Al via il Convegno di Napoli. Tra i temi, le migrazioni
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
Sono già arrivati tutti a Napoli da diverse parti d'Italia ma anche dell'Europa e del Mediterraneo, i diciassette relatori che animeranno la due giorni di Convegno nella sede della Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, in attesa dell'ospite d'onore, Papa Francesco che si unirà ai presenti, circa un migliaio di persone, intorno alle 09.00 di domani.
Oggi, primo giorno, ciascuna delle riflessioni servirà ad analizzare la complessità e le contraddizioni che caratterizzano il Mediterraneo, il contesto al quale si rivolge la nuova teologia elaborata dalla Facoltà. "La teologia contestuale" come la definiscono qui gli studiosi, cioè una teologia che non modifica appunto la Verità rivelata, ma legge e interpreta le "cose divine" in relazione alla dimensione sociale, politica, culturale e religiosa che ci troviamo a vivere.
Migranti: pietre d'inciampo o occasione
Della multiforme realtà mediterranea fanno parte alcuni "segni dei tempi" come l'interculturalità, il dialogo e soprattutto le migrazioni. A quest'ultimo tema è dedicata la relazione del professore Valerio Petrarca, docente di Antropologia culturale all'Università Federico II di Napoli che, parlando a Vatican News, spiega alcuni degli aspetti di un fenomeno senza tempo, che oggi occupa l'attenzione principale dei governi euopei e non solo. Si parte dalla retorica con cui i Paesi ricchi argomentano la questione per contrapporla al fenomeno migratorio inteso come occasione: una schiera cioè di oppositori e favorevoli, la cui configurazione stessa, dice il professore, affonda in un presupposto errato.
Colonizzazione europea e migrazioni attuali
Nella sua riflessione Petrarca evidenzia anche l'eredità storica che le migrazioni portano con sè in Europa: "I viaggi senza invito degli europei nel passato verso i mondi colonizzati e i viaggi, altrettanto senza invito, dei migranti di oggi con rotta invertita". Ma l'aspetto più grave che il professor Petrarca mette in luce è quello dei diritti negati: i diritti della persona che estendono a tutti la libertà di emigrare e a pochi quella anche di approdare. Ad accompagnare le riflessioni del professore, inoltre, una serie vivida di immagini che fanno pensare:
R. – Di fronte a un fenomeno così complicato e contraddittorio, il fatto che ci si divida in due fazioni tra chi è favorevole e chi è contrario, è il segno che non si intende considerarlo, appunto, un segno dei tempi, un po’ come se noi stessimo in una bella barca – perché l’Europa è una bella barca – in mezzo al mare, si alza il vento e cominciassimo a disputare se ci piace o non ci piace il vento, rinunciando a prenderlo dalla parte giusta e a giovarci di questo fenomeno, che è un principio di realtà. Quindi, questo modo di dividersi tra due partiti ci dice che in fondo i Paesi ricchi parlano, a proposito dei migranti, più delle lacerazioni interne di schieramenti politici che dei migranti. Diciamo che parlano più “sui” migranti che “dei” migranti.
Al convegno lei si fa aiutare e sostenere da alcune immagini, tra queste quelle di migranti nascosti tra le merci: molti hanno trovato la morte in queste condizioni. Un’immagine forte, per dire cosa?
R. – Per dire, appunto, che le migrazioni ci obbligano a ripensare ai nostri valori e anche alla nostra Storia, perché ci dicono che effettivamente in molte aree dell’Occidente il diritto tende a spostarsi a favore delle merci. Lei sa che nel Diritto internazionale ogni persona ha il diritto di emigrare, ma non ha il diritto di approdare, diciamo; è come se si consentisse a tutti di fare un passo però senza garantire anche un appoggio, cioè anche l’approdo. Quindi sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista culturale, sia dal punto di vista propriamente giuridico, sono un’occasione per ripensare ai valori dell’Europa e a non lasciare tutta questa complicata, contraddittoria storia ad una regolamentazione puramente mercantile. Se così fosse, significherebbe che questo mondo a cui i migranti agognano è in effetti già finito: una civiltà non può basarsi soltanto sulla forza e sulle merci.
Quando il Papa ha lanciato il suo messaggio per la Giornata mondiale dei poveri, tra le nuove schiavitù che lui ha incluso nelle povertà dell’oggi, ha posto anche la schiavitù dei migranti, dicendo: “I poveri non sono numeri ma sono persone cui andare incontro”. Perché questo “andare incontro” fa paura?
R. – Credo che ci siano due aspetti. “Andare incontro” è accettare la sfida dei tempi nella sua complessità, che è fatta di molte cose, non solo di carattere economico ma anche di carattere culturale. Andare incontro significa anche cercare di capire le ragioni dell’altro.
Quali gli errori che si commettono quando si parla di questo argomento?
R. – Se ne parla troppo e se ne parla male, per risolvere problemi o dispute che con i migranti c’entrano poco. Si usano le persone meno garantite per altre dispute che non riguardano – ripeto – i migranti.
Dal suo punto di vista, si può regolamentare un fenomeno così imponente nel rispetto della dignità e dei diritti?
R. – Noi dobbiamo vedere che cos’è più importante, e io direi che la cosa più importante sono i diritti, che è l’aspetto in cui l’Occidente ha qualcosa da dire. L’inviolabilità e la sacralità delle persone: se noi incominciamo a riflettere su ciò che più ci accomuna e che per noi è irrinunciabile, poi le strade si trovano anche per regolamentare, anche per pensare a un futuro vantaggioso per tutti. Ma anziché inseguire i numeri che vengono spesso stravolti, bisogna ragionare preliminarmente su che cosa noi riteniamo, in una gerarchia di valori e nella civiltà del diritto, essere il bene più prezioso.
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