Papa e cristiani in Medio Oriente: l’impegno per il ritorno nelle terre d’origine
Marco Guerra – Città del Vaticano
Le vittime dei conflitti in Medio Oriente, lo sforzo dei Paesi della regione per accogliere i profughi e il necessario impegno per fare in modo che i cristiani tornino nelle loro comunità d’origine sono tra i richiami espressi ieri da Papa Francesco nel suo discorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede.
Cristiani colpiti dall’instabilità in Medio Oriente
Il Papa ha fatto appello alla Comunità Internazionale perché si favorisca una soluzione politica del conflitto siriano, ha espresso gratitudine “alla Giordania e al Libano che hanno accolto con spirito fraterno e con non pochi sacrifici, numerose schiere di persone” e ha evidenziato che “tra quanti sono stati toccati dall’instabilità che da anni coinvolge il Medio Oriente vi sono specialmente i cristiani, che abitano quelle terre dai tempi degli Apostoli e che nei secoli hanno contribuito a edificarle e forgiarle”.
Fare il possibile per il ritorno dei cristiani
Per questo motivo il Pontefice ha incoraggiato quanti hanno cercato rifugio in altri luoghi “di fare il possibile per ritornare alle loro case e comunque a mantenere e a rinsaldare i legami con le comunità d’origine”. Il Santo Padre ha infine parlato dello scontro di molteplici interessi contrapposti che è avvenuto nel corso di questi anni e del tentativo di frapporre inimicizia fra musulmani e cristiani.
Siria tra speranza e incognite
La parole del Papa, che chiamo alla responsabilità sia le potenze regionali sia tutta la comunità internazionale, arrivano mentre diverse aree della Siria stanno lentamente tornando alla normalità dopo la sconfitta dello Stato Islamico e l’annuncio del ritiro delle truppe Usa fatto dal presidente Trump prima di Natale. Il futuro resta però incerto e pieno di incognite, la guerra prosegue ancora in alcune province controllate dai ribelli e in molte città ancora non è partita la ricostruzione.
Oltre 5 milioni di rifugiati nella regione
Il conflitto iniziato nel 2011 ha portato allo spostamento di circa la metà dei 23 milioni di siriani; 5,6 milioni di rifugiati vivono ora in altri Paesi, gran parte di essi negli Stati confinanti (Turchia, Libano, Giordania, Egitto ed Iraq). Ci sono comunque segnali di speranza, secondo l’esercito russo circa 114mila rifugiati siriani sono stati rimpatriati nel 2018, mentre l’Onu stima che nel 2019 fino a 250mila siriani potrebbero far ritorno nel loro Paese, numero che potrebbe salire a seconda delle future condizioni.
Padre Firas: ricostruire per agevolare il ritorno
Raggiunto da VaticanNews, il viceparroco della comunità latina di Aleppo e superiore del Collegio di Sant’Antonio, padre Firas Lutfi, ha espresso gratitudine per l’appello del Papa spiegando che questo va visto “nell’ottica geopolitica della zona”. Padre Firas ritiene che la Siria gode di un po’ di serenità dopo lunghi anni di combattimento ma che Aleppo, sebbene liberata dalla presenza dei jihadisti, è una città ancora in ginocchio, “che richiede molti elementi per agevolare il ritorno delle persone che sono scappate e che abitano nei Paesi limitrofi”.
Serve certezza sui diritti dei Cristiani
Il viceparroco di Aleppo ha voluto ricordare l’importanza della presenza cristiana in Medio Oriente come ponte tra l’Occidente e l’Oriente: “Per l’Occidente questa presenza cristiana è importante, per conoscere e dialogare e rapportarsi con il mondo dell’islam, direi è una grandissima risorsa”. Una presenza messa in discussione – ha ricordato ancora – dalle persecuzioni subite in Siria, Egitto e nella Valle di Ninive in Iraq. “Per convincere un cristiano a rimanere nella sua terra di origine – ha detto padre Firas - c’è bisogno di appoggio e di supporto. Il cristiano ha bisogno anche di elementi per sentirsi anche una persona che ha piena cittadinanza, non tutti i Paesi arabi godono di questa piena cittadinanza”.
Lo sforzo per la pacificazione
Dal canto suo il sacerdote sta lavorando alla riconciliazione tramite il progetto “Nome futuro” avviato nella parte est di Aleppo a maggioranza musulmana, dove negli anni di occupazione jihadista molte donne sono state violentate e hanno dato alla luce figli di miliziani che, spesso, sono poi stati rifiutati dalla comunità. In due diverse strutture sono aiutati oltre 500 bambini e le loro madri.
Diminuisce la presenza cristiana
Secondo l’ultimo rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre le comunità cristiane hanno subito un ridimensionamento in tutto il Medio Oriente a causa delle guerre e delle persecuzioni degli ultimi 20 anni. In Iraq prima della guerra del 2003 si contavano oltre un milione di cristiani, le stime attuali ne contano tra 200mila e 250mila. A Gaza la presenza cristiana si è ridotta a 100 fedeli rispetto ai 4500 segnalati negli anni ’90. I dati della Catholic Near East Welfare Association indicano che in Siria la popolazione cristiana si è dimezzata dal 2010 al 2017, passando da 2,2 milioni a 1,1 milioni.
Lo sforzo del Libano
In questi anni molti profughi hanno raggiunto il Libano, uno dei Paesi con la più massiccia comunità cristiana del Medio Oriente. Padre Gregorio Sasseen, parroco di Miehwmieh, vicino Sidone, nel sud del Libano, spiega a VaticanNews che il Libano ha pagato un prezzo molto alto per accogliere due milioni di profughi e che la comunità internazionale deve aiutare queste persone a tornare nelle loro terre.
Padre Gregorio: le religioni insegnino la convivenza
Anche Padre Gregorio ha apprezzato particolarmente il passaggio del discorso in cui il Papa chiede di “dare voce a chi non ha voce”. La voce di noi cristiani oggi in Medio Oriente è quella che dice non soltanto “aiutateci” materialmente ma come uomini che vogliono vivere nella loro terra “con dignità”. Padre Gregorio fa appello agli esponenti delle altre religioni per vivere in pace condividendo l’amore ma anche le risorse economiche. Per questo chiede che gli insegnamenti religiosi impartiti ai fedeli delle varie religioni insegnino una convivenza in nome della fraternità. “Se questo non cambia – ha concluso - le minoranze continueranno a partire da qui”.
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