Francesco e Roma, un vescovo in cammino nella sua città
Alessandro Gisotti
“Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma”. Con le sue prime parole da Pontefice, la sera del 13 marzo del 2013, Francesco spiegava, nel modo semplice e diretto che presto avremmo imparato a conoscere, l’essenza di quanto era accaduto nelle ore precedenti nella Cappella Sistina. Era stato eletto il vescovo della diocesi di Roma, quella che, secondo la celebre affermazione di Ignazio di Antiochia, presiede le altre nella carità. A sottolineare ancor più questa dimensione “romana” dell’Elezione, il nuovo Papa aveva voluto accanto a sé, nel primo saluto “alla Città e al Mondo”, il cardinale Agostino Vallini, vicario della diocesi di Roma. Altrettanto significativamente, fin dal primo “incontro” con il suo gregge, il pastore aveva indicato come programma per la Chiesa di Roma “un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia”. Un cammino che Papa Francesco, sette anni dopo quella straordinaria sera di marzo, continua a fare stando ora avanti, ora in mezzo, ora dietro al Popolo di Dio che è in Roma.
Come i suoi predecessori, incontra il clero e i fedeli della diocesi in tanti modi e occasioni: dal tradizionale colloquio con i sacerdoti a San Giovanni in Laterano alle udienze generali, dalle grandi celebrazioni in San Pietro alle visite nelle parrocchie, prediligendo quelle dei quartieri più disagiati. La dinamica dell’incontro, tuttavia, non si esaurisce nella direzione dal centro verso la periferia. Fin dall’inizio del Pontificato, infatti, gruppi provenienti dalle parrocchie romane partecipano alle Messe mattutine celebrate a Casa Santa Marta. I fedeli dunque vanno a casa del loro vescovo, dalla periferia al centro. Francesco si è “fatto romano” ben presto anche nelle devozioni che maggiormente contraddistinguono la fede popolare di Roma. Devozioni a Maria innanzitutto, proprio come nella sua diocesi di origine, Buenos Aires. Ha visitato il Santuario del Divino Amore, luogo mariano per antonomasia dei romani; rinnova ogni anno l’omaggio alla Vergine a Piazza di Spagna nella Solennità dell’Immacolata Concezione. Soprattutto, come per secoli hanno fatto i fedeli di Roma, affida alla Salus Popoli Romani, custodita a Santa Maria Maggiore, gli atti importanti della sua vita. E’ qui che si reca all’indomani dell’elezione alla Cattedra di Pietro, è qui che torna ogni volta che si appresta a compiere o ritorna da un viaggio apostolico internazionale.
Tra i romani, uno spazio privilegiato nel cuore di Francesco lo hanno senza dubbio i poveri, gli invisibili di una città ricca di ogni bene, ma dove purtroppo c’è ancora chi muore di freddo o vive in situazioni di assoluto degrado. Il Papa non fa mancare il suo sostegno a quanti quotidianamente tendono la mano a chi è nel bisogno. Eloquente in questo senso la scelta, durante il Giubileo della Misericordia, di aprire una Porta della Carità alla Mensa Caritas della Stazione Termini come anche le visite nei “Venerdì della Misericordia” a centri e strutture cittadine dove si dà assistenza a chi soffre. Per i poveri della città - attraverso l’Elemosineria Apostolica - Francesco fa inoltre attivare tutta una serie di servizi di prima necessità e moltiplica gli spazi di accoglienza per i senzatetto fino all’ultima iniziativa di trasformare un edificio vaticano, Palazzo Migliori, in una casa per senza fissa dimora. Anche i giovani romani hanno un posto rilevante nello sguardo del vescovo sulla sua città. Come il suo predecessore, Francesco ritiene che affrontare “l’emergenza educativa” sia un compito urgente per la città e la diocesi di Roma. Si comprendono così anche gesti inediti e, per certi versi sorprendenti, da lui compiuti come la visita al Liceo Pilo Albertelli e quello all’Università Roma Tre, scuola e ateneo laici. In entrambi i casi, il Papa sceglie la forma del dialogo con gli studenti per comunicare il suo messaggio. Incarna così l’esempio di una Chiesa che crede davvero nella “cultura dell’incontro” e che sa inserirsi, senza timori e pregiudizi, nella vita e nella conversazione quotidiana delle giovani generazioni.
Se, dunque, Francesco dialoga e stimola tutte le componenti della comunità ecclesiale della sua diocesi non meno fecondo è il dialogo che il vescovo di Roma intrattiene con le diverse istanze della società civile della “Città Eterna”, a partire dalle autorità cittadine. Numerosi gli incontri tra il Papa e i tre sindaci capitolini che si sono succeduti in questi sette anni di Pontificato. Così come molteplici sono gli interventi, gli appelli, le esortazioni che il Pontefice rivolge non solo alle istituzioni locali ma a tutta la cittadinanza, nella consapevolezza – come da ultimo ha affermato in occasione del Te Deum del 31 dicembre 2019 – che Roma “non è solo una città complicata, con tanti problemi” ma pure una città in cui Dio spinge i suoi abitanti “a sperare nonostante tutto, ad amare lottando per il bene di tutti”.
Il momento culminante, anche come immagine, di questo dialogo che si fa impegno concreto è sicuramente la visita papale al Campidoglio nel marzo dell’anno scorso. Invitato dalla sindaca Virginia Raggi, Francesco è il terzo Pontefice a parlare nell’Aula Giulio Cesare, dopo Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Rivolgendosi ai consiglieri comunali e alla giunta capitolina, il Papa rammenta che Roma, “lungo i suoi quasi 2.800 anni di storia, ha saputo accogliere e integrare diverse popolazioni e persone provenienti da ogni parte del mondo” e che oggi è chiamata a non disperdere questa sua identità di “città ospitale”, “città dei ponti, mai dei muri”. Pontefice, “costruttore di ponti”. Con le sue visite, i suoi gesti, le sue parole, Francesco rende più vicini il Colle Vaticano e quello Capitolino, Piazza San Pietro e i quartieri della capitale, specie i più lontani e svantaggiati. Come promesso fin dal suo primo giorno da vescovo di Roma, continua a camminare nella e con la sua diocesi. Lo fa mostrando che a stargli a cuore non è occupare spazi ma avviare processi di bene, nuovi cammini che favoriscano la concordia al servizio della Città nella quale il Signore lo ha chiamato a svolgere il ministero episcopale.
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