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2019.12.31 2019.12.31 pittura presepe Giotto 2019.12.31 2019.12.31 pittura presepe Giotto 

Gli occhi dell’amore. Il presepe nella pittura di Giotto

Seguendo le parole di Papa Francesco che nella sua Lettera apostolica Admirabile Signum esalta l’importanza e il significato del presepe, approfondiamo ancora questo argomento, così com’è stato espresso nell’arte. Giotto ne è stato sicuramente uno degli interpreti più grandi. L’artista ha realizzato, infatti, un San Francesco e il presepe di Greccio, due Natività e un’adorazione dei Magi. C’è un filo rosso che lega queste opere: lo sguardo

Maria Milvia Morciano - Città del Vaticano

Giotto ha dipinto alcuni affreschi legati tutti dallo stesso tema della Natività del Signore. Il primo fa parte del ciclo delle Storie di San Francesco nella Basilica superiore di Assisi, di poco anteriore al 1300. Il dipinto fotografa il momento culminante della notte di Natale del 1223 quando, come raccontano Tommaso da Celano nella S. Francisci Assisensis vita et miracula di (XXX 466-471) e San Bonaventura da Bagnoregio nella Legenda maior (X 1186,7), opera quest’ultima alla quale si è ispirato Giotto, il fraticello d'Assisi decise di rievocare la nascita di Gesù predisponendo una mangiatoia, un bue e un asinello in un luogo dove subito accorse la popolazione e si adunarono i frati. Durante la solenne cerimonia, un uomo sostenne di aver visto disteso sul fieno un bellissimo Bambino che dormiva mentre Francesco, prendendolo in braccio, sembrava volerlo risvegliare (Cfr. Papa Francesco, Lettera Apostolica Admirabile Signum).

Il presepe di Greccio, Basilica superiore di Assisi.
Il presepe di Greccio, Basilica superiore di Assisi.

Il presepe di Greccio

Giotto ambienta l’episodio in una chiesa e colloca noi spettatori da un particolare punto di vista, in  fondo all’abside.  La scena è complessa: la croce che noi vediamo dal retro e che pende dal muro di delimitazione del coro tenta una prospettiva insieme al ciborio e al leggio con il messale; le donne che si affacciano e si accalcano sulla soglia della porta stretta danno l’idea di una folla di persone; i personaggi in prima fila tacciono e guardano come interrotti e sorpresi, mentre più indietro i frati continuano a cantare. Tutto converge sulla figura di Francesco chino sul Bambino. Hanno i volti vicini e si guardano. Benché la pittura in quel punto sia danneggiata si distinguono bene gli occhi di entrambi.  Si guardano intensamente e sono l'uno nello sguardo dell'altro. Uno sguardo che cattura ed emoziona.  Sembra che Gesù chieda e che Francesco risponda di  sì. Alla mente tornano le parole di Marco: Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui e lo amò” (10, 21).

Le Natività

Altre tre opere invece raffigurano la Natività, con Maria, Giuseppe, il bue e l’asinello. Giotto dipinge un’iconografia già al suo tempo molto diffusa, dove appaiono tutti gli altri elementi e i personaggi tipici del presepio: la capanna, la montagna, i pastori, la stella, gli angeli e i magi.

In ordine cronologico, la prima è la Natività della Cappella degli Scrovegni, databile tra il 1303 e il 1305; la seconda si trova nel transetto destro della Basilica inferiore di Assisi, del 1310 circa, e la terza, un’Adorazione dei magi, è una tempera su tavoletta in legno, di dimensioni quindi più contenute, probabilmente del 1320, conservata nel Metropolitan Museum di New York.

La natività della Cappella degli Scrovegni

L’affresco degli Scrovegni rappresenta uno dei punti più eccelsi del genio dell’artista. Sotto la consueta capanna sta distesa Maria mentre pone il Piccolo nella mangiatoia, aiutata dalla levatrice. Il bue e l’asinello ci danno le spalle protesi verso la greppia in legno. Giuseppe in primo piano dorme chiuso nel mantello e appoggiato alla mano. Gli angeli volteggiano nel cielo. I pastori stanno di spalle, costringendo noi spettatori a stare in seconda fila, quasi riecheggiando il passo di Matteo “Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi" (20,16).  

Per quanto Maria e Gesù non siano perfettamente al centro, al punto che parte delle figure della levatrice e degli animali risultano letteralmente tagliate fuori dalla scena, il centro sono loro, anzi lo è il loro sguardo. Gesù guarda dritto negli occhi la Mamma. Lei lo guarda a sua volta con occhi chiari e buoni. L’intensità è travolgente. Lo sguardo di Gesù non è quello di un bambino: è profondo, ultraterreno, per alcuni versi inesorabile. Sta chiedendo a sua Madre tutta la sua vita, il suo sacrificio e lei con un viso dolcissimo pare che risponda di sì, proprio come san Francesco.

Natività, Cappella degli Scrovegni, Padova (“Su gentile concessione del Comune di Padova – Assessorato alla Cultura)
Natività, Cappella degli Scrovegni, Padova (“Su gentile concessione del Comune di Padova – Assessorato alla Cultura)

La natività di Assisi

L’affresco con la Natività di Assisi è meno innovativo rispetto a quello di Padova. Segue modelli iconografici antichi, come sdoppiare la scena in due momenti successivi:  la Natività  e il Primo bagno del Bambino  effettuato da due donne, una delle quali evidentemente Salome, la levatrice scettica citata dai Vangeli apocrifi, con un significato che sembra anticipare il Battesimo di Cristo, così come la mangiatoia rimanda alla morte e risurrezione del Signore

Giuseppe è appartato e pensieroso; Maria è seduta su un materasso e tende con le braccia il Bambino che è stretto nelle fasce, e su di lui cadono raggi d’oro. Sotto l’esile capanna, c’è una greppia allungata con gli animali e un girotondo di angeli in adorazione. Dietro si erge un’alta montagna brulla, anch’essa dalla simbologia natalizia ben nota, angeli e pastori. Maria e Gesù si guardano profondamente ma senza l’intensità ineffabile dell’affresco di Padova.

