Francesco alla sua diocesi: non risistemare, ma ascoltare il grido della gente
Adriana Masotti - Città del Vaticano
Due i temi centrali su cui si è concentrata la diocesi del Papa nel suo recente cammino pastorale: “fare memoria” e “riconciliazione”. Le parrocchie e le varie realtà ecclesiali romane hanno fatto un bilancio del cammino fin qui percorso e guardato al programma per il prossimo anno in cui si vivrà la terza fase dell’itinerario, cioè “l’ascolto della città”. E stasera, a conclusione dei lavori di questi giorni, hanno ascoltato, alle 19 nella basilica di San Giovanni in Laterano, le parole di Francesco stesso. Grazie alle sue indicazioni e sollecitazioni, verranno impostate le tappe future.
L'ingresso in basilica di Francesco
I posti in Basilica sono tutti occupati, c’è l’attesa e la gioia per il prossimo incontro con il vescovo di Roma. In sottofondo il suono dell’organo.
Papa Francesco entra accompagnato dal cardinale vicario Angelo De Donatis. Nella preghiera che precede il suo intervento si chiede “la capacità di ascoltare il grido di questa città” e l’aiuto del Signore “che ascolta sempre il grido del suo popolo”. Segue la lettura del brano tratto dal libro dell’Esodo dove si racconta dei figli di Israele che si accampano nel deserto mentre Mosè è a colloquio con il Signore.
La presentazione della Chiesa di Roma
Ed è il cardinale De Donatis ad aprire l’incontro con Francesco per cedere poi la parola a un parroco di Roma. Don Mario racconta al Papa quello che la diocesi ha vissuto in questi anni. Il quadro che presenta parla del numero dei lontani che va crescendo, del calo delle vocazioni, dei battesimi e dei matrimoni. La frequenza alla messa è del 9/10 per cento. Ma c’è un’altra faccia della medaglia, a Roma ci sono tante cose belle. Ma quanto incide la Chiesa sulla città? La questione fondamentale è, dice don Mario, la nuova evangelizzazione di Roma che, cuore della Chiesa e centro della cristianità, è diventata “terra di missione”. Deve quindi diventare missionaria. “Ci aiuti ad andare avanti” è la richiesta conclusiva di don Mario al Papa.
Le testimonianze offerte al Papa
Una giovane, responsabile di una casa famiglia per ragazzi disagiati, una famiglia romana e don Benoni Ambarus, direttore della Caritas diocesana, offrono la loro testimonianza al Papa. Emergono dalle loro parole le difficoltà di tanti giovani che ricorrono alle droghe e all’alcol e le cui domande non trovano risposta. Le difficoltà di tante coppie che scelgono ancora di sposarsi e di avere figli, o che sono ferite dalla separazione e dalla solitudine. E quelle che vorrebbero avere più tempo per coltivare le relazioni tra loro. E infine le tante persone ai margini incontrate tutti i giorni da quanti operano nella Caritas, sentendosi inadeguati, ma senza perdere la speranza e la fiducia in Dio e grati di quanto ricevono loro stessi dagli ultimi. Il grido dei giovani, il grido delle famiglie, il grido dei poveri.
Le parole forti di Francesco
Il Papa comincia a parlare ed è subito spiazzante. Dice che la prima tentazione è mettere ordine nella diocesi, nelle parrocchie, ma che questo “è tornare a guardare a noi, a guardarci dentro”. Avremo messo a posto il museo - afferma - messo tutto in ordine. Questo significa addomesticare il cuore della gente, dei giovani, addomesticare le famiglie e questo sarebbe il peccato più grave perché è quello della mondanità. Non si tratta di sistemare. E facendo riferimento alle testimonianze sentite continua: abbiamo sentito dello squilibrio, noi siamo chiamati a prendere lo squilibrio con le mani, non possiamo avere paura dello squilibrio. Questo è ciò che il Signore ci dice. “Il Vangelo è una dottrina squilibrata". Prendete le Beatitudini, meritano il premio Nobel dello squilibrio. E ricorda come gli apostoli si fossero innervositi quando al tramonto la folla continuava ad ascoltare Gesù, "loro hanno guardato l’orologio e hanno detto: questo è troppo". Dobbiamo pregare e poi mangiare e poi fare tante cose…. Signore congedali, gli dicono, perché il posto è deserto, che vadano a comprarsi da mangiare. Questa è la tentazione dell’equilibrio della gente di Chiesa tra virgolette, dice il Papa. Io credo che lì è cominciato il clericalismo: che loro vadano... E così avremo una bella diocesi che funziona. Clericalismo e funzionalismo. Devo dirlo: sto pensando in questo momento ad una diocesi che ha più dipendenti del Vaticano e che si sta sempre più allontanando da Dio, perché rende culto all’armonia, non della bellezza, ma del buon funzionamento. "Si organizzano incontri, tante cose, sinodi, ma perché ci sia un Sinodo ci vuole lo Spirito Santo - afferma Francesco - che con un calcio butta all’aria il tavolo". Attenzione a non diventare così, ma mi sembra che con le cose che ho sentito, siamo lontani da questo.
