Papa ai sacerdoti: siate persone di lode, non “professionisti del sacro"
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
La persona consacrata vive nella lode al Signore, è in grado di riconoscere ovunque la sua presenza e vuol vivere sempre accanto a lui. Se invece si lascia prendere da una preoccupazione esagerata per gli spazi personali di autonomia e distensione” e vive i propri compiti come “una mera appendice della vita” rischia di diventare “professionista del sacro”, lasciandosi così rubare “la gioia missionaria”. Nell’ultima tappa del suo viaggio in Madagascar, Papa Francesco lo spiega ai sacerdoti, religiosi e religiose, consacrati e seminaristi, incontrati al tramonto nel campo sportivo del Collegio di Saint Michel di Antananarivo, fondato dai missionari gesuiti francesi più 130 anni fa, nel 1888.
Nel Collegio di Saint Michel, fondato dai gesuiti
Oggi il collegio è un’apprezzata scuola d’elite, che ha formato malgasci con ruoli importanti nella vita politica, economica e sociale del Paese. Motto del collegio, che punta non solo alla formazione intellettuale e spirituale, ma anche alla salute del corpo, promuovendo lo sport, è “Radicarsi per aiutare il prossimo”. Accolto dai canti di religiose e religiosi, il Papa ascolta il saluto di suor Suzanne Marianne Raharisoa, della congregazione delle Suore di Cristo, presidente della Conferenza delle religiose del Madagascar.
Suor Suzanne: stare il più vicino possibile al gregge
Suor Suzanne sottolinea che le persone consacrate, nell’isola africana, cercano “di essere il più vicino possibile al gregge” che è stato loro affidato, e, oltre all’impegno nell’evangelizzazione vera e propria, “sono molto presenti e molto attive anche nel settore dell'educazione, della sanità, come cliniche, ospedali, dispensari e lebbrosari sparsi ovunque, e in opere di beneficenza”. E conclude chiedendo la benedizione del Papa, perché “spesso è difficile svegliarsi, uscire da sé per raggiungere i fratelli nella vita di ogni giorno e uscire per andare incontro nelle periferie”.
Il sorriso per il tavolo, la preghiera per chi non è potuto venire
Francesco inizia il discorso col sorriso, dicendo che quando gli hanno portato il tavolo dove ha appoggiato i fogli da leggere, “pensavo me lo portassero per mangiare, e invece era per parlare!”. Ma subito dopo chiede di pregare in silenzio per i sacerdoti, le consacrate e i consacrati “che non hanno potuto viaggiare per problemi di salute, per il peso degli anni o per qualche inconveniente”.
Chi non ha avuto paura, dai Lazzaristi ai Lasalliani
Quindi il Pontefice chiede di fare “memoria riconoscente di tutti coloro che non hanno avuto paura e hanno saputo scommettere su Gesù Cristo e il suo Regno”. Sono “le radici dell’evangelizzazione, qui – ha aggiunto - Voi siete l’eredità. Voi lascerete anche eredità agli altri”. E cita i Lazzaristi, i Gesuiti, le Suore di San Giuseppe di Cluny, i Fratelli delle Scuole Cristiane, i Missionari della Salette e tutti gli altri pionieri, vescovi, sacerdoti e consacrati, che insieme a tanti laici, “nei tempi difficili di persecuzione”, mantennero viva “la fiamma delle fede in queste terre”.
Avete osato uscire, per portare il Vangelo nell'Isola
Poi Papa Francesco si riferisce al Vangelo di Luca e alla frase di Gesù che nella gioia accoglie 72 discepoli di ritorno dalla missione: “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”
Grazie per essere restati qui, senza cercare una vita migliore
Il Papa non dimentica le condizioni difficili in cui vivono molti sacerdoti e consacrati, senza acqua, elettricità, strade, mezzi di comunicazione, o “risorse economiche per portare avanti la vita e l’attività pastorale”. Nonostante questo, ricorda, “scegliete di rimanere e stare accanto alla vostra gente, vicini alla vostra gente”
Grazie di cuore per la vostra testimonianza di essere vicini alla gente, grazie per aver voluto restare lì e non fare della vocazione un “passaggio a una vita migliore”! E restare lì con consapevolezza, come diceva la sorella: “Malgrado le nostre miserie e debolezze, ci impegniamo con tutto noi stessi nella grande missione dell’evangelizzazione”. La persona consacrata (nel senso ampio della parola) è la donna, l’uomo che ha imparato e vuole rimanere, nel cuore del suo Signore e nel cuore del suo popolo. Questa è la chiave.