Natività, Basilica inferiore di Assisi
Natività, Basilica inferiore di Assisi

L'Adorazione dei Magi del Metropolitan Museum

L’opera, attribuita a Giotto e ad aiuti, raffigura l’Adorazione dei Magi con l’introduzione di alcune novità iconografiche. Anche qui Maria è raffigurata come una puerpera, ma ha gli occhi stanchi. Guardano lontano, in modo melanconico, presagendo quello che accadrà. I magi adorano il Neonato e uno di loro, posata a terra la corona, lo solleva delicatamente dalla greppia, mentre Giuseppe, di fronte, ha appena ricevuto il dono che stringe tra le mani, inchinandosi appena per ringraziare.

Adorazione dei magi, Metropolitan Museum of New York
Adorazione dei magi, Metropolitan Museum of New York

Altri occhi, altri sguardi

Al ciclo narrativo degli Scrovegni appartiene anche il Compianto sul Cristo morto. Gesù non guarda la Madre, che giace privo di vita e ha gli occhi chiusi come se ormai fosse altrove, come uscito fuori dalla sua umana corporeità e tornare al suo essere divino. Maria è raffigurata in età più matura e anche lei non guarda, piange forte con gli occhi chiusi, accecati dal dolore.

Altri sguardi si trovano ad esempio nell'ascensione di San Giovanni nella cappella Peruzzi della Basilica di Santa Croce a Firenze (tra 1318 e il 1322) la figura dell’apostolo, ormai anziano, è tirata letteralmente da Cristo verso il cielo. Il suo sguardo tutto rivolto a Cristo è di accettazione e di amore.

Questo guardarsi dritto negli occhi è proprio un tratto fondamentale di tutta la pittura di Giotto.  Una convenzione pittorica che ci dà l’impressione di leggere un libro intero, la sensazione di capire tutto quello che si dicono e quello che vogliono dirci. Di certo lo sguardo di Maria e Gesù nella Natività di Padova rimane quello più dirompente. Lo sguardo chiaro e limpido di Maria risponde a quello del Figlio che ha occhi penetranti, quasi severi. Uno sguardo che porta in sé tutto il mistero della sua Incarnazione.

E come non far caso anche allo sguardo di Gesù Cristo che guarda dritto negli occhi Giuda che lo sta baciando nel ciclo di affreschi degli Scrovegni, l'Uno con gli occhi dell'amore, l'altro con uno sguardo vuoto, privo di sentimento, incomprensibile come incomprensibile è il suo tradimento.

Ancora diverso e al centro della scena è lo sguardo nell’affresco dell’Incontro alla porta aurea sempre a Padova, dove Anna e Gioacchino si baciano e gli occhi sono talmente vicini da diventare una cosa sola: l'amore coniugale pienamente espresso.

Compianto sul Cristo morto, Cappella degli Scrovegni, Padova (particolare).
Compianto sul Cristo morto, Cappella degli Scrovegni, Padova (particolare).
Il bacio di Giuda. Cappella degli Scrovegni, Padova
Il bacio di Giuda. Cappella degli Scrovegni, Padova

Il senso della vista al tempo di Giotto

Nel Medioevo la vista è quello che dei cinque sensi ha goduto di maggiore attenzione. La correlazione tra vista e conoscenza discende dal mondo antico. Per Platone e Aristotele la conoscenza è una conseguenza della vista. Nella storiografia classica quando si vuole avvalorare la veridicità di ciò che si racconta si premette, quasi come una formula, “racconto perché ho  visto”, come scrive Erodoto.

Nella poesia trobadorica e poi in quella duecentesca e nello Stilnovismo, corre un rapporto assai stretto tra occhi e cuore. Lo sguardo non mente, ed è anche il veicolo che porta all’amore. Giacomo da Lentini, ad esempio, dice che il desiderio amoroso scaturisce dalla visione dell’amato. Dante ribadisce il concetto. Occhi e cuore sono insomma un binomio ricorrente. Non stupisce pertanto che Giotto concentri così tanta centralità allo sguardo.

Teologia dello sguardo

Il rapporto occhi-conoscenza si inverte però totalmente nell’ambito della sfera religiosa. Come scrive Riccardo di San Vittore, priore dell’abbazia di Parigi nel XII secolo, Ubi amor ibi oculus, "Dove è l'amore lì c'è lo sguardo".  È l’amore che permette di vedere, che produce conoscenza e non lo sguardo fisico.

Un concetto che troviamo di continuo nei Vangeli. “Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi” (Gv 9, 39) e ancora  “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29).

San Francesco volle “vedere con gli occhi del corpo” (FF 468) la nascita di Gesù, non per accrescere la propria fede e tanto meno perché scettico, ma per “vedere i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato” (Ibid.), per immergersi totalmente nello stupefacente amore di Dio, “...che si è fatto piccolo, per essere amato da noi. In Gesù Dio si è fatto Bambino, per lasciarsi abbracciare da noi”, come ricorda Papa Francesco nell’Omelia durante la S. Messa nella Notte di Natale

 Giotto ha dipinto l’amore ed è riuscito a renderlo perfettamente nello scambio di sguardi. In un certo senso ha creato nell’arte una vera e propria teologia dello sguardo. 

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01 gennaio 2020, 08:01