Papa a gesuiti: aiuto a disoccupati, per evitare suicidi, dipendenze e derive
Giada Aquilino - Città del Vaticano
In un mondo in cui una finanza “astratta” e “crudele” è “al centro” dell’immaginario collettivo, riportiamo in primo piano “l’uomo e la donna”, perché “il grande peccato contro la dignità della persona” è stato proprio il fatto di aver spostato quell’uomo e quella donna dal “posto centrale”. Così Papa Francesco incontrando stamani, nell’auletta dell’Aula Paolo VI, prima dell’udienza generale, i partecipanti all'incontro “European Jesuits in formation”, una trentina di persone. Con il presidente della Conferenza dei provinciali europei, Franck Janin, e i delegati della formazione europea e della provincia euromediterranea, Alessandro Manaresi e Angelo Schettini, c’erano i giovani impegnati a Roma dal 28 luglio scorso fino al 20 agosto per l’annuale incontro formativo (Ascolta il servizio con la voce del Papa).
Lavoro è dignità
Sollecitato da uno dei ragazzi a riflettere su quali tipi di comunicazione e accompagnamento offrire ai giovani disoccupati, che non hanno un lavoro capace di offrire loro “dignità”, Francesco - con l'aiuto di un interprete per la traduzione in inglese - ha riflettuto su quello che forse, ha detto, “è uno dei problemi più acuti e più dolorosi per i giovani, perché va proprio al cuore della persona”: con la disoccupazione, non poter portare il pane a casa - ha ribadito il Pontefice - “leva dignità”.
C’è una risistemazione dell’economia mondiale, dove l’economia, che è concreta, lascia il posto alla finanza, che è astratta. Al centro c’è la finanza, e la finanza è crudele: non è concreta, è astratta. E lì si gioca con un immaginario collettivo che non è concreto, ma è liquido o gassoso. E al centro c’è questo: il mondo della finanza. Al suo posto avrebbero dovuto esserci l’uomo e la donna. Oggi questo è, credo, il grande peccato contro la dignità della persona: spostarla dal suo posto centrale.
Il ricorso al suicidio
La finanza, ha aggiunto, “assomiglia su scala mondiale alla catena di Sant’Antonio”: con tale spostamento della persona dal centro e dando risalto alla finanza, che è “gassosa”, si generano “vuoti nel lavoro”.
Il numero dei suicidi giovanili è in aumento, ma i governi – non tutti – non pubblicano il numero esatto: pubblicano fino a un certo punto, perché è scandaloso. E perché si impiccano, si suicidano questi giovani? La ragione principale di quasi tutti i casi è la mancanza di lavoro. Sono incapaci di sentirsi utili e finiscono.
Alienazione nelle dipendenze
Per i giovani disoccupati c’è poi una “alienazione intermedia”, quella delle dipendenze: la dipendenza oggi - ha spiegato - “è una via di fuga da questa mancanza di dignità”.
Pensate che dietro ad ogni dose di cocaina – pensiamo – c’è una grande industria mondiale che rende possibile questo, e probabilmente – non sono sicuro – il movimento di denaro più grande nel mondo.
La deriva terroristica
Ma il quadro, nelle parole del Papa, non è completo: c’è anche chi pur di guadagnare sceglie “come progetto di vita” l’arruolamento “nell’Isis”.
Suicidi, dipendenze e uscita verso la guerriglia sono le tre opzioni che i giovani hanno oggi, quando non c’è lavoro. Questo è importante: capire il problema dei giovani; far sentire [a quel giovane] che io lo capisco, e questo è comunicare con lui. E poi muoversi per risolvere questo problema. Il problema ha soluzione, ma bisogna trovare il modo, c’è bisogno della parola profetica, c’è bisogno di inventiva umana, bisogna fare tante cose. Sporcarsi le mani…
Paolo VI e padre Arrupe
Francesco ha poi esortato i confratelli ad una “coraggiosa creatività”, cercando “il modo di venire incontro” a tale emergenza. Quindi si è soffermato sulla “originalità della Compagnia di Gesù: “unità”, nella “grande diversità”. Ha richiamato “il discorso più bello” mai tenuto da un Papa alla Compagnia, quello del Beato Paolo VI nel 1974, quando - invitando al “coraggio” i padri chiamati a partecipare alla XXXII Congregazione generale - disse che “dove ci sono gli incroci delle idee, dei problemi, delle sfide lì c’è un Gesuita”. Il Pontefice, ricordando la memoria liturgica di San Pietro Favre, compagno di Sant'Ignazio di Loyola, ha fatto riferimento pure all’ultimo discorso di padre Pedro Arrupe, 28.mo Superiore Generale della Compagnia di Gesù, per il quale ultimamente la diocesi di Roma ha aperto la causa di beatificazione. Fu in Thailandia, presso un campo rifugiati.
In questi due discorsi c’è la cornice di quello che oggi la Compagnia deve fare: coraggio, andare alle periferie, agli incroci delle idee, dei problemi, della missione… Lì c’è il testamento di Arrupe, il “canto del cigno”, la preghiera. Ci vuole coraggio per essere Gesuita. Non vuol dire che un Gesuita debba essere incosciente, o temerario, no. Ma avere coraggio. Il coraggio è una grazia di Dio, quella parresia paolina… E ci vogliono ginocchia forti per la preghiera. Credo che con questi due discorsi voi avrete l’ispirazione per andare dove lo Spirito Santo vi dirà, nel cuore.
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