Amoris laetitia: perché è in continuità con l’insegnamento della Chiesa
“La pubblicazione dell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia ha provocato diverse reazioni e dibattiti tra teologi e filosofi, tra pastori e fedeli. La problematica può essere riassunta in una sola questione: questo documento si inscrive nella continuità dell’insegnamento morale e sacramentale della Chiesa oppure costituisce una rottura?”. Inizia così la riflessione - pubblicata oggi dall’Osservatore Romano - della professoressa belga Laetitia Calmeyn, docente di teologia presso il Collège des Bernardins a Parigi, nominata l’anno scorso da Papa Francesco consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede.
La nota 351
In particolare, la teologa si sofferma sulla nota 351 del capitolo ottavo del documento pontificio, dove si parla dell’aiuto dei Sacramenti da offrire a persone che si trovano in situazione cosiddetta “irregolare”. Secondo le parole stesse del Papa, «a causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (AL, 305). La nota 351 precisa: «In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti…».
Fautori del vietato e fautori del permesso
Una certa “focalizzazione” sul capitolo ottavo - spiega la Calmeyn – “non consente di vedere agevolmente in che modo l’insieme del documento offra la possibilità di recepire una comprensione di simile aiuto che sia conforme alla tradizione. Cristallizzandosi sulla questione dell’accesso o meno dei divorziati risposati alla comunione, l’approccio mediatico non ha lasciato emergere l’apporto specifico di Amoris laetitia. I fautori del ‘permesso’ si collocano di conseguenza lungo una pratica vieppiù sprovvista di giudizio morale e di discernimento spirituale. I fautori del ‘vietato’ considerano le esigenze della legge morale isolandole dalla nozione, fondamentale e tradizionale, rappresentata dalla legge di gradualità. Se l’Esortazione non intende rispondere alla questione riguardante l’accesso o no ai sacramenti, ciò è precisamente perché il quadro di riflessione in cui si colloca non è quello del permesso/vietato, quanto piuttosto quello del cammino nel e verso il bene, dunque quello del discernimento, dell’accompagnamento e dell’integrazione delle diverse situazioni. È la nozione classica di ‘cammino nel bene’, altrimenti detta ‘legge di gradualità’, a permetterci di cogliere il reale contributo di Amoris laetitia e il modo in cui il documento si inscrive nella Tradizione”.
La morale cristiana ha la sua fonte nella buona notizia di un Dio che ci ama
“Tutti - sottolinea - facciamo l’esperienza di una tensione reale tra l’esigenza espressa dalla morale evangelica e la situazione concreta delle persone, tra la dimensione assoluta dei comandamenti e il cammino di ciascuno. Simile tensione ci conduce a non considerare i valori morali come fossero un ideale inaccessibile o riservato a una élite, ma come l’espressione stessa della misericordia di Dio che ci offre la sua grazia per entrare, passo dopo passo, nel compimento delle sue esigenze”. “La morale cristiana ha la sua fonte nella buona notizia di un Dio che per amore ha dato la propria vita per noi. La morte e resurrezione di Cristo, la salvezza, ci illumina circa il bene da compiere qui e ora. Come lo ricorda Papa Francesco: «Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da sé stessi per cercare il bene di tutti. Quest’invito non va oscurato in nessuna circostanza!» (EG, 39). Proprio in questo senso intende mostrare, in Amoris laetitia, come ogni famiglia, per quanto ferita possa essere, sia portatrice di una buona notizia, la buona notizia dell’amore di Dio per lei, quell’amore che si è invitati a contemplare e ad annunciare proprio perché possa crescere”. Quindi, “il bene sembra sempre possibile”.
Veritatis splendor
“Nell’enciclica Veritatis splendor, Giovanni Paolo II descriveva già il modo in cui noi possiamo, perfino nei momenti più bui della nostra storia, contemplare la verità e testimoniare, per mezzo dei nostri atti liberi, lo ‘splendore della Verità’. La verità di cui qui si tratta non ha a che fare né con una certezza intellettuale, né con un sistema di valori in grado di offrire punti di riferimento chiari, ma con l’offerta che Gesù ha compiuto di Lui stesso al Padre (…) È proprio alla luce del dono totale di Cristo che mi sembra potersi comprendere la legge di gradualità, il cui punto centrale consiste nello stabilire qual è il bene accessibile alla tale persona nella tale determinata situazione”.
Humanae vitae
La teologa belga illustra, quindi, il concetto della “legge di gradualità”. La nozione fa la sua comparsa nel pontificato di Giovanni Paolo II, ma l’idea di una gradualità è già presente nell’enciclica Humanae vitae (1968): “Al numero 14, Paolo VI, trattando di morale coniugale, afferma che poteva essere talvolta lecito tollerare un male minore, a condizione di non volerlo positivamente (cf. n. 14). Proprio allorché sottolinea la necessità di insegnare e di esplicitare la verità, senza ambiguità e con pazienza, l’enciclica invita infatti ad adottare un atteggiamento di attenzione alle debolezze dell’uomo, mostrando compassione per il peccatore (cf. nn. 28-29). Perché è la vita di fede radicata nei sacramenti quella che permette ai coniugi cristiani di camminare nel bene (cf. n. 25)”.
Paolo VI precisa le condizioni della gradualità
In un Discorso del 4 maggio 1970 rivolto alle Équipes Notre Dame, “Paolo VI precisa le condizioni di tale cammino (cf. nn. 13-16). Una certa gradualità può essere ammessa in rapporto ai mezzi. Ma occorre che la volontà sia orientata al vero bene, così da riconoscere, «attraverso i rischi dell’esistenza», i mezzi adeguati da adottare”. Il cammino di perfezione della vita cristiana necessita del ricorso ai mezzi di grazia, allo Spirito Santo stesso: «tutte le risorse di grazia della Chiesa sono a disposizione per aiutare [i coniugi] ad incamminarsi verso la perfezione dell’amore».
