Esercizi spirituali. Abate Gianni: coltiviamo sane utopie, no a ceneri del mondo
Barbara Castelli – Città del Vaticano
Pennellate di poesia, impastate di sogni. L’abate Bernardo Francesco Maria Gianni, che sta proponendo a Papa Francesco e ai membri della Curia romana le meditazioni per gli esercizi spirituali, offre profusamente citazioni e richiami: un soffio gentile sulle braci della speranza e della fiducia. A ritornare nelle sue riflessioni, presso la Casa Divin Maestro di Ariccia, ancora Giorgio La Pira, instancabile costruttore di pace, e la forza evocativa della poesia di Mario Luzi, così come Romano Guardini. Tutto è orientato a proporre uno sguardo evangelico sulle città, affinché possano divenire “luoghi ardenti di amore, di pace, di giustizia”.
È quanto ci fa cantare Mario Luzi. La città che fu il sogno di Giorgio La Pira, è una città da ravvivarne il fuoco, perché l’umanità torni a contemplarla con rinnovata speranza, riconoscendoci, come più volte cerchiamo di dire, un luogo dove passa il Signore, un luogo visitato e visitabile dal Signore.
Ravvivare la fiamma del carisma di Dio
Il benedettino olivetano, abate di San Miniato al Monte a Firenze, ricorda ai presenti che il fuoco dell’amore di Gesù è affidato anche “testimonianza”, alla “custodia” e alla “passione” di ciascuno. E questo tempo di Quaresima permette di ravvivare il fuoco reso meno ardente “per rassegnazione, per consuetudine, per quella ‘tiepidezza’ giustamente rimproverata da pagine importanti della stessa Apocalisse”.
È vero, la Lettera ai Romani, capitolo undici versetto 20 ce lo ricorda: i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili. Ma come possiamo pensarci dispensati dalla ricerca appassionata di quel combustibile necessario per tenere accese, ardente, in crescita la fiamma della vocazione che abbiamo ricevuto?
La presunzione del non aver bisogno di nulla
L’abate Bernardo Francesco Maria Gianni mette in guardia dalla presunzione del non aver “bisogno di nulla”, con la quale, rimarca, “ci riteniamo davvero dispensati dal dover prendere a cuore e a cura questo dono immenso che il Signore ci ha donato”, “con una vita di preghiera, di ascolto della sua Parola, alimentandoci della santa e divina Eucarestia, vivendo una fraternità radicale che sgorga dall’ascolta della Parola e dalla conformazione alla logica eucaristica con la quale la vita divina si fa strada in noi”. “E si fa strada, davvero”, insiste, “misticamente con la forza dello Spirito Santo”.
Un alito che è la forza dello Spirito Santo che si degna di passare attraverso di noi, che si degna di trasfigurare le nostre debolezze, le nostre fragilità, rendendole capaci di far alzare di nuovo quella fiamma degli ardenti desideri.
La sinfonia delle stagioni
Richiamando ancora le parole del profeta di speranza Giorgio La Pira, il monaco ricorda che un uomo può “nascere quando è vecchio”: e questo accade “se ci sentiamo bisognosi del bisogno e desiderosi del desiderio”, quando davvero partecipiamo “a questo evento pasquale di un’autentica rinascita dall’alto”.
E allora si tratta di riscoprire che la nostra interiorità ha una sinfonia, ha una polifonia nello spirito molto più ricca e articolata di quella che il tempo meccanico dei nostri orologi sembra suggerirci. San Paolo, nella Seconda Lettera ai Corinzi, ha parole di straordinaria potenza evocativa e di grande verità spirituale e antropologica: “Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo quello interiore si rinnova di giorno in giorno”.
Resistere alla cenere del mondo
Non bisogna, quindi, arrendersi “alla cenere dentro e fuori di noi” perché questa “seconda creazione può realizzarsi in ogni uomo, attraverso ogni parola, attraverso ogni avvenimento”.
Una prospettiva che mi sembra restituisca alla condizione umana una dignità di cui non banalmente compiacersi in un’autoreferenzialità peccaminosa, ma al contrario la spinge in una - ripeto – inquietudine che generi Pasqua ovunque e comunque, in una prospettiva che abbiamo scelto di contemplare nello spazio della convivenza cittadina, perché avvertiamo che lì soprattutto sta annidata la grande tentazione di riconoscersi solo e soltanto come cenere inerte, frutto di una combustione che ha fatto deflagrare le speranze e i sogni e soprattutto – lasciatemelo dire – delle nuove generazioni.
Di qui l’importanza di non perseguire “risultati immediati che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera”, ma azioni capaci di generare “nuovi dinamismi nella società”, capaci di dare piena fioritura all’essere umano.
La possibilità di un nuovo inizio
La vita è certo “abitudine, come una costrizione, come un orologio”, ma c’è sempre “il momento della decisione”: e questa è la “forza dell’inizio”, la “forza di novità” che “nasce dallo spirito, dal cuore”. Nella scelta prende sostanza la libertà dell’uomo, che dovrebbe plasmarsi sull’esempio di Cristo invece di dare “retta alle persone deluse e infelici”, a “chi raccomanda cinicamente di non coltivare speranze nella vita”, a “chi spegne sul nascere ogni entusiasmo dicendo che nessuna impresa vale il sacrificio di tutta una vita”.
Non ascoltiamo i “vecchi” di cuore che soffocano l’euforia giovanile; andiamo dai vecchi che hanno gli occhi brillanti di speranza. Coltiviamo invece sane utopie. Dio ci vuole capaci di sognare come Lui e con Lui mentre camminiamo bene attenti alla realtà. Sogno, fuoco, fiamma. Sognare un mondo diverso e se un sogno si spegne tornare a sognarlo di nuovo, attingendo con speranza alla memoria delle origini, a quelle braci che forse dopo una vita non tanto buona, sono nascoste sotto le ceneri del primo incontro con Gesù.
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