Le parole del Papa e il possibile Sinodo della Chiesa italiana
ANDREA TORNIELLI
Le parole meditate che il Papa ha pronunciato in apertura dei lavori della 73° Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana sono state interpretate da qualcuno come un evidente sostegno in favore della celebrazione di un prossimo Sinodo della Chiesa italiana. Rileggendo con attenzione l’intervento del Pontefice si comprende però che Francesco non ha voluto fare pressioni sull’episcopato italiano per indirizzarlo a organizzare – magari in tempi rapidi – un nuovo Sinodo, quanto piuttosto abbia inteso indicare ancora una volta un metodo.
Il cammino della sinodalità che coinvolge tutto il popolo di Dio, e quello della collegialità episcopale in comunione con il Vescovo di Roma, sono stati citati dal Papa per evitare scorciatoie che inevitabilmente rischiano di poggiarsi sulle idee di alcuni invece che sulla realtà e sul coinvolgimento dal basso. È una via certamente meno immediata, più di lungo respiro, ma che prevede un lavoro di base e passa per il coinvolgimento di tutti nella Chiesa italiana, non soltanto degli addetti ai lavori o delle élite.
A questo movimento dal basso verso l’alto, Francesco ne ha aggiunto un secondo, dall’alto verso il basso. Ma anche qui, a scanso di equivoci, ha richiamato esplicitamente il discorso che aveva rivolto alla Chiesa italiana durante il V Convegno Nazionale a Firenze, il 10 novembre 2015. Un discorso che “rimane ancora vigente e deve accompagnarci in questo cammino”, nel quale aveva invitato ogni diocesi, ogni comunità e ogni parrocchia ad avviare “in modo sinodale” un approfondimento dell’esortazione Evangelii gaudium, traendo da essa criteri pratici per attuarla. Non è un mistero che il Papa ritenga ci sia ancora molto lavoro e cammino da fare in questa direzione, come ha sottolineato pochi giorni fa al convegno della diocesi di Roma.
“Se qualcuno pensa di fare un sinodo sulla Chiesa italiana – ha detto Francesco ai vescovi italiani riuniti in Assemblea - si deve incominciare dal basso verso l’alto, e dall’alto verso il basso con il documento di Firenze. E questo prenderà, ma si camminerà sul sicuro, non sulle idee”. Sarà un percorso più lungo, che richiederà tempo. Ma sarà fruttuoso soltanto se “camminerà sul sicuro” della realtà e dell’esperienza quotidiana di tutte le comunità, e non su progetti costruiti a tavolino o in laboratorio.
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