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Don Tonino Bello Don Tonino Bello 

Don Tonino, le parole "scomode" di un uomo libero

Una delle doti di don Tonino Bello fu quella di saper esprimere con un linguaggio moderno e anticonvenzionale i valori del Vangelo e l'amore agli ultimi che testimoniava ogni giorno. Una forza evocativa e uno stile molto simili a quelli di Papa Francesco

di Alessandro De Carolis - Città del Vaticano

“Accoglietemi come fratello e amico, oltre che come padre e Pastore. Liberatemi da tutto ciò che può ingombrare la mia povertà”. Non aveva mai parole innocue don Tonino, come queste con cui si presentò nel 1982 alla Chiesa di Molfetta in veste di vescovo. Le sue erano parole libere, liberate dal Vangelo vissuto. La stessa vita di don Tonino era “sine glossa”. Senza gli orpelli della carica, le distanze imposte dal ruolo, senza mai un “mons.” a ingombrare lo spazio tra il lui e chi gli si avvicinava.

Il vescovo normale

Tutti in questi giorni ricordano la sua celebre frase, la “Chiesa del grembiule”, che tanto echeggia la “Chiesa povera per i poveri” di Papa Francesco. Quella formula, azzeccata come mille altre del suo inesauribile serbatoio di espressioni, non è tanto il motto brillante di un abile affabulatore. È piuttosto come quei vestititi che calzano a pennello, la forma che esalta la sostanza. E se vedi un vescovo sedersi dal barbiere come tutti, mischiato alle tute degli operai in sciopero, lo vedi offrire le stanze della curia agli sfrattati, questa è una formidabile sostanza che poi dà valore a ogni singola parola, che in don Tonino ha pure il dono dell’efficacia.

Con quel cencio ai fianchi

L’idea della “Chiesa del grembiule” nasce nei mesi e negli anni del ministero vissuto  da don Tonino come esercizio alla prossimità. “La Chiesa del grembiule – spiegò – non totalizza indici altissimi di consenso” perché “nell’hit parade delle preferenze il ritratto meglio riuscito di Chiesa sembra essere quello che la rappresenta con il lezionario fra le mani, o con la casula addosso. Ma con quel cencio ai fianchi. Con quel catino nella destra e con quella brocca nella sinistra, con quel piglio vagamente ancillare, viene fuori proprio un’immagine che declassa la Chiesa al rango di fantesca”.

Servizio o self-service?

Una Chiesa “ospedale da campo” diremmo oggi, espressione che a don Tonino sarebbe piaciuta molto. Una Chiesa che lui portava di persona negli angoli dove i bisogni si possono ignorare e questo gli guadagnava la libertà della denuncia contro le assenze della politica.

“Chi state servendo, il popolo o lo stemma?”

“I partiti si sono ubriacati”, affermò una volta parlando ai politici. “Chi state servendo – chiedeva – il bene comune o la carriera personale? Il popolo o lo stemma? Il municipio o la sezione? Il tricolore o la bandiera del partito? Un giorno il Signore vi chiederà conto se lo spirito che ha animato il vostro impegno politico è stato quello del servizio o quello del self-service”.

Il Natale scomodo

Una volta venne Natale e don Tonino vescovo decise che gli auguri alla sua gente non potevano evaporare nel mucchio rituale delle frasi fatte. Dovevano essere “auguri scomodi”, diventati celeberrimi. “Non sopporto infatti l’idea – scrisse – di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario. Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati”. E rovesciando la prospettiva della festa che dimentica il Festeggiato – quella delle “sbornie dei vostri cenoni”, dello “spreco delle vostre luminarie” – soggiunse: “I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere ‘una gran luce’ dovete partire dagli ultimi”.

La pace rovina la digestione

Gli anni Novanta iniziano con la Guerra del Golfo e l’allucinante approdo di migliaia di albanesi nella sua terra, aggrappati alle bagnarole arrugginite come i dannati di un girone dantesco. Don Tonino si spende contro il conflitto e i conflitti, marcia sulla Sarajevo crivellata dai cecchini, si dà da fare per gli immigrati con le ultime forze che gli lascia il cancro che gli mangia lo stomaco. Anche ciò che dice in quelle circostanze sembra tratto da un’omelia a Santa Marta, da una “Laudato si’” ruminata con vent’anni di anticipo.

“La pace non è un vocabolo ma un vocabolario”

Per lui la pace non era “un semplice vocabolo, ma un vocabolario». E la guerra non solo “il tuono dei cannoni o l'esplosione delle atomiche, ma la semplice esistenza di questo violento sistema economico" perché, asseriva, “non ci potrà mai essere pace finché i beni della terra sono così ingiustamente distribuiti”. La pace per don Tonino era, ed è, soprattutto verità: “Chi ama la pace non ha paura di dire come stanno le cose, anche quando le sue parole rovinano la digestione dei potenti”.

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20 aprile 2018, 13:46