Presto Beato il cardinale polacco Stefan Wyszyński
Alessandro De Carolis – Città del Vaticano
Schiena dritta. Le rare persone che possono fregiarsi di questa qualità appartengono a gruppi umani di diverso tipo. Una delle categorie che annovera molti membri del genere è quella dei Santi, conosciuti o meno. E tra i conosciuti, ormai a un passo dagli altari, c’è sicuramente il cardinale Stefan Wyszyński. Il primate polacco, scomparso nel 1981, è da sempre un Santo per la sua nazione. È il padre della patria, che curò durante il nazismo e difese contro il comunismo. Un argine fisico, statuario in quanto a tempra umana e spirituale, alla brutalità anticristiana dei due totalitarismi. Creato cardinale nel gennaio ’53, Wyszyński sfidò il regime socialista, reagendo con una celebre lettera al diktat che revocava alla Chiesa la libertà di culto, e pagando la presa di posizione con il carcere. Nei suoi Appunti dalla Prigione, si legge fra l’altro: “Il peccato più grande per un apostolo è la paura; la paura di un apostolo è la prima alleata dei suoi nemici”. Resistette alle torture, uscì di prigione e accettò di tornare alla sua sede a patto che i lacci sulla Chiesa venissero tolti, e il governo accettò.
Modello per un Papa
Ma Wyszyński è anche il “Santo” del Papa Santo. Per Karol Wojtyla è un fratello maggiore nella fede, un esempio di coraggio e saldezza interiore che influisce moltissimo sulla formazione del futuro Giovanni Paolo II. “È Lui la chiave di volta della Chiesa di Varsavia e la chiave di volta di tutta la Chiesa di Polonia”, scrisse Papa Wojtyla quando il primate morì. E la stessa ammirazione, voltata in entusiasmo, l’ha espressa in un comunicato l’arcivescovo Stanisław Gądecki, capo dei vescovi polacchi: “Grande gioia per la Chiesa in Polonia! Siamo grati a Papa per aver approvato il miracolo attraverso intercessione del Card. Stefan Wyszyński. Siamo lieti che la beatificazione del Primate del Millennio sarà presto.
Il prete dei “certosini di strada”
“Nella mia terra di Calabria, ho rifatto in ginocchio la Via Crucis: son passato per tutti i villaggi, son sceso in tutti i tuguri, ho transitato per tutte le quattordici stazioni. Ho sentito il singhiozzo della mia gente nel mio povero cuore…”. Don Francesco Mottola, coetaneo di Wyszyński, è nato a Tropea nel 1901. E da lì, diventato sacerdote, parte la sua rincorsa alla santità. Diventa un punto di riferimento per il suo grande cuore, che un giorno prende la forma delle “Case della Carità”, che apre in molte città calabresi e non solo per l’accoglienza e l’assistenza dei disabili. Lo affascina la possibilità di un gruppo di consacrati, donne e uomini, e di laici capaci di unire contemplazione e iniziative di carità, come tanti “certosini della strada”. La carica interiore di don Francesco – che lui fisicamente perde, colpito da paralisi – porta alla nascita dell’Istituto secolare delle Oblate e degli Oblati del Sacro Cuore. “Tutto il nostro apostolato – dice don Francesco – è quello della Carità Infinita. Dove c’è un’anima da salvare, ivi ci sia un’oblata”.
Il cielo subito
Vederla proclamare santa era il sogno di Don Oreste Benzi. Perché quella ragazza lo aveva colpito già a 12 anni quando tornando da un soggiorno estivo sulle Dolomiti, organizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII con la presenza di disabili gravi, dice senza mezzi termini: “Ci siamo spezzati le ossa, ma quella è gente che io non abbandonerò mai”. Alessandra, anzi Sandra, Sabattini, romagnola, è diventata un pilastro della Comunità di Don Benzi. Decide di fare il medico, sogna di andare in Africa, e intanto incontra un ragazzo, Guido, che vede la vita come la vede lei. Si fidanzano, progettano un futuro insieme dove essere soprattutto santi perché, dice Sandra, nel mondo “c’è un’inflazione di buoni cristiani”. E poi la strada per il cielo viene percorsa in un attimo. Quello in cui, il 29 aprile 1984, Sandra scende dall’auto per andare all’assemblea della Comunità ma viene investita da un’altra auto. Morirà tre giorni dopo a 23 anni, lasciando il profumo dell’amore più grande.
Come Marietta
E giovane come Sandra è anche Giovanni Roig y Diggle, ucciso nel 1936 a 19 anni, uno dei troppi martiri della guerra civile in Spagna di cui restano parole che offrono un saggio della sua statura di testimone: "Ora più che mai dobbiamo lottare per Cristo". E lo è Benigna Cardoso da Silva, uccisa in Brasile nel 1941. Come fu per Maria Goretti, anche Benigna deve difendersi a soli 13 anni da un ragazzo, Riberio, che la considera una sua preda. Lo respinge più volte, parla della cosa al suo parroco, resiste, ma non può nulla davanti all’ennesima aggressione del giovane che non riuscendo nello stupro la massacra a colpi di machete.
I nuovi Venerabili
Con il riconoscimento delle virtù eroiche diventano Venerabili Servi di Dio: Augusto Cesare Bertazzoni, arcivescovo titolare di Temuniana, già vescovo di Potenza e Marsico (1876-1972); il sacerdote francese Giovanni Luigi Querbes, fondatore della Congregazione dei Chierici Parrocchiali o Catechisti di San Viatore (1793-1859); la religiosa spagnola Maria Francesca del Bambino Gesù (al secolo: Maria Natividad Sánchez Villoria), monaca professa dell’Ordine di Santa Chiara (1905-1991).
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