Il Papa: la memoria dell’Olocausto per non annientare il futuro
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Il silenzio per ascoltare il grido dell’umanità sofferente. Oggi come 75 anni fa quando al mondo venne svelata nella sua crudeltà la furia nazista, quando vennero aperti i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz - Birkenau e chi sopravvisse portò nel corpo, nella mente e nel cuore l’orrore vissuto. Papa Francesco, ricevendo in udienza il “Centro Simon Wiesenthal”, ricorda il 27 gennaio, giorno della liberazione del campo nazista che si trova in Polonia, invoca l’assenza di parole dinanzi al “consumismo verbale” che si declina in “offese urlate”, “parole inutili” mentre è “il silenzio a custodire la memoria”, senza la quale si annienta il futuro. Netta la condanna del Papa per l’antisemitismo e per le “barbare recrudescenze” degli ultimi tempi. Forte l’invito a “dissodare il terreno dell’odio”, seminando pace, reintegrando chi è emarginato, sostenere chi è scartato, come forte è l’invito a collaborare insieme cristiani ed ebrei per coltivare “il terreno della fraternità”.
Educare alla tolleranza, alla libertà di religione
Francesco ricorda i contatti tra la Santa Sede e il “Centro Simon Wiesenthal”, “attivo in tutto il mondo” per combattere “ogni forma di antisemitismo, razzismo e odio delle minoranze”. Il Centro è nato nel 1977 su iniziativa di Simon Wiesenthal, ebreo austriaco che dedicò gran parte della sua vita a ricostruire la verità sullo sterminio nazista, individuando i responsabili dei crimini per consegnarli alla giustizia.
Ci accomuna il desiderio di rendere il mondo un luogo migliore nel rispetto della dignità umana, una dignità che spetta a ciascuno in ugual misura indipendentemente dall’origine, dalla religione e dallo status sociale. È tanto importante educare alla tolleranza e alla comprensione reciproca, alla libertà di religione e alla promozione della pace sociale.
La memoria per garantire il futuro
La preghiera silenziosa nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, nel 2016, è l’immagine che il Papa condivide per ricordare che tra pochi giorni, il 27 gennaio, si celebrerà il Giorno della memoria, a 75 anni dalla liberazione del campo. Il silenzio “per interiorizzare”, per fermarsi e guardarsi dentro, “per ascoltare il grido dell’umanità sofferente”: la cosa più difficile da fare perché si è sempre più “assorbiti” dal “vortice delle cose”.
Il consumismo odierno è anche verbale: quante parole inutili, quanto tempo sprecato a contestare e accusare, quante offese urlate, senza curarsi di quel che si dice. Il silenzio, invece, aiuta a custodire la memoria. Se perdiamo la memoria, annientiamo il futuro. L’anniversario dell’indicibile crudeltà che l’umanità scoprì settantacinque anni fa sia un richiamo a fermarci, a stare in silenzio e fare memoria. Ci serve, per non diventare indifferenti.
L’indifferenza egoista
A preoccupare il Papa è l’indifferenza egoista per cui “interessa solo quello che fa comodo a se stessi”, quando le cose vanno male si scatena la rabbia, la cattiveria, si offre il fianco “ai particolarismi e ai populismi”: terreni sui quali cresce rapidamente l’odio.
Tendere la mano, seminando pace
Pertanto è urgente affrontare il problema alla radice, impegnandoci “a dissodare il terreno su cui cresce l’odio, seminandovi pace”.
È infatti attraverso l’integrazione, la ricerca e la comprensione dell’altro che tuteliamo maggiormente noi stessi. Perciò è urgente reintegrare chi è emarginato, tendere la mano a chi è lontano, sostenere chi è scartato perché non ha mezzi e denaro, aiutare chi è vittima di intolleranza e discriminazione.
Percorsi di fraternità
I primi chiamati ad assumere questo impegno sono i cristiani e gli ebrei insieme, perché – come sottolineava la Dichiarazione Nostra aetate – c’è un ricco patrimonio spirituale comune “che dovremmo scoprire sempre più - afferma il Papa - per metterlo al servizio di tutti”.
Sento che, oggi in particolare, siamo chiamati proprio noi, per primi, a questo servizio: non a prendere le distanze ed escludere, ma a farci vicini e includere; non ad assecondare soluzioni di forza, ma a avviare percorsi di prossimità. Anche noi ricordiamoci del passato e prendiamo a cuore le condizioni di chi soffre: così coltiveremo il terreno della fraternità.
Un terreno fatto di collaborazione e difesa dei più deboli per crescere nel bene reciproco, per “rendere la terra un luogo migliore, seminando pace”.
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