Familiaris consortio
Nel Discorso di chiusura del Sinodo sulla famiglia, il 25 ottobre 1980, Giovanni Paolo II chiamava esplicitamente in causa la “legge di gradualità”, considerata come uno dei principali apporti scaturiti dai lavori assembleari. “La verità morale è praticabile, per quanto ciò richieda del tempo, un combattimento paziente e l’aiuto della grazia. L’esortazione post-sinodale Familiaris consortio (1981) precisa che l’essere umano «conosce ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita» (FC, 34). Non si tratta di ‘gradualità della legge’, ma di una gradualità nel compimento prudente di atti liberi che si vive grazie alla «progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore definitivo ed assoluto nell’intera vita personale e sociale dell’uomo» (FC, 9)”.
Cristo ci ha redenti
Nell’enciclica Veritatis splendor (1993) - osserva la Calmeyn - Giovanni Paolo II ricorda che «la presentazione limpida e vigorosa della verità morale non può mai prescindere da un profondo e sincero rispetto, animato da amore paziente e fiducioso, di cui ha sempre bisogno l’uomo nel suo cammino morale, spesso reso faticoso da difficoltà, debolezze e situazioni dolorose» (VS, 95). Per precisare poi che «solo nel mistero della Redenzione di Cristo stanno le “concrete” possibilità dell’uomo. […] Ma quali sono le “concrete possibilità dell'uomo”? E di quale uomo si parla? Dell’uomo dominato dalla concupiscenza o dell’uomo redento da Cristo? Poiché è di questo che si tratta: della realtà della redenzione di Cristo. Cristo ci ha redenti! Ciò significa: Egli ci ha donato la possibilità di realizzare l’intera verità del nostro essere; Egli ha liberato la nostra libertà dal dominio della concupiscenza. […] Il comandamento di Dio è certamente proporzionato alle capacità dell’uomo: ma alle capacità dell’uomo a cui è donato lo Spirito Santo; dell’uomo che, se caduto nel peccato, può sempre ottenere il perdono e godere della presenza dello Spirito» (VS, 103).
Una pedagogia pasquale
Infatti - afferma la teologa - solo l’azione della grazia libera dal peccato e permette di «rinascere dall’alto». “La gradualità acquista il proprio significato alla luce della pedagogia divina. La sua fonte si radica nella grazia della sequela di Cristo, nella logica sacramentale dell’identificazione a Cristo, Colui «che Dio trattò da peccato in nostro favore» (2Cor 5, 21) – nel quale dunque noi siamo morti al peccato –, e che è risuscitato per la nostra vita. Si tratta perciò di una pedagogia propriamente pasquale”.
Non chiudere la via della grazia dividendo tutto in bianco e nero
“È unendoci perciò sempre più alla morte e alla risurrezione di Cristo, nella testimonianza del nostro battesimo, che arriviamo a discernere la salvezza di Dio all’opera nelle situazioni. Ciò suppone che il discernimento, il giudizio, l’accompagnamento, s’inscrivano in una dinamica di fede, di carità e di speranza; altrimenti detto, d’intercessione e di ringraziamento. Qual è il germe di bene che intravedo in questa situazione? Come farlo crescere? Papa Francesco così si esprime in Amoris laetitia: «Un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali». Non si tratta in effetti di applicare la legge dall’esterno, ciò che porterebbe allo scoraggiamento delle persone nel loro cammino. È Cristo che ci offre la luce per discernere: «Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio. Ricordiamo che ‘un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà’ (cf. Evangelii gaudium, 44). La pastorale concreta dei ministri e delle comunità non può mancare di fare propria questa realtà». «In qualunque circostanza, davanti a quanti hanno difficoltà a vivere pienamente la legge divina, deve risuonare l’invito a percorrere la via caritatis. La carità fraterna è la prima legge dei cristiani» (cf. AL, 305-306)”.
Amoris laetitia iscritta nella Grande Tradizione fondata sul kerygma
Laetitia Calmeyn conclude: “Tale approccio al bene praticabile non impedisce che ci siano dei mali da tollerare perché non imputabili alla persona, in quanto causati, per esempio, «dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali» (CCC, 1735). Occorre precisare che tali mali non giustificano mai l’eccezione, quasi che qualcuno possa essere dispensato dal compiere il bene che può fare, che gli è consentito di compiere. Perché è sempre per la relazione al Bene, al Bene sommo che è la misericordia di Dio, che siamo progressivamente liberati dal male. Comprendiamo dunque perché i mali che ci affliggono non ci esonerano dal volgerci a Cristo, a Colui nel quale osserviamo i comandamenti, ricordandoci che il solo modo di non uccidere è quello di donare la vita, il solo modo di non commettere adulterio è quello di essere fedele, il solo modo di non rubare è quello di condividere e donare i propri beni, il solo modo di non dire falsa testimonianza è quello di rendere testimonianza alla verità, il solo modo di non bramare con cupidigia è quello di rendere grazie. Simile dimensione positiva dei comandamenti è sempre accessibile. La si vive passo dopo passo. Essa offre alla legge di gradualità il suo vero contenuto. Tale cammino nel e verso il bene ci consente di percepire come Amoris laetitia si inscriva nella Tradizione, la grande Tradizione che ha il suo fondamento nel kerygma. Associandoci alla morte e alla risurrezione del Signore, nell’intercessione e nel ringraziamento, giungiamo a riconoscere che il bene è più profondo del male, che la vita zampilla più profondamente della morte, perché è la vita del Risorto”.
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