Il Papa: rendere le carceri luoghi di recupero non polveriere di rabbia
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Francesco pronuncia una parola difficile a chi ogni giorno nelle carceri italiane è chiamato ad ascoltare il grido della disperazione, l’urlo della rassegnazione, a sventare gesti estremi. Chiede nell’udienza in Piazza San Pietro agli uomini e alle donne della Polizia Penitenziaria, ai cappellani e ai volontari che lavorano nelle prigioni, di non soffocare mai la “fiammella della speranza”, esorta poi a garantire “prospettive di riconciliazione e reinserimento” mentre chi è detenuto paga il debito con la società e fa i conti con gli sbagli del passato. Ma Francesco insiste molto sul rispetto della dignità di chi è in prigione e sull’ergastolo come soluzione per chiudere “in cella la speranza”.
Costruttori di futuro
Tre le parole chiave che il Papa offre come incoraggiamento e spunto per riflettere. La prima, rivolta alla Polizia Penitenziaria e al personale amministrativo, è “grazie” per il lavoro nascosto, “spesso difficile e poco appagante, ma essenziale”, che li rende non solo vigilanti ma “custodi di persone”, “ponti tra il carcere e la società civile”, capaci di “retta compassione” per contrastare la paura e l’indifferenza.
So che non è facile ma quando, oltre a essere custodi della sicurezza siete presenza vicina per chi è caduto nelle reti del male, diventate costruttori di futuro: ponete le basi per una convivenza più rispettosa e dunque per una società più sicura. Grazie perché, così facendo, diventate giorno dopo giorno tessitori di giustizia e di speranza.
Di fronte a persone con dignità
L’accento di Francesco viene posto poi sul rispetto delle persone che si hanno davanti mentre si garantisce la sicurezza.
Non dimenticatevi, per favore, del bene che potete fare ogni giorno. Il vostro comportamento, i vostri atteggiamenti, i vostri sguardi sono preziosi. Siete persone che, poste di fronte a un’umanità ferita e spesso devastata, ne riconoscono, a nome dello Stato e della società, l’insopprimibile dignità.
Il sovraffollamento delle carceri, polveriere di rabbia
L’invito del Papa è di non scoraggiarsi ma di trarre linfa dalle famiglie e dai colleghi per fae fronte non solo alle difficoltà ma anche alle insufficienze.
Tra queste penso, in particolare, al problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari, è un problema grande che accresce in tutti un senso di debolezza se non di sfinimento. Quando le forze diminuiscono la sfiducia aumenta. È essenziale garantire condizioni di vita decorose, altrimenti le carceri diventano polveriere di rabbia, anziché luoghi di recupero.
Avanti!
La seconda parola di Francesco è per i cappellani, le religiose, i religiosi e i volontari, “portatori del Vangelo”. Il Pontefice ringrazia per “la forza del sorriso”, per il “cuore che ascolta” i pesi altrui, portandoli nella preghiera, offrendo consolazione sentendosi prima di tutto “perdonati”:
Avanti quando, a contatto con le povertà che incontrate, vedete le vostre stesse povertà. È un bene, perché è essenziale riconoscersi prima di tutto bisognosi di perdono. Allora le proprie miserie diventano ricettacoli della misericordia di Dio; allora, da perdonati, si diventa testimoni credibili del perdono di Dio.
Coraggio perché si è nel cuore di Dio
“Non lasciatevi mai imprigionare nella cella buia di un cuore senza speranza, non cedete alla rassegnazione. Dio è più grande di ogni problema e vi attende per amarvi”: così Francesco esorta i detenuti ad avere coraggio perché si è nel cuore di Dio anche se ci si sente smarriti e indegni.
Mettetevi davanti al Crocifisso, allo sguardo di Gesù: davanti a Lui, con semplicità, con sincerità. Da lì, dal coraggio umile di chi non mente a sé stesso, rinasce la pace, fiorisce di nuovo la fiducia di essere amati e la forza per andare avanti. Immagino di guardarvi e di vedere nei vostri occhi delusioni e frustrazione, mentre nel cuore batte ancora la speranza, spesso legata al ricordo dei vostri cari. Coraggio, non soffocate mai la fiammella della speranza.
L'ergastolo chiude in cella la speranza
Infine l’esortazione alla società perché non “comprometta il diritto alla speranza", perchè siano garantite "prospettive di riconciliazione e di reinserimento”.
L’ergastolo non è la soluzione dei problemi, - lo ripeto: l’ergastolo non è la soluzione dei problemi -, ma un problema da risolvere. Perché se si chiude in cella la speranza, non c’è futuro per la società. Mai privare del diritto di ricominciare! Voi, cari fratelli e sorelle, col vostro lavoro e col vostro servizio siete testimoni di questo diritto: diritto alla speranza, diritto di ricominciare.
Le testimonianze
Nell’indirizzo di saluto, il capo del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Francesco Basentini, ha ricordato che un cambiamento della società è possibile se si considera il carcere come parte integrante e i detenuti come cittadini. “Il mondo dell’esecuzione penale – ha spiegato – è paragonabile a un’orchestra nella quale ogni componente ha un ruolo per un’esecuzione senza stonature”. Tra le tante testimonianze che hanno preceduto l’incontro con il Papa c’è quella del vice-ispettore Roberto Martinelli, in servizio a Genova, che ha ricordato come il carcere oggi si configuri come “una discarica sociale”, in mezzo ai tossicodipendenti, malati di Aids e mafiosi ci sono però gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria che operano per garantire la speranza. Nelle parole di Francesco Moggi, volontario a Rebibbia, c’è l’idea che l’accoglienza sia ascolto, aiuto e condivisione. Nel suo racconto, si ravvisa l’orgoglio per aver ricevuto da un detenuto un regalo: la presenza alle sue nozze, frutto di un permesso premio.
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