Papa a Avvenire: educare a pensare, partendo dalle periferie
Debora Donnini-Città del Vaticano
I giornali cattolici devono “educare a pensare”: no all’informazione di facile consumo. Serve approfondire e partire dagli ultimi, per non ridurre la realtà ad una “caricatura”. Richiamandosi a Paolo VI che volle la nascita di “Avvenire” 50 anni fa, Papa Francesco indica i binari fondamentali che devono guidare oggi la stampa cristiana, nel discorso rivolto stamani a dirigenti e personale del quotidiano cattolico. Lo fa partendo dalla festa odierna di San Giuseppe lavoratore, chiedendo - nel forte e denso intervento - di entrare nella sua bottega del falegname, dove la comunicazione è ricondotta a “verità, bellezza e bene comune”, e ricordando che al lavoro è legata la dignità della persona.
Poveri e sofferenti devono dettare l’agenda
Alle circa 400 persone presenti in Sala Clementina, accompagnate anche dal presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti, Francesco chiede soprattutto di non accontentarsi di vedere quello che tutti vedono e di non escludere nessuno:
Nessuno detti la vostra agenda, tranne i poveri, gli ultimi, i sofferenti. Non ingrossate le fila di quanti corrono a raccontare quella parte di realtà che è già illuminata dai riflettori del mondo. Partite dalle periferie, consapevoli che non sono la fine, ma l’inizio della città.
Riorganizzazione dei media: non attaccarsi al passato
Centrale, poi, il passaggio sulla cultura digitale, sui nuovi mezzi tecnologici, che fanno ormai parte della “cassetta degli attrezzi” del mondo dei media, e l’hanno ridisegnato a livello globale. Un contesto che ha portato ad una riorganizzazione del lavoro e ad una armonizzazione con le altre testate che fanno capo alla Conferenza episcopale italiana, cioè l’Agenzia Sir, Tv2000 e il Circuito radiofonico InBlu:
Analogamente a quanto sta avvenendo nel settore comunicazione della Santa Sede la convergenza e l’interattività consentite dalle piattaforme digitali devono favorire sinergie, integrazione e gestione unitaria. Questa trasformazione richiede percorsi formativi e aggiornamento, nella consapevolezza che l’attaccamento al passato potrebbe rivelarsi una tentazione perniciosa. Autentici servitori della tradizione sono coloro che, nel farne memoria, sanno discernere i segni dei tempi e aprire nuovi tratti di cammino.
La linea editoriale: cercare la verità
Il Papa chiede anche ad “Avvenire” di custodire l’eredità dei padri. La linea editoriale deve essere quella di non stancarsi di “cercare con umiltà la verità” a partire dalla frequentazione della Buona Novella. Questo consente di evitare di ridurre la realtà ad una “caricatura”:
Come avvertiva Paolo VI, i giornali cattolici non devono «dare delle cose che fanno impressione o che fanno clientela. Noi dobbiamo fare del bene a quelli che ascoltano, dobbiamo educarli a pensare, a giudicare» (Discorso agli operatori delle comunicazioni sociali, 27 novembre 1971). Il comunicatore cattolico rifugge le rigidità che soffocano o imprigionano. Non mette «in gabbia lo Spirito Santo», ma cerca di «lasciarlo volare, di lasciarlo respirare nell’animo» (ibid.). Fa sì che mai la realtà ceda il posto all’apparenza, la bellezza alla volgarità, l’amicizia sociale alla conflittualità. Coltiva e rafforza ogni germoglio di vita e di bene.
No all’informazione di facile consumo, serve approfondimento
C’è, poi, l’aspetto della velocità dell’informazione, che supera la capacità di riflessione. Il Papa invece incoraggia a “rifuggire l’informazione di facile consumo, che non impegna” e a “ricostruire i contesti e spiegare le cause”, favorendo l’incontro:
Anche come Chiesa siamo esposti all’impatto e all’influenza di una cultura della fretta e della superficialità: più che l’esperienza, conta ciò che è immediato, a portata di mano e può essere subito consumato; più che il confronto e l’approfondimento, si rischia di esporsi alla pastorale dell’applauso, a un livellamento del pensiero, a un disorientamento diffuso di opinioni che non si incontrano.
Portare i valori della Dottrina Sociale della Chiesa
E ancora il Papa vuole che i giornalisti approfondiscano e si lascino interrogare da ciò che accade. San Giuseppe è anche l’uomo disponibile a prendersi cura dell’altro e il suo è un richiamo ad “una Chiesa che non accetta la riduzione della fede alla sfera privata e intima, né si rassegna a un relativismo morale che disimpegna e disorienta”. Bisogna anche dar voce ai valori incarnati “nella memoria collettiva e alle riserve culturali e spirituali del popolo” e “contribuire a portare nel mondo sociale, politico ed economico la sensibilità e gli orientamenti della Dottrina sociale della Chiesa, essendone, noi per primi, fedeli interpreti e testimoni”.
Persona e famiglia più importanti dell’efficienza
San Giuseppe è, poi, educatore capace di “far crescere la vita e trasmettere un lavoro”, una dimensione legata alla festa odierna:
Proprio al lavoro, infatti, è strettamente legata la dignità della persona: non al denaro, né alla visibilità o al potere, ma al lavoro. Un lavoro che dia modo a ciascuno, qualunque sia il suo ruolo, di generare quella imprenditorialità intesa come «actus personae», dove la persona e la sua famiglia restano più importanti dell’efficienza fine a sé stessa.
Saper ascoltare: essere artefici di dialogo
Come uomo del silenzio, San Giuseppe ricorda che l’ascolto è “la condizione prima di ogni comunicazione”. Per questo, bisogna spegnere il rumore del mondo e le nostre stesse chiacchere. Il silenzio serve da una parte a “non smarrire le radici culturali” e, dall’altra, a lasciarsi interpellare dal volto dell’uomo, superando “deformazioni e discriminazioni”. Il dialogo, infatti, sviluppa reciprocità e “la Chiesa, mentre si pone come artefice di dialogo, dal dialogo viene purificata e aiutata nella stessa comprensione della fede”, sottolinea il Papa.
Essere testimoni amando la causa
“Le parole – quelle vere – pesano”, ribadisce Francesco ricordando che “le sostiene solo chi le incarna nella vita". "La testimonianza, del resto, concorre alla vostra stessa affidabilità. Una testimonianza appassionata e gioiosa”, afferma in conclusione ancora con le parole di Paolo VI: “Occorre l’amore alla causa: se non si ama questa causa non combineremo che poco” .
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