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Vescovo Mori: importante il sostegno del Papa ai giovani giapponesi

Non è facile essere un ragazzo o una ragazza oggi in Giappone. La scuola ha regole rigide, la famiglia è spesso assente. I giovani cattolici vivono, inoltre, in un contesto che li sfida ogni giorno. Monsignor Katsuhiro Mori, vescovo ausiliare emerito di Tokyo esprime, ai nostri microfoni, il suo apprezzamento per le parole del Papa

Adriana Masotti - Tokyo

Monsignor Katsuhiro Mori conosce profondamente la società giapponese, non solo perchè è lui stesso giapponese, ma perchè questa società l'ha studiata a fondo e continua ad osservarla, impegnandosi in particolare a fianco dei giovani. Al suo attivo diverse pubblicazioni e corsi. E' suo il libro uscito di recente dal titolo: "La Parola di Vita di Papa Francesco" che cerca di tradurre, con parole adatte alla cultura giapponese, l'insegnamento del Papa di cui ha grande stima. Monsignor Mori è stato anche vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Tokyo. 

Monsignor Mori e i giovani

Oggi siamo andati a trovarlo nella palazzina in cui vive e lavora e che si trova proprio accanto all'imponente sede di una delle associazioni buddiste più potenti e più legate alla tradizione, la Sokagakkai. Vogliamo sapere da lui qualcosa sulla realtà sociale attuale e sulla condizione giovanile:

Ascolta l'intervista a mons. Mori

R. - Uno dei grandi problemi che sta attraversando la società giapponese e in particolare le nuove generazioni, è l'alto numero dei suicidi dei giovani che statisticamente è, per loro, la prima causa di morte. Nel sistema scolastico attuale non c'è l'insegnamento della religione e una delle domande fondamentali che i giovani si pongono è: perché io sto vivendo? E questo interrogativo non trova risposta. C’è anche un problema nelle famiglie perché al loro interno non c'è spazio per la comunicazione e l'incontro, nel senso che i genitori lavorano entrambi per poter mantenere la famiglia, ma lavorano troppo; dall’altra parte i figli vanno a scuola, quindi non hanno la possibilità di incontrarsi. I dati dicono che il 60 per cento degli studenti delle medie inferiori mangiano da soli e la percentuale sale all'80 per cento nelle superiori. Questo anche la sera per la cena:i papà vanno al lavoro molto presto la mattina e tornano molto tardi la sera. Così nella famiglia di oggi non si cresce nel rapporto umano e questo fa sì che i ragazzi quando diventano grandi e si espongono nella società, nel mondo del lavoro e incontrano delle difficoltà, non hanno la forza psicologica per poterle affrontare. Quindi i giovani del Giappone si divertono, giocano, sembrano molto attivi, ma nel profondo del loro cuore manca questa base fondamentale dei rapporti umani, per cui i problemi rimangono dentro di loro.

Ci troviamo al Centro diocesano Shinsei Kaikan, che significa “ La vera vita” che da 80 anni accompagna i giovani cattolici a Tokyo. Che cosa si fa qui, esattamente?

R. - In questo luogo i giovani si incontrano: uno degli scopi principali è proprio quello di stare insieme, cucinare, mangiare insieme, passare del tempo insieme per nutrire i rapporti umani. I giovani cattolici hanno fame e sete di comunicazione. La scuola del Giappone è quella che di più al mondo impegna i ragazzi: non ci sono vacanze estive, ci sono sempre attività e, secondo la mentalità giapponese, tutto quello che riguarda l'educazione viene delegato alla scuola e quindi la famiglia si fa da parte. Ecco perché questa debolezza del cuore dei giovani, una volta diventati adulti. In più, tra i ragazzi sono frequenti i casi di bullismo.

Il Papa stamattina ha parlato ai giovani: lei ha sentito il suo discorso. Quale la sua prima impressione?

