Il Papa: la vita consacrata sa vedere la grazia, cercare il prossimo, sperare
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
La fiamma delle candele illumina i volti dei consacrati e delle consacrate nella Basilica di san Pietro avvolta nel buio. Una piccola luce, stretta tra le mani e benedetta, custodita con forza, molto simile alla scintilla della chiamata che in un giorno qualunque Gesù ha acceso nei loro cuori. E’ proprio nella chiamata – spiega il Papa nell’omelia della Messa in San Pietro, alla vigilia della XXIV Giornata mondiale della Vita consacrata, 2 febbraio festa della presentazione del Signore - che si trova “il tesoro che vale più di tutti gli averi del mondo”, nelle mani di chi ha detto sì c’è “la grazia” del Signore, nella storia di ognuno “il dono fedele di Dio” soprattutto “nelle fragilità, nelle debolezze, nelle miserie”. “Non ci siamo meritati la vita religiosa”: sottolinea Francesco. “E’ un dono d’amore” da proteggere dalla tentazione dello “sguardo mondano”, dal ripiegarsi sull’io mentre gli occhi fissi su Dio fanno vedere – spiega Francesco - la bellezza della povertà che “non è uno sforzo titanico”, della castità “non una sterilità austera”, dell’obbedienza che rappresenta una “vittoria” sull’anarchia. La preghiera del Papa è che si chieda uno sguardo nuovo che sappia “vedere la grazia”, cercare il prossimo e sappia sperare. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)
Tutto è dono, tutto è grazia
Lo sguardo di Simeone che vede il piccolo Gesù al tempio guida la riflessione del Papa. E’ lo sguardo di un uomo anziano che non ha smesso di credere nella salvezza, che nella semplicità di un bimbo trova le risposte della vita, il compimento delle sue promesse, “la grazia” che vale più di tutto e soprattutto la pace. Seguire Dio è lasciare ogni cosa perché, spiega il Papa, si è stati rapiti dal suo sguardo, perché in Lui si è intravisto il tutto, perché Lui è l’amore vero.
La vita consacrata è questa visione. È vedere quel che conta nella vita. È accogliere il dono del Signore a braccia aperte, come fece Simeone. Ecco che cosa vedono gli occhi dei consacrati: la grazia di Dio riversata nelle loro mani. Il consacrato è colui che ogni giorno si guarda e dice: “Tutto è dono, tutto è grazia”. Cari fratelli e sorelle, non ci siamo meritati la vita religiosa, è un dono di amore che abbiamo ricevuto.
L’antidoto alla sfiducia e allo sguardo mondano
“Saper vedere la grazia è il punto di partenza”. Da lì si può rileggere la storia di ognuno e guardare, sottolinea il Papa, “il dono fedele di Dio: non solo nei grandi momenti della vita, ma anche nelle fragilità, nelle debolezze, nelle miserie” e nonostante le tentazioni del diavolo che mostra solo ciò che non va.
E rischiamo di perdere la bussola, che è la gratuità di Dio. Perché Dio sempre ci ama e si dona a noi, anche nelle nostre miserie. Quando teniamo lo sguardo fisso in Lui, ci apriamo al perdono che ci rinnova e veniamo confermati dalla sua fedeltà. Oggi possiamo chiederci: “Io, a chi oriento lo sguardo: al Signore o a me?”. Chi sa vedere prima di tutto la grazia di Dio scopre l’antidoto alla sfiducia e allo sguardo mondano.
Mai rassegnati
La mondanità, tentazione che spinge a cercare qualche “surrogato”: “un po’ di successo, una consolazione affettiva, fare finalmente quello che voglio”. Così si diventa “abitudinari e pragmatici, mentre dentro aumentano tristezza e sfiducia, che degenerano in rassegnazione”.
