Il Papa alla diocesi di Roma: serve la rivoluzione della tenerezza
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Come un medico che ha studiato le malattie, Francesco suggerisce la cura alla sua diocesi. Nell’incontro nella Basilica di San Giovanni in Laterano, il Papa conclude il cammino delle parrocchie ascoltando la relazione finale che è la sintesi delle fatiche che si vivono nell’annuncio del Vangelo. Un cammino ispirato dall’intensità e dalla bellezza dell’Evangelii Gaudium, l’esortazione apostolica di Francesco.
Le malattie della Chiesa di Roma
Dopo la preghiera iniziale, è don Paolo Asolan, professore al Pontificio Istituto pastorale “Redemptor Hominis” della Pontificia Università Lateranense, a dare gli spunti per la riflessione del Papa, frutto del lavoro di una Commissione diocesana. A preoccupare è la crescita dell’io a dismisura; la mancanza di comunione tra cristiani con le varie realtà ecclesiali che non si parlano; la frenesia; le troppe iniziative pastorali che non danno tempo di riflettere; manca chi insegna a pregare; mancano i poveri come parte della comunità, come soggetti che evangelizzano.
Solo il Signore può guarire
Il Pontefice, dopo aver fatto i complimenti per il lavoro svolto, risponde a braccio alle domande rivolte da mons. Angelo De Donatis, vicario del Papa per la diocesi di Roma. Quattro questioni che con verità chiedono a Francesco di illuminare la strada e guarire le malattie. Il Pontefice si sofferma sulla parola “radice”, la meta ultima che va sanata, e suggerisce un percorso: non pensare di poter guarire da soli, “serve qualcuno che mi aiuti: il primo – afferma - è il Signore”; poi cercare conforto in chi ha il carisma dell’accompagnamento spirituale, non solo un prete ma anche un laico, un anziano o un giovane. Infine leggere qualcosa che aiuti e guardare avanti:
Parlare con Gesù, parlare con un altro, parlare con la Chiesa. E credo che questo sia il primo passo. Poi, aiuterà leggere qualcosa su quell’argomento. Ma sempre guardare avanti: ma, io posso fare tutto questo. Pregare, parlare con un altro, leggere … ma l’unico che può guarire è il Signore. L’unico.
La pietà popolare è il sistema immunitario della Chiesa
Rispondendo ad una domanda sull’individualismo che isola il corpo ecclesiale, Francesco parla del “guardarsi l’ombelico”, del guardare se stessi, del fascino delle novità che però allontanano dal cuore, dal vero centro. Il ricordo va allora a Buenos Aires con le suggestioni orientalistiche negli esercizi spirituali, il Papa parla della necessità di uno schiaffo per rientrare nella realtà, dello gnosticismo nella Chiesa e infine dell’urgenza di guardare alla pietà popolare come già profetizzava Paolo VI:
“Come possiamo andare oltre le appartenenze esclusive e rassicurarci del nostro gruppo?”. Padre, sempre esaminare questo: “Io vado con il popolo di Dio, ma migliorando, ma sempre voglio una Chiesa con popolo, una Chiesa con Gesù Cristo incarnato, un Gesù Cristo con Dio?”. Il cammino contrario. L’unico modo: la comunità ci guarisce, la spiritualità comunitaria ci guarisce.
L’armonia dello Spirito Santo, il più valido aiuto
Soffermandosi sul tempo che divora tutte le attività della parrocchia, Francesco ricorda che la mancanza più grande è l’armonia, domandarsi se c’è nella propria comunità e nella famiglia diocesana. Sottolinea che lo Spirito Santo che in passato ha creato il primo disordine della Chiesa, è il responsabile dell’armonia, qualcosa di non statico, perché non è un ordine, è dinamismo, è cammino.
Ma io dirò tre punti concreti che possono aiutare a trovare questa armonia. Prima, la Persona del Signore, Cristo, il Vangelo in mano. Dobbiamo abituarci a leggere un passo del Vangelo tutti i giorni: ogni giorno un passo del Vangelo. Per entrare a conoscere meglio Cristo. Secondo, la preghiera: ma se tu leggi il Vangelo, subito ti viene la voglia di dire qualcosa al Signore, di pregare, fare un dialogo con Lui, breve … anche la preghiera … E terzo, le opere di misericordia. Con questi tre punti credo che questo senso di fastidio sparisce e andiamo verso l’armonia che è tanto grande. Ma sempre chiedere la grazia dell’armonia nella mia vita, nella mia comunità e nella mia diocesi.
Giovani che cercano radici
L’ultima domanda riguarda i giovani. Quale il grido d’aiuto che da loro si leva: gli chiedono i parroci romani. Il Papa ricordando l’esperienza del presinodo nel qual è stato prodotto un documento “bellissimo, forte e interessante”, sottolinea il pericolo dell’alienazione dalla realtà. Sottolinea la difficoltà per loro del contatto umano, del loro costante attaccamento al telefonino.
Dobbiamo fare atterrare i giovani nel mondo reale. Toccare la realtà. Senza distruggere le cose buone che può avere il mondo virtuale, perché servono, no? Ma è interessante, questo. La realtà, la concretezza.