R. - Il discorso del Papa è stato molto bello, ma la sfida per questi giovani cattolici è che il mondo che sta tutto intorno a loro non è cattolico e quindi non hanno un supporto che possa sostenerli veramente. Ciascuno si trova solo, isolato nelle classi, nel lavoro, per cui rendere testimonianza è molto difficile per i giovani cattolici. È bello che il Papa sia venuto, che abbia parlato direttamente ai giovani perché questo diventa un forte stimolo e un incoraggiamento per aiutarli nella loro testimonianza.

Papa Francesco ad un certo punto ha detto che le cose sono importanti, ma le persone sono indispensabili e li ha invitati alla condivisione…

R. - Quando si possiedono le cose si può diventare tristi e isolati; ma non si tratta di saper dare qualcosa a qualcuno, piuttosto di saper condividere con gli altri: questo è un passaggio molto forte, molto importante perché la condivisione crea una relazione. Per i giovani cattolici questo centro è un’opportunità per farlo, perché quello che hanno in cuore e non possono comunicarlo nel loro ambiente, quando s’incontrano qui possono parlarne tra loro e aiutarsi l'uno con l'altro.

La Chiesa in Giappone rivolge dunque un’attenzione particolare alle nuove generazioni? Quanto si impegna nella pastorale giovanile?

R. – Le rispondo così: la cosa molto bella di questo Papa è che al di là delle parole, vuole arrivare al cuore dei giovani, quindi parla non dal punto di vista di chi vuol insegnare, ma dal punto di vista di chi vuole stare con i giovani, essere con i giovani, rispondere al loro cuore. Parla di un “noi”, dice che dobbiamo camminare insieme, la sua è una parola che è in mezzo ai giovani, parte dai giovani. È la sua presenza che convince e che fa vedere la sua consistenza spirituale, perché va nelle carceri, va dai poveri, quando parla guarda negli occhi. Ha questa capacità di attirare semplicemente per la sua presenza e questa è una cosa molto importante quando vogliamo annunciare Gesù. Quindi la domanda è: in Giappone siamo così, abbiamo la stessa capacità di attrarre come questo Papa? Dobbiamo crescere in questo. Ma la forza dei giovani giapponesi è che i giovani da sé stessi desiderano incontrarsi, non aspettano noi. C'è un grande movimento nella diocesi di Tokyo che è il “Network meeting” che è autogestito e loro si incontrano lì in maniera costante usando i nuovi mezzi di comunicazione e quindi attraverso le chat e i social. Ci sono poi delle sedi come questa dove i giovani si possono ritrovare fisicamente.

Ci descrive un po’ l’organizzazione di questo Centro che lei si impegna a sostenere in tanti modi?

R. - C'è uno staff di 5 persone e sono loro i responsabili di tutte le iniziative che vengono fatte. Il lunedì sera abbiamo un programma per gli studenti che vengono dall'estero e che parlano inglese e qui hanno la possibilità di comunicare. Il martedì si cucina e si mangia insieme, il mercoledì sera c'è un momento di studio attraverso i mass media, con film, articoli ecc. Il giovedì una religiosa gestisce un incontro di studio della Parola di Dio; il venerdì invece c'è, potremmo dire, il “pensare a tutto campo”, cioè si scelgono temi di politica, di questioni internazionali, per riuscire a capire come affrontare queste tematiche. Il sabato è dedicato al servizio ciascuno nella propria parrocchia. La presenza dei giovani è molto fluida perché chi frequenta le scuole superiori deve anche lavorare per contribuire a mantenersi e quindi hanno tutti un lavoro per 2, 3, 4 ore al giorno, nei centri sportivi, nei ristoranti, nei supermercati aperti 24 ore su 24. Di più ancora lavorano gli studenti universitari, perché le tasse sono molto alte e le famiglie non ce la fanno. Devono quindi conciliare tutti questi impegni. Mi viene in mente un’immagine: è come nel cambio di stagione la migrazione degli uccelli: quando vengono qui, ad esempio dalla Siberia, ad un certo punto devono fermarsi a riposare; così i giovani in una società difficile con tante sfide, in questa loro migrazione quotidiana, passano al Centro, si riposano, riprendono le forze e le energie spirituali, per poi ripartire e rientrare più forti nella società.

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25 novembre 2019, 09:28