Il Papa nella terra di don Tonino Bello: Mediterraneo, arca di pace
Giada Aquilino - Città del Vaticano
Una visita dedicata a testimoniare il dovere e assieme la bellezza di stare accanto agli ultimi. Dopo l’atterraggio all’aeroporto di Galatina, il trasferimento in elicottero e l’arrivo di Papa Francesco attorno alle 8.45 ad Alessano, nel Leccese, paese natale di mons. Tonino Bello, a 25 anni dalla sua morte.
L’omaggio silenzioso alla tomba di don Tonino Bello
Subito l’omaggio del Pontefice alla tomba di quello che è stato il testimone della ‘Chiesa del grembiule’: un mazzo di fiori gialli e bianchi a contrassegnare un momento di preghiera privato, toccante per il silenzio e il raccoglimento. Una tomba “che non si innalza monumentale verso l’alto, ma è tutta piantata nella terra” dirà solo più tardi Francesco. Attorno, il vento muove le piccole bandiere arcobaleno, quasi a ricordare la forza con cui don Tonino si era impegnato per la pace, ad esempio nel '92 con la marcia a Sarajevo. Poi un tributo ai familiari defunti e il saluto ai parenti del Servo di Dio.
L’incontro con i fedeli
Quindi, nel piazzale antistante il Cimitero, l’incontro di Francesco con gli almeno ventimila fedeli presenti. Qui, a dominare è il calore della folla di quella terra che, osserva subito Francesco, a don Tonino diede “la ricchezza incomparabile di capire i poveri” e servirli.
Capire i poveri era per lui vera ricchezza. Aveva ragione, perché i poveri sono realmente ricchezza della Chiesa. Ricordacelo ancora, don Tonino, di fronte alla tentazione ricorrente di accodarci dietro ai potenti di turno, di ricercare privilegi, di adagiarci in una vita comoda.
Non perdere la frequenza del Vangelo
Non a caso, ricorda il Papa, il vescovo sottolineava come il Vangelo chiami a una vita spesso “scomoda”:
Una Chiesa che ha a cuore i poveri rimane sempre sintonizzata sul canale di Dio, non perde mai la frequenza del Vangelo e sente di dover tornare all’essenziale per professare con coerenza che il Signore è l’unico vero bene.
Incertezza del lavoro, problema attuale
L’esortazione allora rimane quella di don Tonino: non “teorizzare” la vicinanza ai poveri ma star loro vicino, seguendo l’esempio di Gesù “fino a spossessarsi di sé”.
Non lo disturbavano le richieste, lo feriva l’indifferenza. Non temeva la mancanza di denaro, ma si preoccupava per l’incertezza del lavoro, problema oggi ancora tanto attuale. Non perdeva occasione per affermare che al primo posto sta il lavoratore con la sua dignità, non il profitto con la sua avidità.
Seminare la pace globalmente
Don Tonino, aggiunge il Papa, “non stava con le mani in mano”.
Agiva localmente per seminare pace globalmente, nella convinzione che il miglior modo per prevenire la violenza e ogni genere di guerre è prendersi cura dei bisognosi e promuovere la giustizia. Infatti, se la guerra genera povertà, anche la povertà genera guerra. La pace, perciò, si costruisce a cominciare dalle case, dalle strade, dalle botteghe, là dove artigianalmente si plasma la comunione.
Mediterraneo sia arca di pace
La meravigliosa terra di don Tonino, terra di “frontiera” che egli stesso chiamava “terra-finestra”, dal Sud dell’Italia - nota Francesco - “si spalanca ai tanti Sud del mondo”, dove “i più poveri sono sempre più numerosi mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e sempre di meno”.
Siete una “finestra aperta, da cui osservare tutte le povertà che incombono sulla storia”, ma siete soprattutto una finestra di speranza perché il Mediterraneo, storico bacino di civiltà, non sia mai un arco di guerra teso, ma un’arca di pace accogliente.
L’evocazione del vescovo di Molfetta
Francesco inquadra poi la vocazione del vescovo di Molfetta, che egli stesso amava chiamare “evocazione” a indicare “una chiamata a diventare non solo fedeli devoti, ma veri e propri innamorati del Signore, con l’ardore del sogno, lo slancio del dono, l’audacia di non fermarsi alle mezze misure”.
Perché quando il Signore incendia il cuore, non si può spegnere la speranza. Quando il Signore chiede un “sì”, non si può rispondere con un “forse”.
Una Chiesa accesa d’amore
Il desiderio di don Tonino - per il quale poco prima, nel suo indirizzo di saluto al Pontefice, mons. Vito Angiuli, vescovo di Ugento - Santa Maria di Leuca, aveva auspicato “ardentemente” che diventi presto Santo - “di farsi piccolo per essere vicino” agli ultimi rivela il desiderio di “una Chiesa per il mondo”.
Non mondana, ma per il mondo. Che il Signore ci dia questa grazia: una Chiesa non mondana, al servizio del mondo. Una Chiesa monda di autoreferenzialità ed “estroversa, protesa, non avviluppata dentro di sé”; non in attesa di ricevere, ma di prestare pronto soccorso; mai assopita nelle nostalgie del passato, ma accesa d’amore per l’oggi, sull’esempio di Dio, che ha tanto amato il mondo.
L’allergia a titoli e onori
D’altra parte, sottolinea Francesco, il nome “don Tonino” ci riporta “la sua salutare allergia verso i titoli e gli onori”, il suo desiderio “di privarsi di qualcosa per Gesù che si è spogliato di tutto”, il suo coraggio “di liberarsi di quel che può ricordare i segni del potere per dare spazio al potere dei segni”.
Don Tonino non lo faceva certo per convenienza o per ricerca di consensi, ma mosso dall’esempio del Signore. Nell’amore per Lui troviamo la forza di dismettere le vesti che intralciano il passo per rivestirci di servizio, per essere “Chiesa del grembiule, unico paramento sacerdotale registrato dal Vangelo”.
Piedi per terra e occhi al Cielo
Era quindi un “credente con i piedi per terra e gli occhi al Cielo” e soprattutto “con un cuore che collegava Cielo e terra”: egli ha coniato per i cristiani, rammenta il Pontefice, una parola originale che indica “una grande missione”.
Gli piaceva dire che noi cristiani “dobbiamo essere dei contempl-attivi, con due t, cioè della gente che parte dalla contemplazione e poi lascia sfociare il suo dinamismo, il suo impegno nell’azione”, della gente che non separa mai preghiera e azione.
Di fronte ai nostri “immobilismi” e alle “nostre continue giustificazioni”, il Papa prega perché don Tonino ci ridesti per essere sempre più “una Chiesa contemplattiva, innamorata di Dio e appassionata dell’uomo”. Egli, “dono e profezia per i nostri tempi”, è l’auspicio finale del Papa, aiuti “noi come Chiesa” a non accontentarci “di annotare bei ricordi”, a non lasciarci “imbrigliare da nostalgie passate e neanche da chiacchiere oziose del presente o da paure per il futuro”, ma a vivere il Vangelo “senza sconti”.
(Ultimo aggiornamento ore 10.12)
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