Tre anni fa il Papa a Sarajevo: mai più la guerra
Cecilia Seppia - Città del Vaticano
Il 6 giugno 2015, il Papa arrivava a Sarajevo, luogo simbolo della guerra balcanica del ’92-’95 per un viaggio apostolico, lungo un solo giorno, ma tutto all’insegna della pace. Ad accoglierlo, 18 anni dopo la storica visita di San Giovanni Paolo II, una città in festa, piena di giovani e bambini, che ha voluto mostrargli la propria cultura, le proprie tradizioni, il colore e la gioia, ma anche le ferite: palazzi, strade e cuori lacerati da un conflitto troppo logorante.
Il Paese oggi
Gli Accordi di Pace di Dayton del 1995 hanno solo di fatto congelato le divisioni della guerra. Serbi ortodossi, croati cattolici e bosniaci musulmani vivono separati e le altre comunità sono ancora spesso emarginate. L’equilibrio del Paese è molto precario e forte è la piaga della disoccupazione che colpisce soprattutto i giovani, vero motore di speranza, purtroppo poco sostenuti. Nelle piazze spesso si protesta contro la corruzione dei politici e da qualche anno aleggia lo spettro dell’integralismo islamico. Ma non mancano tante iniziative di riconciliazione, tante idee per far girare l’economia, tanti momenti, di cui spesso proprio la Chiesa si fa promotrice, per dialogare e condividere, persino le differenze, che nella logica cristiana non sono altro che ricchezze.
Pellegrino di pace
“Sono venuto come pellegrino di pace e di dialogo”: così si è presentato Francesco, appena atterrato all’aeroporto di Sarajevo dove per salutare 150 bambini rappresentanti delle varie etnie, tutti vestiti in abiti tradizionali, aveva portato 15 minuti di ritardo al Palazzo presidenziale per il successivo colloquio con il presidente di turno Mladen Ivanic e l’importante incontro con le autorità in cui consegnava i mattoni di un nuovo edificio da costruire sulla convivenza civile ed ordinata, la pace e il reciproco ascolto e rispetto.
Purificare la memoria
“La Bosnia Erzegovina e Sarajevo sono passati dallo scontro alla cultura dell’incontro. Ora che le nuvole nere si sono allontanate si vede fiorire qui la primavera”, ha rimarcato il Santo Padre, ricordando più volte che Sarajevo è parte integrante dell’Europa, ed esortando la Comunità internazionale, in particolare l’Ue, a collaborare per favorire integrazione e cambiamento, a cercare soluzioni efficaci e originali ai problemi e anche a risanare le ferite più profonde “attraverso un percorso che purifichi la memoria e dia speranza all’avvenire”.
L’appoggio della Santa Sede
Il Pontefice più volte e in più modi, in questo viaggio svoltosi sotto il motto “La Pace sia con voi!”, e con i simboli della colomba e della croce, ha assicurato l’appoggio pieno della Santa Sede “nel promuovere la collaborazione, il dialogo e la solidarietà” tra varie etnie e religioni in vista del bene comune e di uno sviluppo duraturo.
Gerusalemme d’Europa
A Sarajevo ha notato Francesco, “sorgono, a breve distanza l’una dall’altra, sinagoghe, chiese e moschee, tanto che la città ricevette l’appellativo di 'Gerusalemme d'Europa'… Essa infatti rappresenta un crocevia di culture, nazioni e religioni; e tale ruolo richiede di costruire sempre nuovi ponti e di curare e restaurare quelli esistenti”.
Mai più la guerra
Dopo gli incontri con le autorità, con i vescovi, con il clero in cattedrale, i leader delle altre religioni, con i giovani, in una maratona di abbracci e gesti simbolici, culmine di questa visita, è stata la Messa nello stadio di Sarajevo, davanti a oltre 65 mila persone. Qui sembra ancora di sentire l’eco delle forti e indimenticabili parole di Francesco: “Oggi, cari fratelli e sorelle, si leva ancora una volta da questa città il grido del popolo di Dio e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà: mai più la guerra!”.
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