Papa al clero: vivete al servizio della riconciliazione tra Dio e gli uomini
Cecilia Seppia - Città del Vaticano
Dialogo a porte chiuse con i membri del clero romano incontrati come di consueto dal Papa per la tradizionale liturgia penitenziale di inizio Quaresima, nella basilica di San Giovanni in Laterano. Dopo la meditazione del cardinale vicario Angelo De Donatis, Francesco confessa alcuni sacerdoti e conclude la celebrazione offrendo in dono un sussidio per le letture di questo tempo liturgico.
Non cadere nell’autocompiacimento
Nel suo discorso, pronunciato in gran parte a braccio, il Pontefice riflette sul senso della Quaresima, sulla forza del perdono che ristabilisce la comunione a tutti i livelli e sulla grazia della misericordia di Dio, in cui la Chiesa vive e si alimenta, ma avverte subito:
Non dobbiamo mai cessare di metterci reciprocamente in guardia dalla tentazione dell’autosufficienza e dell’autocompiacimento, quasi fossimo Popolo di Dio per nostra iniziativa o per merito nostro, questo riflesso su noi stessi è molto brutto e ci farà male sempre, sia l’autosufficienza nel fare o il peccato dello specchio, l’autocompiacimento: “Che bello sono, che bravo sono…”.
Imparare a mettere Dio al centro di tutto, riconoscere che non siamo suo popolo per nostra iniziativa o per meriti personali, ma per grazia, perché Egli ci ha detto “senza di me non potete fare nulla”. Usare quella “santa passività” che non ha niente a che vedere con la pigrizia ma è abbandono alla volontà di Dio: queste sono le riflessioni che il Papa consegna ai vescovi, preti e diaconi riuniti a San Giovanni.
Saper vivere la desolazione spirituale
Riflettendo sul Libro dell’Esodo, proposto come paradigma in questi 7 anni di cammino verso il Giubileo del 2025, Francesco pone lo sguardo sull’opera grande del Signore che trasforma un “non-popolo” in Popolo di Dio: un’opera paziente di riconciliazione, così la definisce, una pedagogia sapiente in cui Egli minaccia e consola, fa prendere consapevolezza delle conseguenze del male compiuto e decide di dimenticare il peccato. Quindi invita a non avere paura dei momenti di desolazione spirituale, come quello vissuto da Israele, anzi a vivere questa assenza temporanea di Dio come un dono, rifiutando però le strade alternative e gli idoli.
Ma il Signore è furbo! La riconciliazione che Egli vuole offrire al popolo sarà una lezione che gli Israeliti si ricorderanno per sempre. Dio si comporta come un amante rifiutato: se proprio non mi vuoi, allora me ne vado! E ci lascia da soli. E’ vero, noi possiamo cavarcela soli, un tempo, sei mesi, un anno, due anni, tre anni, anche di più. A un certo punto scoppia questo. Se noi andiamo da soli, scoppia questa autosufficienza, questo autocompiacimento della solitudine.
Nuova maturità
Il Papa fa l’esempio di un sacerdote che ha conosciuto, bravo, brillante, chiamato spesso dai superiori a risanare i problemi delle comunità parrocchiali, che era però “devoto al santo specchio” finché Dio non gli ha dato la grazia di vivere la desolazione e di capire il tempo che aveva perso a compiacersi, restando solo. Quel prete – racconta il Pontefice – ha pianto e poi ha ricominciato di nuovo con umiltà. Da qui, esorta il clero di Roma alla grazia delle lacrime e a sperimentare quella “tristezza buona” di quando Dio minaccia la sua assenza per poi farci di nuovo dono della sua presenza e pone l’accento sui risvolti positivi di ogni esperienza dolorosa. Israele, come descritto nel Libro dell’Esodo, acquista una maturità nuova, è più lucido anche nel comprendere i veri pericoli del cammino:
E’ buono, questo: avere un po’ di paura di noi stessi, della nostra onnipotenza, delle nostre furbizie, dei nostri nascondimenti, del nostro doppio gioco. Se fosse possibile, avere più paura di questo che dei serpenti, perché questo è un vero veleno … E il popolo, così, è più unito intorno a Mosè e alla Parola di Dio che egli annuncia. L’esperienza del peccato e del perdono di Dio è ciò che ha permesso ad Israele di diventare un po’ di più il Popolo che appartiene a Dio.
