Papa e minori: vigilare sempre sul bene dei piccoli
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Gli abusi di potere, di coscienza, le violenze sessuali sui minori sono gli scandali avvenuti nella Chiesa che Papa Francesco ha guardato con franchezza, ha denunciato con cuore contrito, ha affrontato, chiedendo perdono alle vittime. “Gli abusi contro i minori – ha evidenziato nel discorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede - costituiscono uno dei crimini più vili e nefasti possibili. Essi spazzano via inesorabilmente il meglio di ciò che la vita umana riserva ad un innocente, arrecando danni irreparabili per il resto dell’esistenza”. Un tema che sarà al centro dell’incontro con gli episcopati di tutto il mondo, nel mese di febbraio.
Il bene dei più piccoli
Nel passaggio sui minori, Francesco ha ricordato i 30 anni dall’adozione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata da 196 Paesi. Quattro i principi che la compongono: la non discriminazione; l’interesse del bambino sopra ogni cosa; il diritto alla vita e allo sviluppo; il diritto dei più piccoli ad essere ascoltati. L’anniversario – ha spiegato il Papa – è “un’occasione propizia per una seria riflessione sui passi compiuti per vigilare sul bene dei nostri piccoli e sul loro sviluppo sociale e intellettuale, come pure sulla loro crescita fisica, psichica e spirituale”.
Ascoltare con cuore aperto Papa Francesco
Filomena Albano è a capo dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza dal 2016. Si tratta di un’istituzione indipendente che opera sul territorio italiano occupandosi di tutti i bambini al di là della cittadinanza e della residenza. Esprime pareri alle proposte di legge del Parlamento “ma - afferma la Garante – la nostra azione rischia di non essere incisiva”. Ai nostri microfoni commenta le parole di Papa Francesco:
R. – Sono veramente parole che suonano alte: bisognerebbe sentirle veramente con il cuore aperto, perché effettivamente questo è un anno importante. Ed è importante ricordarlo: 30 anni dalla firma della Convenzione che ha segnato l’inizio di una rivoluzione culturale ma che, lungi dall’essere completata, è infatti ancora agli inizi. La rivoluzione culturale è considerare i bambini e i ragazzi non solo oggetto di protezione da parte degli adulti, ma soggetti di diritti propri, e che costringe tutti quanti noi anche ad individuare un nuovo punto di equilibrio nei rapporti tra grandi e piccoli. Non più in termini di potestà dei genitori, ma di responsabilità.
Quali passi, secondo lei, sono ancora necessari da fare? Perché non tutti i Paesi hanno poi aderito a questa Convenzione.
R. – Questa è la Convenzione più ratificata al mondo. Il punto è che, alle dichiarazioni di principi, spesso non si accompagnano dei passi concreti. Io posso parlare dell’Italia: posso dirle che sono stati fatti dei passi in avanti in questi 30 anni, ma sono veramente pochi rispetto a quelli che ci sono da fare, perché le criticità sono tante. Ad esempio, ci sono le situazioni di povertà e la povertà aumenta con l’aumentare del numero dei figli per famiglia. Non è solo una povertà economica ma è anche una povertà educativa. Per l’Italia poi c’è proprio il problema delle disuguaglianze tra Nord e Sud, centro e periferia. E quindi c’è la necessità che lo Stato italiano individui i livelli essenziali delle prestazioni dei diritti dei bambini e dei ragazzi. Penso ai figli dei genitori separati per i quali l’Autorità ha di recente dedicato la Carta dei diritti dei figli coinvolti nella separazione dei genitori. Penso ai figli dei genitori detenuti, a cui l’Autorità ha dedicato un Protocollo con il Ministero della Giustizia. E qui ci sono non solo i bambini e i ragazzi che rischiano di essere stigmatizzati nella loro vita quotidiana, perché il genitore è in carcere, ma ci sono addirittura bambini che vivono in carcere con le madri detenute; oppure bambini e ragazzi che sono stati allontanati dalla famiglia di origine e che vivono nelle strutture di accoglienza, che comunque hanno diritto a progetti individualizzati che li possano sostenere e così favorire il recupero eventuale della famiglia di origine. E penso anche ai bambini e ai ragazzi che arrivano talvolta da soli nel nostro Paese da Paesi lontani, e che hanno diritto ad un’accoglienza adeguata al loro essere persone – che di minore hanno solo l’età – gli orfani di crimini domestici perché è un anno che è stata approvata la legge a loro dedicata, ma occorre che siano adottati i decreti attuativi della legge. Devono essere supportati dal punto di vista psicologico e da quello economico da parte dello Stato.
Qual è l’obiettivo che si pone, se ne ha uno, nell’ambito del suo mandato?
R. – È difficile essere a 360 gradi in ambiti così diversi con una struttura così snella. Per questo l’obiettivo è di strutturare l’Autorità come presidio di garanzia delle persone di minore età. E per farlo occorrono tanti passi in avanti: innanzitutto che sia conosciuta, perché è una istituzione recente, e poi che sia dotata di poteri più incisivi. Perché la legge istitutiva ci attribuisce un compito, di adottare delle raccomandazioni – sono compiti di moral suasion – che però rischia di non essere incisiva, in segmenti di estrema vulnerabilità e fragilità. Quindi la nostra attenzione è anche diretta agli strumenti per innalzare il livello di tutela.
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