Madagascar, missionari accanto a poveri e malati. L'attesa del Papa
Antonella Palermo – Città del Vaticano
Nel corso della settimana di ‘deserto comunitario’ - esperienza di preghiera silenziosa e condivisione del Vangelo, che ogni anno raduna nella ‘Città dei Ragazzi’ di Cuneo, cuore pulsante del Movimento, centinaia di persone tra cui moltissimi giovani - abbiamo incontrato tre Sorelle che ben conoscono il Madagascar. Suor Lucia, o come preferisce essere chiamata confidenzialmente Lucy, festeggia in questi giorni sessant’anni di vita in Comunità e le brillano gli occhi ripensando ai 25 trascorsi in terra malgascia.
Un popolo accogliente e generoso in attesa del Papa
“So che già da tempo si stanno preparando per accogliere il Papa, sarà di sicuro una festa meravigliosa”, racconta. “Il popolo malgascio è molto accogliente, di animo buono. Ricordo che quando prestavo servizio nella mensa per i bambini, questi si erano affezionati a me in un modo unico. Ti abbracciavano alle gambe e ti stringevano forte. Mi hanno dato moltissimo, sento di aver ricevuto molto di più di quanto ho dato io a loro. Ho talmente tanta nostalgia che vorrei essere là in mezzo a loro per il Papa che arriva”. Suor Lalla è una giovane consacrata malgascia, orgogliosa del suo Paese. Fa parte di un discreto numero di Sorelle del Movimento che in Madagascar, formate allo stile di don Gasparino, continuano l’opera accanto alle missionarie italiane: “Proprio in virtù della sua povertà questo popolo ha già in sé, nel suo dna, il nostro carisma: condivisione nella povertà”. Racconta le sue origini da una famiglia con pochissimi mezzi e si dice contenta di continuare a vivere anche nella comunità una vita semplice: “Mi auguro che il Papa porti tra la mia gente la speranza, sia nella vita quotidiana che nell’impegno ecclesiale. Soprattutto i giovani - e la nostra Chiesa in Madagascar è fatta di tantissimi giovani - hanno bisogno di una fortezza che viene solo da Dio”.
Una vita per diseredati, carcerati, lebbrosi
La missione in Madagascar è nata ad Anatihazo, quartiere tra i più poveri della capitale. Erano gli anni del dopo-colonia francese. Tra i baraccati, in zone privi dei servizi essenziali, con tanti bambini che non frequentavano la scuola, nasceva una piccola scuola con una mensa. I missionari contemplativi non portano strutture ma il dono della preghiera insieme, dell’adorazione, della prossimità in uno spirito di fraternità. Si sono spinti anche su una isoletta nel Canale del Mozambico dove nel 2002 è nata la Fraternità di Betania per testimoniare l’amore di Dio accompagnando la crescita umana e spirituale dei ragazzi.
Toccare le piaghe dei lebbrosi
Suor Rinalda dall’inizio degli anni Settanta ha vissuto al nord del Paese, dove intanto il Movimento si era diffuso, soprattutto per prestare servizio ai numerosissimi malati abbandonati e ai lebbrosi: “All’inizio non è stato facile, ma con il tempo è stato molto molto bello. Quando sono arrivata là i lebbrosi erano moltissimi. Ora ci sono più cure. Il nostro vescovo si rallegrava della nostra presenza nel lebbrosario. Quando arrivavi in una casa dove la gente non stava bene, ti guardavano come il sole che faceva capolino nei loro cuori. Anche se facevi così poco, per loro eravamo le uniche presenze in cui potevano sperare”. Colpisce lo sguardo di tenerezza di Rinalda ripensando ai malgasci che, anche se menomati e costretti ad affrontare a piedi chilometri e chilometri per andare a fare provviste di acqua, sanno molto offrire: “Ricordo che una volta una signora molto malandata comprò due polli per fare un po’ di festa in casa. A noi diede quello più grosso, nonostante lei avesse da sfamare una famiglia numerosa. Quando si offre qualcosa bisogna sempre offrire il meglio che si ha, diceva. Il nostro fondatore ci ripeteva di non dare agli altri il superfluo, ma quello che ti costa. E loro sono maestri in questo”.
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