Ma la vita consacrata, quando non ruota più attorno alla grazia di Dio, si ripiega sull’io. Perde slancio, si adagia, ristagna. E sappiamo che cosa succede: si reclamano i propri spazi e i propri diritti, ci si lascia trascinare da pettegolezzi e malignità, ci si sdegna per ogni piccola cosa che non va e si intonano le litanie del lamento – le lamentele, “padre lamentele”, “suor lamentele” -: sui fratelli, sulle sorelle, sulla comunità, sulla Chiesa, sulla società. Non si vede più il Signore in ogni cosa, ma solo il mondo con le sue dinamiche, e il cuore si rattrappisce.
Famigliarità con lo Spirito
La via indicata dal Papa per vedere la grazia di Dio è quella del toccare l’amore del Padre, standogli vicino. Essere accanto alla propria comunità come alcune suore che in una zona terremotata italiana – racconta Francesco - hanno ricreato lo spirito del loro monastero, danneggiato dal sisma, in due roulotte.
La vita consacrata, se resta salda nell’amore del Signore, vede la bellezza. Vede che la povertà non è uno sforzo titanico, ma una libertà superiore, che ci regala Dio e gli altri come le vere ricchezze. Vede che la castità non è una sterilità austera, ma la via per amare senza possedere. Vede che l’obbedienza non è disciplina, ma la vittoria sulla nostra anarchia nello stile di Gesù.
Lo sguardo che cerca i lontani
Simeone, dopo aver riconosciuto il Salvatore, si definisce “servo”. E’ il compito del consacrato perché, evidenzia il Papa, “chi tiene lo sguardo su Gesù impara a vivere per servire”, “si mette in cerca del prossimo”, della propria comunità.
È lì che si inizia a mettere in pratica la carità: nel posto dove vivi, accogliendo i fratelli e le sorelle con le loro povertà, come Simeone accolse Gesù semplice e povero. Oggi, tanti vedono negli altri solo ostacoli e complicazioni. C’è bisogno di sguardi che cerchino il prossimo, che avvicinino chi è distante. I religiosi e le religiose, uomini e donne che vivono per imitare Gesù, sono chiamati a immettere nel mondo il suo stesso sguardo, lo sguardo della compassione, lo sguardo della compassione, lo sguardo che va in cerca dei lontani; che non condanna, ma incoraggia, libera, consola, lo sguardo della compassione. Quel ritornello del Vangelo, tante volte parlando di Gesù dice: “ne ebbe compassione”. È l’abbassarsi di Gesù verso ognuno di noi.
Sguardo di speranza
Negli occhi dell’anziano Simeone non c’è stanchezza ma la fiamma viva della speranza quella che Francesco suggerisce di tenere accesa, fissando sempre Gesù, adorandolo.
Saper sperare. Guardandosi attorno, è facile perdere la speranza: le cose che non vanno, il calo delle vocazioni… Incombe ancora la tentazione dello sguardo mondano, che azzera la speranza. Ma guardiamo al Vangelo e vediamo Simeone e Anna: erano anziani soli, eppure non avevano perso la speranza, perché stavano a contatto col Signore.
Uno sguardo nuovo è l’auspicio di Francesco; sguardo che sappia vedere la grazia, cercare il prossimo, sperare e quindi arrivare alla salvezza.
Il saluto del cardinale Braz De Aviz
Al termine della celebrazione, il prefetto del prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, ha ringraziato il Papa per aver celebrato insieme la Giornata Mondiale della Vita Consacrata, momento unico per manifestare l’essere Chiesa “senza lasciarci influenzare dalle turbolenze – ha spiegato il cardinale - che ogni tanto ritornano nella vita della Chiesa, come accade ora”. Ricordando l’impegno di molti in terre lontane per portare il Vangelo, il porporato non ha nascosto “la diminuzione accentuata” di consacrati in alcune parti della terra per invecchiamento e mancanza di vocazioni ma anche perché molti lasciano i voti. Il prefetto ha ricordato l’attenzione al possesso e alla gestione dei beni materiali nel segno della testimonianza del Vangelo, ha illustrato le varie iniziative intraprese in tal senso, sottolineando che “oggi la vita consacrata ha necessità di essere più preparata nella scienza economica e allo stesso tempo ha bisogno di ritornare alla testimonianza evangelica nel possesso e uso dei beni per poter amministrarli come beni della Chiesa”.
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