La forza del popolo che chiede di essere confermato nella fede
PAOLO RUFFINI
C’è un aspetto del viaggio di Francesco in Mozambico, Madagascar e Maurizio, che lo accomuna a tutti gli altri viaggi dei Papi senza che questo riduca minimamente la sua importanza. Perché anzi la rafforza.
È l’unione del popolo di Dio in attesa del Papa, un aspetto centrale del ministero petrino che forse neanche le immagini riescono a restituire.
Una quantità smisurata di persone (ritratte nei volti, negli sguardi, nei gesti) che racconta l’attesa, la gioia, la forza di un incontro.
Il miracolo di un popolo assiepato lungo chilometri di strada, radunato sulle spianate, accampato all’addiaccio, in mezzo alla polvere, solo per vedere il Papa passare, incrociare il suo sguardo e concentrare in un istante la sua storia personale e collettiva, essere visto e benedetto, è la testimonianza potente di cosa è la Chiesa.
Centinaia di migliaia di persone accorse per essere una cosa sola, per dire con gioia la propria fede, ed esserne confermati dal successore di Pietro.
Centinaia di migliaia di persone che incarnano, ognuna, la presenza visibile di Dio che aspetta di essere anche Lui visto in ognuno di questi sguardi.
Centinaia di migliaia di persone che a loro volta restituiscono al successore di Pietro e alla Chiesa tutta la forza del popolo di Dio.
In questo incontro di sguardi, di debolezze e di fede c’è il mistero della Chiesa che il Signore ha affidato a Pietro e ai suoi successori, e c’è anche il mistero del munus petrino che la rende salda nonostante le difficoltà che sempre ha attraversato e attraversa.
Papa Francesco ne ha parlato durante la conferenza stampa in aereo. Quando, rispondendo a una domanda sulle tentazioni scismatiche, ha detto di non avere paura e di confidare nella preghiera. Quando ha parlato della fede delle popolazioni mozambicana, malgascia, mauriziana. Quando ha spiegato cosa è che ha fatto diffondere e crescere il cristianesimo: non il proselitismo ma l’essere riconosciuti dall’amore, dall’essere una cosa sola.
Gesù ne ha parlato durante l’ultima cena, rivolgendosi a Pietro nella situazione drammatica di quelle ore, che precedono la sua morte e resurrezione, e seguono la festa della folla a Gerusalemme che lo aveva accolto come un re. Lo ha fatto spiegando che la forza di Pietro e dei suoi successori, ciò che la preserva dalle porte dell’inferno, sta nella preghiera per Pietro che Gesù stesso ha affidato a Dio Padre.
Come ha spiegato San Giovanni Paolo II, le parole di Gesù (Lc 22, 31-32) “si riferiscono senza dubbio alla dimensione escatologica del Regno, quando gli Apostoli saranno chiamati a “giudicare le dodici tribù di Israele” (Lc 22, 30). Esse però hanno valore anche per la sua fase attuale, per il tempo della Chiesa qui sulla terra. E questo è tempo di prova” (…). Quelle parole servono “anche a noi per indurci a vedere nella luce della grazia l’elezione, la missione e lo stesso potere di Pietro. Ciò che Gesù gli promette e gli affida viene dal Cielo, e appartiene - deve appartenere - al Regno dei cieli” (Udienza Generale, mercoledì 2 dicembre 1992).
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