Giovanni Paolo II, un Papa Santo in comunione con Francesco
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
“Durante un colloquio personale, Papa Francesco ha cominciato a condividere con me dei ricordi su San Giovanni Paolo II nel centenario della sua nascita. Erano ricordi molto belli a cui si accompagnava una rilettura molto profonda di quel Pontificato. Allora, ho preso coraggio e gli ho detto che pensieri simili era troppo poco tenerli solo per noi e che sarebbe stato bello pubblicarli e lui ha accettato questa proposta. Da lì è nata l’idea di questo libro che prova a raccontare Giovanni Paolo II attraverso gli occhi di Francesco”. Così, don Luigi Maria Epicoco, sacerdote e scrittore, docente di filosofia alla Pontificia Università Lateranense, spiega ai microfoni di Radio Vaticana Italia la genesi del volume “San Giovanni Paolo Magno” (San Paolo) firmato da Papa Francesco e in libreria dall’11 febbraio. Il sacerdote, che ha curato il libro, fa capire quanto sia stata importante la figura di San Giovanni Paolo II nell’esperienza umana e ecclesiale di Papa Francesco:
R.- Papa Francesco si rapporta a Giovanni Paolo II come a un gigante, a un padre. Anche se è un suo predecessore, per lui rimane una figura decisiva. Innanzitutto una figura di consolazione, perché la prima volta che lo incontra personalmente – lo racconta lui stesso – è in un momento buio della sua vita e quelle poche parole di Giovanni Paolo II le percepisce come una tenerezza, una consolazione. Poi è stato proprio Giovanni Paolo II a volerlo vescovo ausiliare di Buenos Aires e poi a sceglierlo come arcivescovo e a crearlo cardinale. Da lì in poi è come se la vita di Papa Bergoglio si sia intrecciata in maniera indissolubile con il pontificato di Giovanni Paolo II. Il legame è quindi di profondissima ammirazione e gratitudine.
Il libro nota alcune similitudini nella vita dei due Pontefici: entrambi da giovani hanno lavorato e poi, da sacerdoti, hanno ricevuto presto incarichi di responsabilità…
R.- Durante i nostri colloqui, mentre ripercorrevamo le vicende biografiche di Karol Wojtyla, Papa Francesco tornava con la memoria alle sue esperienze personali. Quando abbiamo parlato del significato che ha avuto per il Papa polacco lavorare manualmente e condividere la fatica degli operai, Papa Francesco ha osservato che è probabilmente proprio da questa esperienza che il futuro Pontefice sviluppò un'apertura, una vicinanza nei confronti del mondo del lavoro, del mondo sociale. Allora ho pensato che questa esperienza fosse stata altamente formativa anche per lui e mi ha confermato che effettivamente è stato così: lavorare lo ha aiutato a comprendere un mondo che normalmente l’ambiente clericale non conosce da vicino. Mettersi nei panni dei lavoratori ha aiutato entrambi a guardare con una paternità e un'attenzione diversa proprio il mondo del lavoro. Diversi episodi della vita di Giovanni Paolo II si mescolano con quelli di Papa Francesco: ci sono delle somiglianze che, con il senno di poi, noi leggiamo forse forzando anche un po’ la mano della provvidenza. Ma è certamente significativo come certe cose si siano ripetute.
Misericordia e gioia, parole chiave del pontificato di Giovanni Paolo II, lo sono forse anche di quello che stiamo vivendo oggi?
R. – Sì. Quando ho chiesto al Papa come mai insisteva tanto sul tema della misericordia, lui mi ha detto: “L'ho imparato da lui, la misericordia l'ho imparata da lui”, riferendosi proprio a Giovanni Paolo II. La gioia poi è la cifra del cristianesimo, motivo per cui non c'è un documento, un’esortazione, una pagina di Papa Francesco che non abbia un riferimento alla gioia. Perché la gioia è la vera cartina di tornasole per capire se il nostro cristianesimo è quello di Gesù Cristo o altro.
Nel libro, Papa Francesco cita e condivide con chiarezza due affermazioni forti di San Giovanni Paolo II riguardanti il celibato sacerdotale e il no al sacerdozio femminile. Come siete arrivati a parlarne?
R. – Su questi temi non solo il Papa è stato molto chiaro, ma ha anche corretto le mie domande. Mentre io cercavo, in maniera provocatoria, di dire che la situazione attuale di crisi vocazionale e gli scandali legati agli abusi aprivano un grande punto interrogativo sul celibato sacerdotale, Francesco non soltanto ha ribadito che il celibato è innanzitutto una caratteristica propria della Chiesa latina, ma ha aggiunto una parola che è diventata la parola chiave per capire il celibato. Francesco ha sottolineato che il celibato è una ‘grazia’ e nessuna persona davvero intelligente rinuncerebbe a una grazia e che quindi la lettura da applicare al celibato non può essere meramente disciplinare. Non si tratta di una disciplina da applicare ai sacerdoti, ma è una grazia attraverso cui noi dobbiamo comprendere il significato del sacerdozio. Sull’ordinazione alle donne invece Francesco, nel nostro colloquio, ha sgombrato subito il campo affermando che la discussione è chiusa perché l’ha chiusa lo stesso Giovanni Paolo II. Il Papa è profondamente d'accordo con il suo predecessore soprattutto nell’evidenziare il gran fraintendimento per cui lo spazio delle donne nella Chiesa debba essere legato al ministero sacerdotale inteso come un esercizio di potere. Secondo Francesco, se consideriamo il sacerdozio solo come un esercizio di potere c'è qualcosa che non sta funzionando. Se è vero che c'è ancora molto da fare per dare spazio al genio femminile all'interno del vissuto della Chiesa, per lui sovrapporre queste due questioni è assolutamente pericoloso. Nella sua prospettiva, pensare che soltanto il sacerdozio possa dare l'opportunità alle donne di avere uno spazio all'interno della Chiesa significa fraintendere, ad esempio, il ruolo di Maria o della Maddalena o di tutti i personaggi femminili che popolano il Vangelo.
Da queste e altre riflessioni di Papa Francesco, raccolte nel libro a proposito di Giovanni Paolo II, emergono tratti di indiscutibile continuità tra i due Papi…
R.- Io parlerei di un’indiscutibile comunione e penso che tutto il dibattito odierno che contrappone spesso i diversi Pontefici contemporanei nasca da un'ignoranza profonda della Bibbia. Basta leggere gli Atti degli Apostoli per accorgersi come, fin dall'inizio, nella comunità cristiana ci sono tensioni legate ad approcci diversi allo stesso mistero, che è quello di Cristo e della sua Passione, Morte e Risurrezione. La Chiesa, cioè, non va considerata come un’uniformità ma come una comunione. Ed è proprio per questa sua capacità di tenere insieme cose diverse che la Chiesa vive. Tutti quelli che vogliono il bianco o il nero, la destra o la sinistra, il tradizionalismo o il progressismo, stanno applicando categorie troppo strette, incapaci di concepire la vita vera della Chiesa.
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