Le opere di misericordia – afferma – aiutano a renderli concreti, a trovare le loro radici attraverso il dialogo con gli anziani perché è necessario che solo guardando da dove si viene si può andare avanti.
Verità per riprendere il cammino
Il Pontefice, nel suo discorso, elogia la crescita nella verità pur riconoscendo che da qui viene lo “scoraggiamento” e la “frustrazione” ma “soprattutto la consapevolezza che il Signore non ha smesso di usarci misericordia: in questo cammino Egli ci ha illuminati, ci ha sostenuti, ha avviato un percorso per certi versi inedito di comunione tra di noi, e tutto questo perché noi possiamo riprendere il nostro cammino dietro a Lui”.
Una nuova alleanza
Un non-popolo dunque chiamato ad una nuova alleanza, rivivere in noi l’Esodo, chiedersi chi è oggi il Faraone che ci rende schiavi di altri poteri e preoccupazioni, quali le schiavitù che ci hanno reso sterili.
Sarà necessario dedicare del tempo perché, riconosciute umilmente le nostre debolezze e avendole condivise con gli altri, possiamo sentire e fare esperienza di questo fatto: c’è un dono di misericordia e di pienezza di vita per noi e per tutti quelli che abitano a Roma. Questo dono è la volontà buona del Padre per noi: noi singoli e noi popolo.
Uscire dai noi stessi e dalle certezze
Francesco non manca di franchezza: sa che nelle parrocchie vige una generale stanchezza, che si è persa la direzione.
Forse ci siamo chiusi in noi stessi e nel nostro mondo parrocchiale perché abbiamo in realtà trascurato o non fatto seriamente i conti con la vita delle persone che ci erano state affidate (quelle del nostro territorio, dei nostri ambienti di vita quotidiana), mentre il Signore sempre si manifesta incarnandosi qui e ora, cioè anche e precisamente in questo tempo così difficile da interpretare, in questo contesto così complesso e apparentemente lontano da Lui.
E’ in questo ambito che si gioca la sfida di uscire da noi stessi, dalla “ipertrofia dell’individuo”: l’io che non diventa persona, che si isola dagli altri. Necessario uscire anche dalle certezze – “le nostre pentole”: dice il Papa – “i nostri gruppi, le nostre piccole appartenenze, che si sono rivelate alla fine autoreferenziali, non aperte alla vita tutta intera”. Bene quindi che questa situazione sia emersa e ci abbia stancato, ci spinga ad uscire grazie alla chiamata di Dio.
Occorre ascoltare senza timore la nostra sete di Dio e il grido che sale dalla nostra gente di Roma, chiedendoci: in che senso questo grido esprime un bisogno di salvezza, cioè di Dio? Come Dio vede e ascolta quel grido? Quante situazioni, tra quelle emerse dalle vostre verifiche, esprimono in realtà proprio quel grido!
A Roma la rivoluzione della tenerezza
E’ qui che Francesco si fa medico, chiedendo alla sua diocesi di intraprendere un’altra tappa del cammino della Chiesa di Roma: “un nuovo esodo, una nuova partenza, che rinnovi la nostra identità di popolo di Dio, senza rimpianti per ciò che dovremo lasciare”.
Occorrerà ascoltare il grido del popolo, come Mosè fu esortato a fare: sapendo così interpretare, alla luce della Parola di Dio, i fenomeni sociali e culturali nei quali siete immersi. Cioè imparando a discernere dove Lui è già presente, in forme molto ordinarie di santità e di comunione con Lui: incontrando e accompagnandovi sempre più con gente che già sta vivendo il Vangelo e l’amicizia con il Signore. Gente che magari non fa catechismo, eppure ha saputo dare un senso di fede e di speranza alle esperienze elementari della vita.
Persone anonime che interpretano il loro lavoro come un servizio, senza mandati particolari, che stanno preparando l’avvenire di Dio. Farsi nuovamente popolo:
Fenomeni come l’individualismo, l’isolamento, la paura di esistere, la frantumazione e il pericolo sociale…, tipici di tutte le metropoli e presenti anche a Roma, hanno già in queste nostre comunità uno strumento efficace di cambiamento. Non dobbiamo inventarci altro, noi siamo già questo strumento che può essere efficace, a patto che diventiamo soggetti di quella che altrove ho già chiamato la rivoluzione della tenerezza.
Dare nuovi frutti
Una rivoluzione arricchita dalle sensibilità – dice il Papa – dagli sguardi, dalle storie di molti. Una umanità risanata e riconciliata con un nuovo sguardo pastorale che risponda ai bisogni dei romani, azioni “più creative e più liberanti” per i sacerdoti, per quanti più direttamente collaborano alla missione e all’edificazione della comunità cristiana.
Non abbiate paura di portare frutto, di farvi “mangiare” dalla realtà che incontrerete, anche se questo “lasciarsi mangiare” assomiglia molto a uno sparire, un morire. Alcune iniziative tradizionali forse dovranno riformarsi o forse addirittura cessare: lo potremo fare soltanto sapendo dove stiamo andando, perché e con Chi.
Non vuol dire – evidenzia Francesco – non produrre più niente ma “innestare virgulti nuovi: innesti che daranno frutti nuovi”.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui