Mons. Oder: Bergoglio, Wojtyla e la santità nel quotidiano
Alessandro Gisotti – Città del Vaticano
“Per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi”, “tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno”. E’ uno dei passaggi chiave della Gaudete et Exsultate di Papa Francesco. Un documento che richiama fortemente il capitolo V della Lumen Gentium e sottolinea una speciale sintonia con San Giovanni Paolo II che, durante il suo Pontificato, ha sempre affermato che “la vita di tutti i giorni, le attività comuni, sono cammino di santificazione”. Sull’Esortazione apostolica di Francesco e il tema della Santità nei Pontificati di Bergoglio e Wojtyla, abbiamo raccolto la riflessione di mons. Slawomir Oder, postulatore della Causa di Canonizzazione di Giovanni Paolo II:
R. - Papa Francesco è il Papa che parla con il cuore e proprio dall’abbondanza del cuore sgorga anche la sua parola. Mi colpiscono l’attualità e l’entusiasmo che traboccano dalle pagine di questo documento. Una parola che accompagna sempre quello che il Santo Padre Francesco ci consegna con il suo Magistero, ma anche con i suoi gesti. La santità si iscrive perfettamente in questo atteggiamento di chi ha incontrato il Signore e porta al mondo la gioia di questo incontro.
Con “Gaudete et exultate” Francesco rinnova la chiamata universale alla santità, un tema molto presente anche in San Giovanni Paolo II. Perché, secondo lei questi due Papi lo sottolineano così fortemente?
R. - Entrambi sono figli del Concilio che ha ribadito con tanta forza - anzi forse per la prima volta ha portato alla comprensione di tutto il popolo cristiano - la vocazione universale alla santità, vocazione che in realtà spiega il senso più profondo dell’esistenza della Chiesa. La Chiesa è santa, perché è Sposa di Cristo, ma è anche la madre amorevole che porta i suoi figli alla santità. Dobbiamo cogliere questo invito del Signore. Il Signore che ci dà la vita e, dentro questa vita, un misterioso, magnifico disegno da realizzare. Per dirlo con le parole di San Giovanni Paolo II: la vita dei cristiani è un invito a fare della nostra esistenza un autentico capolavoro.
Questi due Pontefici conciliari, appunto come diceva lei, sottolineano forse anche questo: la santità è certamente straordinaria, ma si costruisce nell’ordinario, nella vita quotidiana …
R. - Sì, perché la misura della santità cristiana non è la straordinarietà delle opere compiute, ma la straordinarietà della carità che viene messa dentro le cose vissute quotidianamente. Come ha ribadito Papa Francesco nel suo documento: la santità non è una cosa circoscritta per un gruppo di eletti all’interno della Chiesa, per i sapienti, per i ben acculturati, ma è un dono dello Spirito Santo che soffia dove vuole e precede le nostre opere, i nostri passi e, con la sua presenza, santifica anche la semplicità di ogni gesto quotidiano.
Karol Wojtyla e Jorge Mario Bergoglio sono proprio "immersi" nel popolo. Entrambi hanno sempre sottolineato anche la santità del Popolo di Dio. Si può dire che entrambi - e “Gaudete et exultate” da ultimo - sottolineano che non si diventa mai santi da soli?
R. - Questa è la cosa molto importante: non esiste la solitudine dei santi, perché la santità è sempre la relazione con Dio e con i fratelli! C’è una bellissima storia che mi ha colpito profondamente e che mi rimane nel profondo del cuore: quando Giovanni Paolo II era ormai molto anziano e non poteva parlare, una semplice suora accompagnando un gruppo di pellegrini all’udienza del Santo Padre ha osato chiedergli: “Santo Padre, cosa devo fare per diventare santa?”. Il Papa non ha detto una parola, ma semplicemente ha aperto le sue braccia, l’ha stretta al suo cuore per far sentire il battito del suo cuore. E questa è veramente la santità: le braccia aperte che significano accoglienza, incontro, dono, per far sentire il battito del cuore nel quale si sente la voce, il cuore, il calore e la tenerezza di Dio stesso.
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