La lode, un aspetto fondamentale della nostra vocazione
La prima cosa che fa Gesù, prosegue Francesco, accogliendo i suoi discepoli che tornano pieni di gioia, è lodare e benedire il Padre. E’ “un aspetto fondamentale della nostra vocazione – spiega il Pontefice – siamo uomini e donne di lode”. Il consacrato riconosce e indica la presenza di Dio ovunque si trovi. La lode che libera il discepolo dall’ansia per il “si dovrebbe fare…”, quell’ansia “che è un tarlo: un tarlo che rovina”. E gli “restituisce il gusto per la missione e per stare con la sua gente; lo aiuta ad aggiustare i ‘criteri’ con cui misura sé stesso, gli altri e tutta l’attività missionaria, perché non abbiano alle volte poco sapore di Vangelo”.
No ai grandi programmi apostolici, per occupare spazi
Quindi Papa Francesco cita la sua esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, per ammonire dal non cadere “nella tentazione di passare ore a parlare dei ‘successi’ o dei ‘fallimenti’, dell’’utilità’ delle nostre azioni o della ‘influenza’ che possiamo avere”. Discussioni che finiscono per essere al centro dell’attenzione di vescovi, sacerdoti e religiosi, e spesso li portano “a sognare programmi apostolici sempre più grandi, meticolosi e ben disegnati... ma tipici dei generali sconfitti e che alla fine negano la nostra storia, come quella della vostra gente”
Nella lode impariamo la sensibilità per non “perdere la bussola” e non fare dei mezzi i nostri fini, e del superfluo ciò che è importante; impariamo la libertà di mettere in atto dei processi piuttosto che voler occupare spazi; la gratuità di promuovere tutto ciò che fa crescere, maturare e fruttificare il Popolo di Dio piuttosto che inorgoglirci di un certo “reddito” pastorale facile, veloce ma effimero. In un certo senso, gran parte della nostra vita, della nostra gioia e fecondità missionaria si gioca su questo invito di Gesù alla lode.
La missione di sconfiggere il male "nel nome di Gesù"
Il Papa prosegue sottolineando che i settantadue discepoli sapevano che “il successo della missione era dipeso dall’averla compiuta ‘nel nome del Signore Gesù’”. Non per le loro virtù: “non erano la loro fama o il loro progetto ad affascinare e salvare le persone”. Cristo, ricorda Francesco, parta per i suoi discepoli di una “vittoria sul potere di Satana”, un potere “che non potremo mai vincere con le nostre sole forze, ma certo lo potremo nel nome di Gesù”. E questo, dice il Pontefice ai sacerdoti e consacrati malgasci, vale anche per le vostre battaglie.
Nel suo nome, sconfiggete il male quando insegnate a lodare il Padre celeste e quando insegnate con semplicità il Vangelo e il catechismo. Quando visitate e assistete un malato o portate il conforto della riconciliazione. Nel suo nome, voi vincete dando da mangiare a un bambino, salvando una madre dalla disperazione di essere sola a fare tutto, o procurando un lavoro a un padre di famiglia...
Lotta per l'educazione, la difesa del creato e la salute
Una lotta vincente, aggiunge Papa Francesco, è anche quella che si combatte contro l’ignoranza fornendo educazione, è aiutare a far rispettare “tutte le creature evitando che siano usate o sfruttate”, “piantare un albero o far arrivare l’acqua potabile a una famiglia”, e fare in modo che “migliaia di persone recuperino la salute!”. Continuate in queste battaglie, è l’invito del Papa, “ma sempre nella preghiera e nella lode”.
Non lasciamoci rubare la gioia missionaria!
Una lotta, conclude Francesco citando ancora l’Evangelii gaudium, che è anche in noi stessi, e Dio ci aiuta a spazzar via “l’influsso dello spirito malvagio, quello che tante volte ci trasmette ‘una preoccupazione esagerata per gli spazi personali di autonomia e di distensione, che porta a vivere i propri compiti come una mera appendice della vita’”.
Beata Chiesa dei poveri e per i poveri
Beati voi, beata Chiesa dei poveri e per i poveri, sono le ultime parole pubbliche del Pontefice in Madagascar, “perché vive impregnata del profumo del suo Signore, vive gioiosa annunciando la Buona Notizia agli scartati della terra, a quelli che sono i favoriti di Dio”. Possiate continuare, è il suo augurio finale, a essere segno della presenza viva del Signore in mezzo a noi.
Il grazie finale a padre Marcel per le perfette traduzioni
Alla fine dell’ultimo dei nove discorsi in Madagascar, Francesco ringrazia il traduttore padre Marcel che ha saputo rendere perfettamente in lingua malgascia testi preparati e parole improvvisate. E, quando ormai è calata la sera su Atanaranrivo, don Jean Séraphin Handriniaina Rafanoezantsoa, della Diocesi di Miarinarivo saluta il Papa ringraziandolo per “questo incontro di famiglia”. Prima di lasciare il complesso del Collegio di Saint Michel, Francesco incontra in forma privata i gesuiti del Madagascar.
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