De Luca: dal Papa in Giappone un messaggio di apertura e accoglienza dell'altro
Adriana Masotti - Città del Vaticano
Il provinciale dei gesuiti in Giappone, padre Renzo De Luca è argentino e vive da anni nel Paese del Sol Levante. Al Papa è legato da un rapporto di amicizia cominciato negli anni di noviziato in Argentina, quando Jorge Bergoglio era rettore del Collegio della Compagnia di Gesù a Buenos Aires. Ed è stato proprio il futuro Papa Francesco ad inviare padre De Luca in Giappone.
I gesuiti in Giappone
La presenza dei Gesuiti in Giappone risale al XVI secolo con l’arrivo di San Francesco Saverio. Da quel momento è iniziata un’attività missionaria intensa che ha portato grandi frutti. Sono arrivati poi i tempi della persecuzione verso i cristiani, fino a quando è stata di nuovo introdotta la libertà di religione in Giappone e nella società si è stabilito un rapporto di rispetto tra le diverse espressioni di fede. Attualmente sono 164 i Gesuiti presenti nel Paese e si dedicano a molte attività, in particolare nell’ambito dell’educazione. La Sophia University continua a rappresentare la principale forma di apostato della Provincia gesuita del Giappone.
Padre De Luca: siamo felici di poterlo incontrare
La nostra intervista a padre Renzo De Luca, parte da una domanda personale: quali sono stati i suoi sentimenti quando ha saputo che farà da interprete al Papa in Giappone?
R. - Ovviamente sono stato contentissimo. Ricordo con grande affetto Papa Francesco sin dai tempi in cui era rettore del Colegio Máximo quando noi studiavamo in Argentina. È per me un onore e un piacere potergli fare da interprete.
Ci dice qualcosa di più sul suo rapporto con Papa Francesco ai tempi dell’Argentina?
R. - Papa Francesco è sempre stato una persona molto “vicina”, anche quando noi eravamo molto numerosi. Nell’ultimo periodo, quando lui era rettore del Colegio Máximo e noi siamo andati in Giappone, vivevano nel Colegio Máximo più di 100 persone. Persino in quel periodo, era facile incontrarlo: sedeva con noi, cucinava con noi, di tanto in tanto cucinava per tutti e noi lo aiutavamo. Era una persona molto vicina, non ha mai voluto essere una persona importante o difficile da incontrare. Ricordo che quando decise che noi avremmo dovuto partire per il Giappone come missionari ed eravamo i primi due a andare, siccome anche a lui sarebbe piaciuto andare in Giappone ma non ne aveva avuto l’opportunità, ci disse: “Voi che avete questa opportunità, sfruttatela bene!”.
La Compagnia di Gesù ha un rapporto stretto con il Giappone. Qual è oggi la sua presenza nel Paese?
R. - Ci sono circa 160 Gesuiti in tutto il Paese e più della metà sono stranieri provenienti da 40 Paesi diversi, tra i quali ci siamo anche noi argentini. È una Provincia molto internazionale con missionari provenienti da tutto il mondo, questo sin dai tempi di Padre Arrupe; quando Padre Arrupe era qui come vice provinciale, perché a quel tempo il Giappone non era ancora una Provincia, padre Arrupe decise che la Provincia giapponese fosse una Provincia internazionale, ovvero una Provincia non solo dei giapponesi bensì di tutta la Compagnia. Abbiamo 4 scuole, sia di istruzione primaria che secondaria, in tutto il Paese, e poi abbiamo una università, la Sophia University. Abbiamo 4 case per gli esercizi e i ritiri spirituali e 2 centri sociali. Queste sono le attività più importanti oltre ad altre come quelle della parrocchia, per esempio.
Come lei ha detto, anche Papa Francesco desiderava, quando era giovane, essere missionario proprio in Giappone e ha visitato una volta il Paese per incontrare i Gesuiti argentini presenti lì. Perché questa particolare attrattiva verso questo Paese?
R. - Il Giappone è sempre stato un Paese di missione sin dai tempi di San Francesco Saverio, che è stato il primo missionario a venire in Giappone iniziando a diffondere il cristianesimo qui. Il Giappone è sempre stato un Paese di missione e continua ad esserlo anche oggi perché i cattolici sono molto pochi ed è anche un luogo in cui, per così dire, i Gesuiti svolgono un lavoro speciale, l’insegnamento nelle università, e il lavoro intellettuale e culturale è molto importante qui in Giappone perché è un modo per poter entrare in contatto con le persone. È uno dei modi in cui si concretizza il nostro lavoro ancora oggi. Per Papa Francesco, allora padre Begoglio, il Giappone era una delle possibilità di missione.
Nel programma di questa prossima visita, il 26 novembre, ci sarà l’incontro con i gesuiti, a Tokyo, una Messa, poi la visita alla Sophia University. Che significato ha tutto questo per voi? Che cosa vi aspettate?
R. - Per noi è stata davvero una sorpresa considerando il ritmo molto serrato della visita del Papa. Arriva il 23 sera e riparte il 26 mattina, sono in realtà due giorni completi di visita e andrà a Tokyo, Nagasaki e Hiroshima. Inoltre, è molto il tempo che passa in viaggio spostandosi da un luogo all’altro. Per noi quindi è stata davvero una sorpresa sapere che il Papa voleva visitarci e celebrare Messa con noi proprio un’ora prima di partire. Infatti, al termine della conferenza nell’Università di Sophia va direttamente in aeroporto per tornare a Roma. È stata una sorpresa gradita, una grande gioia e una responsabilità.
Più in generale sull’intera visita, che cosa pensa? Che cosa si augura?
R. - Il titolo della visita è “Proteggere ogni vita” e questo dice molto sull’elevato numero di suicidi, in Giappone, o sulla pena di morte - la legge giapponese prevede infatti ancora la pena di morte - ma tocca anche altri temi come il numero delle vittime per lo tsunami o per le bombe su Hiroshima e Nagasaki. Le aspettative sono alte perché il Papa potrà tramettere messaggi di dimensione internazionale, aperti, di accoglienza dell’altro. Crediamo che questa possa essere una buona opportunità affinché il popolo giapponese si senta attratto da un ambito internazionale e più aperto.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui