Dal Papa un “giovane” prete di 100 anni
L'Osservatore Romano
«Non voglio parlare di me: quello che conta è ricordare mia sorella, suor Anania, missionaria in Mozambico, perché se io ho celebrato i miei 75 anni di sacerdozio con Papa Francesco lo devo a lei che, persino sul letto di morte, ha offerto la sua vita proprio per la mia vocazione». Monsignor Ernesto Tabellini, cent’anni compiuti il 29 aprile, ha messo tutta la sua giovinezza spirituale nell’abbraccio affettuoso con cui Papa Francesco lo ha accolto ieri mattina a Santa Marta, per la celebrazione della Messa.
«Sono un prete come tanti altri» dice don Ernesto a «L’Osservatore Romano». Eppure di cose «non comuni» ne ha da raccontare davvero tante questo sacerdote nato a Piumazzo, nel Modenese ma nel territorio dell’arcidiocesi di Bologna. A cominciare dalla storia della sua famiglia contadina — cinque figli e tanti sacrifici — e dall’ordinazione sacerdotale: il 25 marzo 1944, in piena guerra, nella chiesa di San Martino a Bentivoglio, scelta perché in aperta campagna e, dunque, buona per scappare in caso di allarme per bombardamenti.
Di guerra don Ernesto fa subito esperienza sulla propria pelle a Zenerigolo, frazione di San Giovanni in Persiceto — dove è stato parroco per 25 anni, fino al 1969 — tanto che si ritrova i tedeschi in canonica e poi nel vortice di feroci violenze. Ecco il suo ricordo: «Due parroci di due parrocchie vicine furono uccisi: don Enrico Donati e don Alfonso Reggiani». A don Ernesto venne chiesto, in pratica, di prendere il loro posto. «E poi il 4 novembre 1948 — prosegue — sempre nella mia zona venne ucciso anche il giovane sindacalista Giuseppe Fanin», per il quale è in corso la causa di canonizzazione. «Anche io ricevetti minacce — confida il sacerdote — e decisi di reagire portando davanti al tabernacolo una di quelle lettere anonime che mi “consigliavano” di stare attento a cosa dicevo in chiesa». Un po’ alla don Camillo.
La seconda parte della sua vita sacerdotale don Ernesto l’ha vissuta come parroco di Altedo per 27 anni, dal 1969 al 1996. Un territorio grande, ricorda, che ha affrontato vivendo la «missione faticosa» — ma è poi «il senso stesso dell’essere prete» — di «fare breccia in una diffusa indifferenza religiosa».
Decano del clero bolognese, don Ernesto vive oggi a Castelfranco Emilia, rilanciando la testimonianza della sorella missionaria, tanto che ha fortemente voluto che fosse sepolta nella chiesa del paese natale di Piumazzo: «Ricordo quando Anna, questo il suo nome di battesimo, partì per il Mozambico come “pioniera” delle missionarie dell’Istituto della Consolata: era il 3 luglio 1927 e aveva 23 anni». È morta nel 1934, a trent’anni, per la tubercolosi contratta dando tutto, ma proprio tutto, per servire i più poveri e testimoniare Cristo.
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