Il Papa ai sacerdoti: la vostra stanchezza derivi dalla "capacità di compassione"
Adriana Masotti - Città del Vaticano
La Chiesa in Mozambico è una Chiesa che vuole essere missionaria, che può contare su molte vocazioni e in cui stanno emergendo i movimenti laicali, ma che conosce anche limiti e debolezze e che si deve confrontare con diverse sfide. Oggi di fronte al Papa che nella cattedrale dell’Immacolata Concezione di Maputo, incontra i vescovi, i sacerdoti, le religiose e i religiosi, i consacrati, i seminaristi, i novizi, gli animatori di Comunità cristiane e i catechisti di tutto il Paese, questa realtà di luci e ombre emerge con sincerità.
Una Chiesa in comunione missionaria
Dopo alcuni canti accompagnati dalla danza di alcune religiose, ad accogliere il Papa con un breve saluto è monsignor Hilario da Cruz Massinga, il vescovo responsabile per il clero e la vita consacrata in Mozambico. E’ lui ad esprimere a Francesco la gioia di tutti i presenti e a presentargli una Chiesa che “in comunione missionaria”, testimonia “la gioia del Vangelo nei più diversi contesti della vita della società mozambicana, nonostante, in alcune persone consacrate, ci siano tendenze alla mondanità e un certo disordine”.
Sacerdoti troppo preoccupati per se stessi
Prendono poi la parola un sacerdote, una religiosa e un catechista. Il primo riferisce al Papa di una vita sacerdotale che conosce difficoltà e persino avversità: c’è la mancanza di mezzi, c’è il problema dell’inculturazione della fede ancora insufficiente, ma soprattutto c’è a volte nei sacerdoti poca coerenza di vita. “Troppa preoccupazione per il nostro benessere personale, soprattutto per quanto riguarda le risorse economiche per la nostra sussistenza - confessa al Papa il sacerdote- , ci porta spesso a percorrere strade tortuose che, invece di facilitare il nostro ministero, lo rendono sempre più difficile, causando anche innumerevoli defezioni tra noi”. Parla di una “crisi dell’identità sacerdotale” chiedendo l’aiuto di Francesco per superarla.
Ritrovare il fascino della consacrazione a Dio
“Noi religiose e religiosi (…) cerchiamo di essere un segno profetico attraverso il nostro impegno e inserimento nel lavoro pastorale, in particolare nel mondo dell'educazione, della salute, della promozione della donna e della cura dei poveri, degli anziani e dei vulnerabili” , dice al Papa una religiosa esprimendogli poi la difficoltà di vivere immersi “in una società troppo materialistica” che porta alla superficialità, “all’indulgenza verso se stessi, alle pratiche pagane e alla tendenza a presentarci alla società come una semplice organizzazione civile”, a carattere filantropico. Le domande al Papa sono dunque come essere più fedeli alla vocazione religiosa e come fare perchè i giovani riscoprano “la bellezza della consacrazione al Signore”.
Come essere pienamente cristiani ed africani
“Siamo laici e facciamo parte di un popolo eroico, che soffre da molti anni, al suo interno, per le carenze del sottosviluppo e i mali dell'instabilità politica ed economica del nostro Paese”, esordisce nel suo saluto un catechista. E racconta dell'impegno dei catechisti per l’evangelizzazione delle nuove generazioni. C’è necessità di maggiore formazione dei cristiani, dice e poi parla della questione dell’inculturazione della fede. “Ci sono ancora molti valori delle nostre culture che sono esclusi – afferma -, lasciando stranamente spazio ai controvalori dei popoli ricchi che invadono continuamente la nostra società attraverso le nuove tecnologie e i mezzi di comunicazione sociale”. "Come essere veramente cristiani e veramente africani?", è la sua domanda al Papa.
Il Papa: siamo qui per rinnovare il nostro sì
Ed è a quest’ultima testimonianza che si collega subito il Papa nel suo discorso: “Mi ha fatto piacere sentire dalla bocca di una catechista: ‘Siamo una Chiesa inserita in un popolo eroico’, che è esperto nel soffrire ma mantiene viva la speranza. Con questo sano orgoglio per il vostro popolo, che invita a rinnovare la fede e la speranza, vogliamo rinnovare il nostro ‘sì’ ”. Poi commenta che per forza di cose bisogna affrontare la realtà così com’è. E prosegue:
I tempi cambiano e dobbiamo riconoscere che spesso non sappiamo come inserirci nei nuovi scenari; possiamo sognare le “cipolle d’Egitto” (cfr Nm 11,5), dimenticando che la Terra Promessa si trova davanti, non dietro, e in questa nostalgia dei tempi passati ci andiamo pietrificando. Invece di professare una Buona Notizia, quello che annunciamo è qualcosa di grigio che non attira né accende il cuore di nessuno.
L'annuncio della nascita di Giovanni Battista e l'annuncio a Maria
Nel sì di Maria, dice ancora, possiamo vedere l’esempio di chi non si guarda indietro e nel modo di raccontare l’evento dell’Incarnazione dell’evangelista Luca, è possibile trovare risposta alle domande fatte. “San Luca presenta in parallelo gli avvenimenti relativi a San Giovanni Battista e quelli concernenti Gesù Cristo”, dice il Papa, facendoci vedere così la novità portata dal Figlio di Dio fatto uomo. Francesco osserva come nel primo caso l’annuncio della nascita di Giovanni avvenne a Gerusalemme, quella di Gesù nella piccola Nazareth; nel primo caso l’annuncio è rivolto ad un uomo e a un sacerdote, nel caso di Maria, il destinatario è una donna e una laica. In questo cambiamento, afferma il Papa, si trova la nostra identità più profonda.
