Mons. Gisana: una Chiesa povera contro la forza demoniaca delle mafie
Beatissimo Padre, non è facile, in questo momento colmo della misericordia di Dio, vagliare il senso composito dei nostri sentimenti. Vogliamo soltanto manifestarLe un’infinita gratitudine, per aver riposto la Sua paterna attenzione su questo lembo di terra della Sicilia centrale. La gioia, che stiamo sperimentando, è simile a quella che provò il lebbroso samaritano di fronte all’inaspettata guarigione. Egli tornò indietro per ringraziare Gesù, «lodando Dio a gran voce» (Lc 17,15). È quello che vogliamo fare alla Sua presenza: presbiteri, consacrati, diaconi, seminaristi, associazioni, movimenti, confraternite, istituzioni civili e militari, fedeli convenuti dalla diocesi e quanti si sono uniti a noi dalle città vicine eleviamo a Dio una lode di ringraziamento «a gran voce». Ed è la voce di quella moltitudine, segnata dal sigillo discepolare, che grida: «La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello» (Ap 7,10).
Sappiamo che soltanto in Gesù scorgeremo il senso pieno della nostra vita, come Lei stesso, Padre Santo, ci ha ricordato nell’Esortazione apostolica, Evangelii gaudium al n. 266: «La vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa». La confessione di fede che, oggi, consegniamo alle Sue preghiere è motivo di conferma della nostra scelta discepolare: vogliamo essere di Gesù e seguire il vangelo senza alcuna giustificazione, cercando di non far perdere neppure un apice delle parole che sono nate dal cuore di Colui che abbiamo scelto come Signore della nostra vita. Ci aiuti, Padre Santo, in questo cammino di conversione con la sua amorevole assistenza, affinché nessuno lasci svanire il potenziale di grazia che promana dall’assimilazione del vangelo.
Siamo infatti consapevoli che le operazioni dell’egoismo, subdole e malevoli, insidiano il nostro desiderio di incarnare la parola di Gesù; ma siamo altresì certi che la Sua parola, Padre Santo, sarà balsamo sulle nostre ferite, contratte dai variegati fallimenti, e sprone per ricollocarci in quelle orme che la Chiesa custodisce al passaggio del suo Sposo. È nostra intenzione, oggi, offrirLe un momento di consolazione. La crisi di fraternità, che sta attraversando la Chiesa, mettendo a dura prova ciò che le è peculiare nella sua testimonianza di fronte al mondo, condiziona notevolmente l’impegno missionario cui essa è chiamata. La Chiesa non può e non deve distogliere il suo sguardo da Gesù che invita a compiere una scelta radicale: essere povera tra i poveri e per i poveri.
Non basta infatti aiutare quanti sono nel bisogno; è necessario avvicinarsi a loro, sospinti dalla certezza di condividere un sentimento: quello del messia che è la commozione viscerale. L’attenzione ai poveri nasce infatti da questo sentimento che si forma nella misura in cui si fanno scelte autentiche di povertà. Se Gesù pone al centro del suo programma pastorale i poveri, ciò accade perché egli è il messia che rivela all’umanità la tenerezza di Dio e soprattutto il modo con cui egli inaugura una signoria straordinaria, quella che prende le mosse dai piccoli, dagli emarginati, dagli esclusi dell’umanità. La povertà nella Chiesa è un aspetto essenziale dell’esperienza cristiana: essa fa conoscere i dinamismi del vangelo e pone le basi per la piena conformazione a Gesù.
E noi, Padre Santo, vogliamo davvero somigliare a Lui, a Gesù povero, declinando nella nostra esistenza quei processi spirituali che la sapienza del vangelo susciterà nelle nostre relazioni. Esseri poveri nella credibilità dei gesti: è quanto vogliamo esprimere per sostenere la nostra gente che sperimenta un inusitato stato depressivo, causato ad intra da una forma incongruente di rassegnazione e ad extra dalla forza demoniaca delle mafie. Essere poveri nella testimonianza della parola: è quello che ci proponiamo in ascolto permanente della parola di Dio. Sappiamo che l’obbedienza al vangelo esige un’adesione totale a quanto il Signore suggerisce in ecclesia orante.
Essere poveri nel servizio fraterno: è la misura di una Chiesa che accetta di diventare sale della terra e luce del mondo (cfr. Mt 5,13-16). Essa è missionaria, se annuncia ciò che la rende sacramento di unità, per quella comunione fraterna che evoca la grandezza dell’amore trinitario. Essere poveri in difesa degli ultimi: è l’impegno che ci conforma a Gesù, con quell’attenzione che non soltanto supera le discriminazioni di razza, cultura o religione, ma rivela altresì la forza coesiva del vangelo, quella forza che spinge al dialogo e al rispetto delle differenze. Essere poveri nella sobrietà della vita: è uno stato di testimonianza che pone le basi per vivere dignitosamente il monito di Gesù: «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8).
La scelta di soffocare sul nascere l’ingordigia del denaro, che è la radice di ogni corruzione, costituisce una modalità che comincia a connotare la vita ecclesiale delle nostre comunità. Affidiamo alla Sua sollecitudine questo cammino di conversione, per imparare a condividere con audacia i bisogni dei poveri. Il Suo monito sulla povertà della Chiesa, a partire da quell’espressione profetica: «Come vorrei una Chiesa povera per i poveri», è diventato per noi una scelta di vita, un cammino di santità accanto al beato Pino Puglisi, di cui ricordiamo il martirio, e ai nostri testimoni di fede: Sant’Elia di Enna, monaco italo-greco, il beato Girolamo De Angelis, martire gesuita morto in Giappone, il servo di Dio Mario Sturzo, il piazzese Prospero Intorcetta, missionario gesuita in Cina, e tanti presbiteri, consacrati e fedeli laici che hanno saputo fare della povertà un ambito di evangelizzazione, rendendo questo territorio particolarmente sensibile alla solidarietà e alla pace.
Nell’Esortazione apostolica, Gaudete et exsultate al n. 70 ci ha ricordato che la santità consiste nell’essere poveri nel cuore. È così che, oggi, ci incontra: il nostro cuore è docile ad ogni Sua parola, con quell’atteggiamento filiale che lo riconosce pastore che, sul solco di Pietro, ci conferma nella fede, e lo accoglie padre nell’evocazione della paternità di Dio, il quale «ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce» (1Pt 1,3-4).
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