La morte di Paolo VI, vero cristiano, mite e rivoluzionario
Andrea Monda
6 agosto 1978, dies natalis di Giovanni Battista Montini, san Paolo VI. La comprensione della statura di questa grande figura del Novecento è cresciuta nel tempo, dentro e fuori il popolo di Dio, ed è ulteriormente aumentata in questi sei anni del pontificato di Francesco che non ha mai nascosto la propria vicinanza spirituale con il Pontefice bresciano, il Papa che ha condotto con mano sicura in porto il concilio, il Papa della Populorum progressio, dei primi grandi viaggi internazionali e incontri ecumenici. Di Montini si potrebbero quindi esplorare molti aspetti, come le tessere di un ricco mosaico che compongono l’esistenza di un uomo che ha attraversato due terzi del XX secolo nascendo a Concesio il 26 settembre 1897 e morendo in quell’anno terribile che segnò uno dei punti più bui della stagione passata alla storia come Guerra fredda.
La dimensione politica
Dei diversi spicchi del prisma Montini negli ultimi tempi ho avuto occasione di incrociare quello della dimensione politica a causa della serie di interviste partita il 22 maggio su queste pagine con la conversazione con il sociologo Giuseppe De Rita sulla crisi dell’Italia e dell’Europa e il ruolo dei cattolici in questo momento di grande difficoltà per la società occidentale. Proprio parlando con De Rita il discorso si è posato più volte sulla figura di Montini, vero protagonista della storia del movimento cattolico nella politica del ’900 sin da quando, tra il 1925 e il 1933 fu assistente ecclesiastico nazionale della Fuci. Ne abbiamo parlato anche con gli altri venticinque studiosi che sono intervenuti nel dibattito, ma soprattutto il fondatore del Censis ha voluto sottolineare come l’attività di Montini fu determinante per la fuoriuscita dell’Italia dalla tragedia della guerra attraverso la nascita del partito della Democrazia cristiana guidata da De Gasperi, ipotesi questa non accolta pacificamente in tutti gli ambienti Oltretevere. Altra figura chiave di quella lunga stagione fu Aldo Moro, conosciuto da Montini negli anni della Fuci e da lui accompagnato sino alla fine e anche oltre con quelle memorabili parole rivolte a Dio il 13 maggio nella basilica di San Giovanni in Laterano: «Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico». Come un novello Giobbe il Vicario di Cristo chiedeva conto a Dio del male che si era abbattuto su tutto e tutti in quella tragica primavera del 1978, solo tre mesi prima della sua dipartita da questo mondo.
Un cristiano autentico
Oggi la serie di interviste si conclude con le parole del cardinale Gualtiero Bassetti (che potete leggere in terza pagina) il quale, riprendendo alcuni spunti sul tema della profezia emersi da altri interlocutori, parla della necessità, per l’Italia di oggi, della presenza attiva di «cristiani autentici: al tempo stesso miti e rivoluzionari. La mitezza perché richiama la fede e la sobrietà dei comportamenti. L’essere rivoluzionari perché significa andare contro lo spirito del mondo: egoistico, nichilistico, consumistico e xenofobo. Ovviamente, abbiamo senza dubbio bisogno di uno sguardo profetico». Il presidente della Cei nel suo intervento si riferisce a Giorgio La Pira, ma questo ritratto può applicarsi tranquillamente alla figura di Giovanni Battista Montini, mite e rivoluzionario, cristiano autentico e per questo santo di cui oggi, festa della Trasfigurazione, ricordiamo la nascita al cielo. Quel 6 agosto del 1978 l’anziano Pontefice aveva preparato un testo per la recita della preghiera dell’Angelus che si chiudeva con queste parole: «Una sorte incomparabile ci attende, se avremo fatto onore alla nostra vocazione cristiana: se saremo vissuti nella logica consequenzialità di parole e di comportamento, che gli impegni del nostro battesimo ci impongono» e siamo certi, tutta la Chiesa lo è, che san Paolo VI già sta godendo di quella sorte incomparabile.
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