Ascoltare il grido della gente
Che cosa chiede la gente al Signore? Spesso anche noi non ascoltiamo le persone, prosegue Francesco, perché abbiamo smesso di ascoltare con il cuore, e così siamo sordi al grido della città. Il Papa esorta a riprendere in mano il discorso che aveva fatto a Firenze (al Convegno ecclesiale della Chiesa italiana il 10 novembre 2015), che insieme all’Evangelii gaudium esprime il piano della Chiesa per Roma e per l’Italia. E dice che ci sono due elementi da cui cominciare: il primo è l’umiltà.
Umiltà per ascoltare la gente
Quando il Signore vuole convertire la sua Chiesa prende il più piccolo e lo mette al centro invitando tutti a diventare piccoli e ad umiliarsi così come ha fatto Lui. "La riforma della Chiesa comincia con l’umiltà e cresce con le umiliazioni". Così il Signore neutralizza le nostre aspirazioni di grandezza. Solo chi segue Gesù facendosi come un bambino potrà contribuire al Regno. Chi cerca la propria gloria come potrà riconoscere Gesù nei piccoli: non ha né occhi, né orecchie per gli altri. “Guai a chi guarda dall’alto al basso e disprezza i piccoli”, dice il Papa. Anche quando i loro comportamenti fossero distanti dal Vangelo, nulla giustifica il nostro disprezzo...
Disinteresse verso di sè
Il secondo elemento è il disinteresse. Abbiamo interessi personali noi qui stasera? Si chiede. Ad esempio, siamo preoccupati del futuro del nostro istituto, del consenso sociale, di quello che la gente dirà, siamo attaccati a quel po’ di potere che ancora esercitiamo sulle persone del nostro quartiere? "Lo Spirito Santo non capisce l’equilibrio". Il disinteresse verso se stessi è la condizione necessaria per interessarsi agli altri, per ascoltare davvero. E parla del peccato dello specchio che consiste nel narcisismo e nell’autoreferenzialità. Il buon pastore, ricorda, lascia le 99 pecore al sicuro per cercare quella smarrita. Noi siamo invece spesso ossessionati per le poche pecore che sono rimaste dentro il recinto. Passiamo il tempo a pettinare le poche pecore che abbiamo. “Tutto merita di essere lasciato e sacrificato per il bene della missione”, afferma Francesco. Che il Signore ci dia l’audacia di chi non ha interessi e guarda con empatia alle vite degli altri.
Le Beatitudini, piatto forte del Vangelo
Parla poi delle Beatitudini che sono un messaggio cristiano, ma anche umano “che ci fa vivere, ci fa andare avanti”. Sperimentarle significa aver imparato dov’è la vera vita. Attenzione, dice il Papa, a non inciampare a causa delle proposte egocentriche, invece “le Beatitudini ti spogliano, ma ti fanno più leggero nel seguire Gesù”. Lui dice di non scandalizzare i piccoli. Alle persone fragili possiamo offrire la via delle Beatitudini perché noi le abbiamo sperimentate, cioè abbiamo sperimentato la gioia, la misericordia, la vita di famiglia dove si è accolti così come si è. E cita due parole che rischiano l’estinzione: mitezza e tenerezza. Le Beatitudini non sono ancora il nostro piatto forte, invece dobbiamo offrire ai nostri cittadini il piatto forte del Vangelo. Non cadiamo nell’indifferenza, raccomanda. Se cadiamo nella presunzione meritiamo le parole di Gesù: non ho bisogno di voi, non servite a nulla.
Esercitare uno sguardo contemplativo sulle persone
L’esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi”, e “Evangelii gaudium”, sono i documenti fondamentali a cui tornare, insiste il Papa e fa due sottolineature che rappresentano anche i compiti che affida alla sua diocesi: il primo è esercitare uno sguardo contemplativo sulle persone che vivono nella città. Capire come vivono, che cosa sentono, cosa pensano le persone del nostro quartiere: raccogliere storie di vita, fate parlare i bambini e i vecchi per non perdere le radici e diventare “gassosi”. E toccare la realtà.
Esercitare uno sguardo contemplativo sulle nuove culture
E’ necessario poi, ed è il secondo compito, esercitare lo sguardo contemplativo sulle nuove culture che vivono nelle città. Sono i contesti urbani che producono le nuove culture nel bene e nel male come corruzione , droga, abuso, criminalità, guerra tra poveri, xenofobia, razzismo. “Oggi ho incontrato in Vaticano 500 rom e ho sentito cose dolorose”, dice il Papa. State attenti al razzismo, al populismo che almeno in Europa cresce seminando paura. Ma c’è anche tanto bene nelle città, tanti incontri tra persone e gruppi. Il Signore benedica il nostro ascolto della città, conclude. “Non risistemare, eh”, raccomanda ancora una volta Francesco prima della recita di un Ave Maria alla Madonna perché accompagni questo processo, e dare a tutti la sua benedizione.
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