Papa in Thailandia: occasione di dialogo nel Paese del Sorriso
Fabio Colagrande - Città del Vaticano
La tappa in Thailandia, che aprirà il prossimo viaggio apostolico di Papa Francesco, sarà il secondo incontro di un Pontefice con il Paese del Sorriso dopo quello con San Giovanni Paolo II nel maggio del 1984. Ad accogliere Francesco sarà una comunità cattolica che rappresenta circa lo 0.55% della popolazione thailandese: 380 mila fedeli e una Chiesa strutturata in 12 diocesi e 436 parrocchie. Nel Nord del Paese nella città di Chiang Mai, a settecento chilometri da Bangkok, vive un’esperienza di missione un gruppo di famiglie del Cammino Neocatecumenale, con l’assistenza spirituale del sacerdote romano Don Giovanni Rengo. Sentiamo la sua testimonianza a pochi giorni dall’arrivo del Papa ai microfoni di Radio Vaticana Italia.
R. – Sento una grande emozione per il fatto che il Papa venga qui, in Thailandia: la sento come cattolico, come presbitero e anche, soprattutto, come presbitero della diocesi di Roma. Mi sto preparando, nel senso che ho fatto di tutto per andare nei luoghi che Francesco visiterà, assieme alle famiglie cattoliche che sono qui con me a Chiang Mai. Molte persone stanno organizzandosi per essere in quei giorni a Bangkok. La cosa che desidero profondamente è che il Papa ci aiuti e ci confermi nella nostra missione di evangelizzatori, nel nostro sforzo di donarci con umiltà e senza riserve a questo popolo e soprattutto alla volontà di Dio che ci sta chiamando a fare questo piccolo servizio qui, in Thailandia.
Qual è il clima culturale e sociale di questo Paese che ha proprio nel buddhismo uno dei cardini della propria identità nazionale? Come questa società sta aspettando un ospite così particolare?
R. – Qui nelle scuole si mettono sempre tre quadri sulle pareti delle aule: quello del Buddha, quello del Re e quello della bandiera nazionale. La bandiera nazionale ha tre colori che, appunto, indicano la terra, cioè la nazione, il buddhismo e il Re. Quindi è un Paese molto radicato nelle sue tradizioni, in un certo senso, fedele, attaccato alle consuetudini culturali. Questa è certamente una cosa positiva ma credo che oggi ci sia anche una chiamata a tentare di evolversi, ad andare di più verso l’altro. E quindi, in questo senso, io penso che questa visita potrà essere di grande aiuto. Ho ricevuto dei feedback un po’ diversi: alcuni dicono che questa visita è stata raccontata abbastanza dai media thailandesi, mentre altri thailandesi che conosco erano addirittura all’oscuro della visita papale. Ma questo per me non è un motivo di vergogna o dispiacere: è un segno del fatto che il Papa sta venendo in grande umiltà, sapendo che si va all’incontro dell’altro, di questo popolo, senza nessuna pretesa, cercando di condividere quello che ciascuno di noi ha; e noi cristiani portiamo dentro il cuore la presenza del Signore Gesù Cristo. Ovviamente poi la presenza del Papa è molto importante per la Chiesa locale che essendo meno dell’1 per cento rappresenta un piccolo gregge che va confermato, aiutato. Grazie a Dio non c’è alcuna forma di persecuzione o di discriminazione religiosa, però non è semplice vivere qui come minoranza. Per tutte queste ragioni come cattolici simo davvero in attesa di questa visita.
Occasione di questo viaggio del Papa a Bangkok, sono anche i 350 anni dell’avvio dell’impegno delle missioni estere nell’antico Siam. Qual è oggi il ruolo della piccola comunità cattolica in Thailandia?
R. – 350 anni fa arrivarono qui i primi missionari e ci fu la prima riunione ufficiale della Chiesa a Ayutthaya, che è stata la seconda capitale del regno thailandese. All’epoca il regno della Thailandia non era grande come adesso e alcune zone erano veramente irraggiungibili, non c’era unità nazionale. Quindi la Chiesa ha iniziato un lavoro importante al Sud ed è stata quasi sempre bene accetta, ad esclusione di pochissimi momenti di tensione, di shock culturale o anche di persecuzione. In sintesi ci sono state varie ondate di evangelizzazione. Nella prima, il clero ha organizzato moltissime scuole, fondato tantissimi istituti educativi. Una seconda ondata è stata quella in cui si è andati verso il Nord per cercare di evangelizzare tutte le popolazioni “tribali”, se questo termine è adeguato, popolazioni che si trovavano molto disperse. Adesso speriamo che il Signore ci aiuti ancora a continuare quest’opera evangelizzatrice nelle città, con un’evangelizzazione un po’ della presenza, testimoniando il Signore in mezzo a una società in cui siamo integrati ma dove siamo chiamati a dare una testimonianza concreta e viva. Ovviamente, accanto a tutto il lavoro che la Chiesa fa vicino ai più poveri, perché c’è anche questo: la Chiesa compie molte opere di aiuto e di assistenza ai più poveri e ai più umili.
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