frequente, si sottolinea che “lo stesso interrogativo si ripropone con farmaci nuovi, che agiscono sullo stato di coscienza e rendono possibili diverse forme di sedazione”. La Lettera chiarisce che “il criterio etico non cambia ma l’impiego di queste procedure richiede sempre un attento discernimento e molta prudenza”. Con la sedazione, “soprattutto quando protratta e profonda”, viene infatti annullata la dimensione relazionale e comunicativa, “cruciale nell’accompagnamento delle cure palliative”. Essa, quindi, “risulta sempre almeno in parte insoddisfacente, sicché va considerata come estremo rimedio”.
La centralità della famiglia nelle cure
Il programma del convegno mette, poi, in evidenza le dimensioni scientifiche, organizzative e di accompagnamento spirituale che entrano in gioco nella pratica delle cure palliative. Un ruolo unico nel prendersi cura dei malati, riveste però la famiglia e si può, quindi, imparare molto dalle culture in cui la coesione familiare è tenuta in grande considerazione.
Diffondere l’accesso alle cure palliative
La Lettera esorta, quindi, a continuare la riflessione sulle cure palliative e a diffonderne la pratica per facilitarvi l’accesso: un compito in cui i credenti possono trovare compagni di strada in molte persone di buona volontà. In questa prospettiva è importante la presenza al Convegno di rappresentanti di diverse religioni e di diverse culture. Bisogna gettare un ponte - si ribadisce - tra quella cura che si è ricevuta fin dall’inizio della vita e che ha consentito ad essa di dispiegarsi, e la cura da prestare responsabilmente agli altri, nel susseguirsi delle generazioni. Così si collega l’esperienza della condivisione della vita umana, “con l’annuncio evangelico che vede tutti come figli dello stesso Padre e riconosce in ciascuno la sua immagine inviolabile”. Le cure palliative mostrano, quindi, il loro valore anche per l’intera convivenza umana.
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