Romania, vescovi martiri: uniti al Papa fino alla fine
Alessandro De Carolis – Bucarest
“Catene e terrore” è il titolo del libro che racconta l’infamia della persecuzione anticattolica in Romania. Pubblicato qualche anno fa, dalle sue pagine affiora la vicenda di mons. Ioan Ploscaru, uno dei vescovi greco-cattolici scampato all’inferno nel quale la sua comunità ecclesiale fu piombata dal regime comunista in quel primo dicembre 1948, messa fuori legge per decreto e i suoi membri condannati allo strazio di nuove “catacombe”.
A schiena dritta
La sorte di mons. Ploscaru – scomparso nel 1998 a 87 anni – diversa negli esiti è stata drammaticamente simile nel suo svolgersi a quella dei sette confratelli finiti annientati da anni di torture fisiche e psicologiche tra le più disumane e ora giunti a un passo dagli altari conquistati grazie a una fede d’acciaio. Perché bisognava avere la schiena molto dritta per resistere alla seduzione di una carica ecclesiastica di rango, a patto di spezzare l’unità con Roma, e ancora più solida nel sapere che il prezzo del rifiuto sarebbe stato una morte data con feroce sadismo. Davanti a questi vescovi dal meraviglioso coraggio volle chinarsi Giovanni Paolo II durante la sua visita a Bucarest, nel maggio del ’99. Lo stesso si appresta a fare Francesco, che ora può proclamare solennemente Beati gli stessi che Papa Wojtyla, stessa tempra di combattente, poté solo affidare alla preghiera.
Baciare le catene
Domenica prossima nel Campo della Libertà di Blaj – il luogo dove il 15 maggio 1948 il più giovane dei vescovi, Ioan Suciu, disse uno dei primi “no” al regime che voleva annientare i greco-cattolici – risuoneranno i sette nomi, e le rispettive storie, di questi uomini, Vasile Aftenie e Ioan Balan, Valeriu Traian Frentiu, Ioan Suciu, Tit Liviu Chinezu, Alexandru Rusu. “Nel ’52 Pio XII avrebbe voluto baciare le catene dei martiri, di quella generazione finita in carcere per non rinnegare la fede cattolica”, ricorda a Vatican News il vescovo dell’eparchia greco-cattolica di San Basilio Magno, Mihai Cătălin Frătilă. “Oggi – prosegue – Francesco viene a chiudere un arco di tempo dove nel benedire questa eredità di fede, speranza e carità, viene a esprimere la vicinanza del pastore, del Padre che riconosce questa estrema testimonianza per tutta la Chiesa cattolica”.
Resto con i miei
Mons. Hossu, che Paolo VI nominò cardinale in pectore nel ’69, è stato uno dei pastori modello della Chiesa greco-cattolica perseguitata. Su di lui stanno girando un film, “Binecuvântată închisoare (Benedetta prigione). C’era un accordo col regime dell’epoca: accettando la porpora mons. Hossu avrebbe dovuto lasciare la Romania. Nella scena che mostra l’arrivo del delegato papale con la nomina a cardinale si vede il vescovo inginocchiarsi, baciare il sigillo e la firma del Papa. E poi ringraziare e dire: no, io rimango dov’è il mio gregge.
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