Francesco, in dialogo con i ragazzi di un liceo romano, si racconta
Adriana Masotti - Città del Vaticano
L’arrivo, ieri, di Papa Francesco all’istituto romano verso le 11.30. I ragazzi e le ragazze lo attendono nel cortile e salutano il suo ingresso con grande entusiasmo. Appena seduto gli cantano una canzone, e dopo le parole al Papa della preside prof.ssa Antonietta Corea, c’è attesa e curiosità per le risposte che Francesco darà alle loro domande.
La solitudine buona e quella cattiva
A cominciare è una ragazza, gli chiede che cosa pensa della solitudine che i ragazzi affrontano spesso durante l’adolescenza e se anche lui si sente solo. Il Papa risponde che lui non si sente solo nel senso di non avere amici o cose da fare. Distingue tra solitudine buona e solitudine cattiva e dice che è importante avere nella vita momenti in cui stare soli, davanti alla propria coscienza:
E’ importante abituarsi a un momento di solitudine nella giornata, ogni due, tre giorni, non so ma... Mi sento solo e vedere cosa succede nella mia vita, e questo ti fa crescere. C’è la solitudine buona. La solitudine cattiva, che ti fa male, è quella che ti fa scivolare sulla malinconia, sui pensieri cattivi, anche pensieri di gelosia, di vendetta, tanti pensieri cattivi... Mi sento solo e penso a come fare del male agli altri. Ma questa voi non l’avete sicuramente, sono tranquillo. Ma un po’ di solitudine con me stesso, ognuno deve averla, con sé stesso.
Nell'amare c'è già la ricompensa
La seconda domanda nasce dall’esperienza personale di una studentessa, dal riconoscere che in ogni gesto buono verso gli altri c’è sempre un desiderio di ricompensa. Ma sarà mai possibile essere capaci di un amore senza secondi fini? Papa Francesco riconosce la difficoltà e dice:
E’ molto difficile fare la strada della gratuità, fare dei gesti gratuiti. L’unica strada per farli è quella dell’amore. Ma chi ama non cerca il proprio interesse. Perché nell’amore è la ricompensa, il fatto di amare. E amare è una parola grande. Io dirò che è proprio la cosa più grande che noi possiamo fare è amare, amare.
E cita l’esempio dell’amore dei genitori per i figli e dei figli quando i genitori diventano anziani, e osserva che “perfino nella storia abbiamo visto qualcuno dare la vita per l’altro”. Ma, continua, “ci vuole lavoro per arrivare a quello, ci vuole maturità” e poi “la strada dell’amore è una strada difficile perché esige da noi di fare tante potature di atteggiamenti brutti”.
Stare insieme tra persone di provenienza e fedi diverse
La terza domanda riguarda l’impatto con la diversità a cominciare dall’incontro con persone di altre credenze religiose. Francesco risponde raccontando la sua esperienza in Argentina, quando fin da ragazzo si è trovato insieme a ragazzi di altre nazionalità e religioni:
C’è una mescolanza di sangue, un meticciato forte in Argentina - io sono figlio di un migrante – e questo ha fatto una cultura della convivenza. Io ho fatto la scuola pubblica e sempre avevamo compagni di altre religioni. Siamo stati educati alla convivenza.
Un ragazzo era islamico, continua, uno ebreo, ma non passava per la mente l’idea di fare distinzioni, né di chiedere a qualcuno di convertirsi. “Questo a me ha insegnato tanto, che siamo tutti uguali, tutti figli di Dio e questo ti purifica lo sguardo, te lo fa umano”, dice. L’importante è essere coerenti con la propria fede:
Non siamo nei tempi delle crociate. E’ una cosa brutta che a me ha fatto soffrire tanto, un passo della “Chanson de Roland”, quando i cristiani, i crociati, avevano vinto i musulmani e poi si faceva una coda di tutti i musulmani e davanti c’era il prete e un soldato. Il prete davanti alla fonte battesimale e tutti venivano - leggete quel passo – e gli domandavano: “O il battesimo o la spada”. Questo è successo nella storia! Lo fanno anche con noi cristiani in altre parti, lo stanno facendo, ma quello che è successo da noi a me fa vergogna perché è una storia di conversione forzata, di non rispetto della dignità della persona.
No al proselitismo, sì alla testimonianza
A questa domanda si collega un’altra: che cosa dire ad un ateo che chiedesse una ragione per cominciare a credere? L’ultima cosa da fare “è cercare di convincerlo” con le parole, risponde il Papa. E’ la testimonianza che risveglia l’interesse dell’altro:
Il proselitismo non si fa, la Chiesa non cresce per proselitismo. L’aveva detto Papa Benedetto, cresce per attrazione, per testimonianza. Il proselitismo lo fanno le squadre di calcio, questo si può fare, i partiti politici, si può fare lì, ma con la fede niente proselitismo. E se qualcuno mi dice: “Ma tu perché?”. Leggi, leggi, leggi il Vangelo, questa è la mia fede. Ma senza pressione.
E' importante sognare e anche saper giocare
I ragazzi sono curiosi e chiedono al Papa qual è il suo ultimo pensiero la sera e quanto contano per lui il sogno e il gioco. Papa Francesco racconta di sé, di come prima di dormire si prende qualche minuto per rivedere la sua giornata, i sentimenti buoni e meno buoni vissuti davanti a persone e circostanze. Guardare cosa è successo dentro di sé, guardare ai propri sentimenti, osserva, è molto importante. “Essere padroni dei sentimenti. Non per gestirli, ma per sapere cosa significano e quale messaggio mi lasciano”. Saper giocare è importante, afferma e riguardo ai sogni afferma:
E’ triste una persona che non sa sognare da sveglio, non sa avere dei sogni. Ma è una cosa grande saper sognare. “Ma tu sei uno sciocco, lascia, va al concreto”. I sogni sono concreti, i sogni ti fanno guardare l’orizzonte, ti aprono un po’ la vita, ti portano ossigeno all’anima. Capacità di sognare: non perdere quella, non perdere.
Un vero maestro è un dono della vita
Alla domanda su quanto sia importante avere dei veri maestri dice che “trovare un maestro di vita è una delle cose belle”. E citando il padre Miguel Fiorito che è stato suo maestro, Francesco continua:
Grazie a Dio io ne ho avuto uno che mi ha aiutato tanto e ho dato testimonianza pochi giorni fa su quella persona, ma è un dono avere un maestro. Tu non puoi fare un avviso sulla stampa: io sto cercando un maestro... No, è un dono. Viene. E’ come l’amore, viene, viene. E il discepolato anche viene, viene. E’ un dono della vita.
La guerra non è mai buona
Dopo quasi quaranta minuti, qualcuno avverte il Papa che è suonata la campanella, “vuol dire che il Papa deve andarsene!”, commenta. Ma c’è ancora una domanda a cui rispondere. Riguarda la contraddizione di chi pensa di difendere la sicurezza facendo la guerra. E’ vero, risponde il Papa, basta vedere “cosa succede in Siria oggi, Cosa succede nello Yemen, stiamo vedendo queste cose brutte”. E’ l’ora dei saluti e degli auguri: di buon Natale, di studiare, lavorare, sognare, giocare, avere un maestro! Vi auguro il meglio, conclude il Papa.
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