Di fronte alla crisi dell’identità sacerdotale, forse dobbiamo uscire dai luoghi importanti e solenni; dobbiamo tornare ai luoghi in cui siamo stati chiamati, dove era evidente che l’iniziativa e il potere erano di Dio. A volte senza volerlo, senza colpa morale, ci abituiamo a identificare la nostra attività quotidiana di sacerdoti con determinati riti, con riunioni e colloqui, dove il posto che occupiamo nella riunione, alla mensa o in aula è gerarchico; somigliamo più a Zaccaria che a Maria.
Il sacerdote non può affidarsi alle sue sole forze
Francesco parla poi della persona del sacerdote per dire che “è il più povero degli uomini”, il più piccolo e il più inutile, se non è istruito e sostenuto dal Signore.
Ritornare a Nazareth può essere la via per affrontare la crisi d’identità, per rinnovarci come pastori-discepoli-missionari. Voi stessi parlavate di una certa esagerazione nel preoccuparsi di produrre risorse per il benessere personale, attraverso “percorsi tortuosi” che spesso finiscono per privilegiare tempi e compiti pagati dallo Stato e creano resistenze a dedicare la vita alla pastorale quotidiana. L’immagine di questa fanciulla semplice nella sua casa, in contrasto con tutta la struttura del tempio e di Gerusalemme, può essere lo specchio in cui vediamo le nostre complicazioni e preoccupazioni che oscurano e corrodono la generosità del nostro “sì”.
Lasciarsi mangiare dalla gente
Preoccupazioni che nascono dal bisogno di controllare tutto, di sentirsi responsabili di tutto e di ricevere riconoscimento per i nostri sforzi, ci stancano, sottolinea Francesco. E invece le nostre stanchezze devono “essere piuttosto legate alla ‘nostra capacità di compassione’ ”. E cita diversi esempi di vicinanza del sacerdote alla sua gente, di condivisione di gioie e dolori con le famiglie, con i giovani, con i malati.
Per noi sacerdoti le storie della nostra gente non sono un notiziario: noi conosciamo la nostra gente, possiamo indovinare ciò che sta passando nel loro cuore; e il nostro, nel patire con loro, ci si va sfilacciando, ci si divide in mille pezzetti, ed è commosso e sembra perfino mangiato dalla gente: prendete, mangiate. Questa è la parola che sussurra costantemente il sacerdote di Gesù quando si sta prendendo cura del suo popolo fedele: prendete e mangiate, prendete e bevete…
Stanchi perchè in continua donazione
Papa Francesco richiama dunque i sacerdoti a verificare qual è l’origine della loro stanchezza e a rinnovare la chiamata scegliendo di stancarsi “con ciò che è fecondo agli occhi di Dio, che rende presente, incarna il suo Figlio Gesù”. E’ questo, dice, che può far interrogare i giovani sulla sequela di Gesù, “in modo che, abbagliati dalla gioia di una donazione quotidiana non imposta ma maturata e scelta nel silenzio e nella preghiera, vogliano dire il loro “sì”.
Accettare di essere visitati
Francesco ritorna poi al racconto dell’evangelista Luca che descrive l’incontro di Elisabetta e Maria, due donne. Elisabetta, dice, rappresenta la parte di Israele che accoglie la novità del progetto di Dio. C’è dunque chi visita e coloro che si lasciano visitare accettando volentieri "che l’altro li trasformi condividendo la loro cultura, i loro modi di vivere la fede e di esprimerla”. Introduce quindi il tema dell’inculturazione dicendo che “sarà sempre una sfida, come il 'viaggio' tra queste due donne che si troveranno trasformate a vicenda attraverso l’incontro, il dialogo e il servizio”. E, osserva, in questa sfida non bisogna farsi paralizzare, non bisogna farsi soffocare dai dubbi e i timori altrimenti, citando l’Evangelii gaudium: “al posto di essere creativi, semplicemente noi restiamo comodi senza provocare alcun avanzamento e, in tal caso, non saremo partecipi di processi storici con la nostra cooperazione, ma semplicemente spettatori di una sterile stagnazione della Chiesa”.
Voi – almeno i più anziani – che siete stati testimoni di divisioni e rancori finiti in guerre, dovete essere sempre disposti a “visitarvi”, ad accorciare le distanze. La Chiesa del Mozambico è invitata a essere la Chiesa della Visitazione; non può far parte del problema delle competenze, del disprezzo e delle divisioni degli uni contro gli altri, ma porta di soluzione, spazio in cui siano possibili il rispetto, l’interscambio e il dialogo.
Mettersi in cammino per costruire una cultura dell'incontro
La risposta alle sfide che la Chiesa in Mozambico si trova ad affrontare come il rapporto tra nazionalità e etnie diverse, tra quelli del nord e quelli del sud, tra sacerdoti e laici, si può trovare solo grazie a «una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia», la cui costruzione deve coinvolgere in “un costante processo” ogni nuova generazione. E il Papa conclude:
Come Maria è andata fino alla casa di Elisabetta, così anche noi nella Chiesa dobbiamo imparare la strada da seguire in mezzo a nuove problematiche, cercando di non restare paralizzati da una logica che contrappone, divide, condanna. Mettetevi in cammino e cercate una risposta a queste sfide chiedendo la sicura assistenza dello Spirito Santo. È Lui il Maestro in grado di mostrare le nuove strade da percorrere.
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