Evitare di truccarsi l’anima
Riflette anche Francesco sull’esperienza della confessione del peccato che spesso siamo soliti nascondere non solo a Dio, ma anche al sacerdote e persino a noi stessi:
La cosmetica è andata tanto avanti, in questo: siamo specialisti nel truccare le situazioni … “Sì, ma non è per tanto, si capisce …”. E un po’ d’acqua per lavarsi dalla cosmetica ci fa bene a tutti, per vedere che non siamo tanto belli: siamo brutti, brutti anche nelle nostre cose. Ma senza disperarci, no?, perché c’è Dio clemente e misericordioso
Il peccato deturpa
Quindi invita i preti e i vescovi a predicare in questo tempo quaresimale l’amore appassionato e geloso che Dio ha verso il suo popolo, ma anche ad essere consapevoli del loro ruolo nella Chiesa: quello di svolgere un servizio generoso all’opera di riconciliazione di Dio. Li esorta al dialogo franco con Cristo, da uomini e non da pusillanimi. Chiede loro di non considerarsi amministratori del popolo ma servi che non accettano la corruzione. Un tutt’uno con i fratelli, con la comunità, pronti a lottare per il popolo. Poi denuncia l’atteggiamento di quei preti che parlano male ai vescovi della propria gente e tutti quei mali dolorosi che sporcano l’immagine della Chiesa:
II peccato ci deturpa, e ne facciamo con dolore l’umiliante esperienza quando noi stessi o uno dei nostri fratelli sacerdoti o vescovi cade nel baratro senza fondo del vizio, della corruzione o, peggio ancora, del crimine che distrugge la vita degli altri.
Lo scandalo degli abusi
E in quest’ottica Francesco non può non citare, con dolore e amarezza, il grave peccato degli abusi commessi da membri del clero. “Sento di condividere con voi il dolore e la pena insopportabili – prosegue il Papa - che causano in noi e in tutto il corpo ecclesiale l’onda degli scandali di cui i giornali del mondo intero sono ormai pieni”.
È evidente che il vero significato di ciò che sta accadendo è da cercare nello spirito del male, nel Nemico, che agisce con la pretesa di essere il padrone del mondo, come ho detto nella liturgia eucaristica al termine dell’Incontro sulla protezione dei minori nella Chiesa. Eppure, non scoraggiamoci! II Signore sta purificando la sua Sposa e ci sta convertendo tutti a sé. Ci sta facendo sperimentare la prova perché comprendiamo che senza di Lui siamo polvere. Ci sta salvando dall’ipocrisia, dalla spiritualità delle apparenze.
Pentimento, inizio di santità
Dio – aggiunge il Papa - soffia il suo Spirito per ridare bellezza alla sua Sposa ma il pentimento è fondamentale, anzi è l’inizio della nostra santità. Perciò chiede ai sacerdoti di Roma di non avere timore di giocarsi la vita al servizio della riconciliazione tra Dio e gli uomini, nonostante la vita di un prete possa essere spesso segnata da incomprensioni, sofferenze e talvolta persecuzioni e peccati.
Le lacerazioni tra fratelli della nostra comunità, la non-accoglienza della Parola evangelica, il disprezzo dei poveri, il risentimento alimentato da riconciliazioni mai avvenute, lo scandalo suscitato dai comportamenti vergognosi di alcuni confratelli, tutto questo può toglierci il sonno e lasciarci nell’impotenza. Crediamo invece nella paziente guida di Dio, che fa le cose a suo tempo, allarghiamo il cuore e mettiamoci al servizio della Parola della riconciliazione.
Quaresima di carità
Francesco conclude invitando i membri del clero romano a chiedere perdono a Dio e ai fratelli di ogni peccato che ha minato la comunione ecclesiale e ha soffocato il dinamismo missionario. “Siate voi i primi a chiedere perdono” dice il Pontefice, mentre rilancia il sostegno alla campagna della Caritas diocesana: “Come in cielo, così in terra” per vivere una Quaresima di carità e rispondere a tutte le forme di povertà accogliendo e sostenendo chi ha bisogno.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui