I Patriarchi del Medio Oriente: il Papa capisce il nostro dolore
Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
Si è parlato di Medio Oriente stamani in Vaticano. Papa Francesco si è incontrato con ciascuno dei seguenti patriarchi: il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti; il cardinale Louis Raphaël Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei; il patriarca di Alessandria dei Copti, Ibrahim Isaac Sedrak; Ignace Youssif III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri; Youssef Absi, patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, e il patriarca di Cilicia degli Armeni, Grégoire Pierre XX Ghabroyan. Ognuno ha rappresentato la situazione del proprio Paese. I patriarchi provengono da Libano, Iraq, Siria ed Egitto.
La vicinanza del Papa alle Chiese del Medio Oriente
Dopo l’udienza dal Santo Padre, il cardinale Louis Raphaël Sako ci ha riferito dell’incontro con il Papa:
R. - E’ stato un incontro molto amichevole, con un padre. Alla luce dei nostri problemi, come la persecuzione, la violenza, l’emigrazione, il fondamentalismo, che non aiutano sviluppare una vita civile, il Santo Padre si è mostrato molto vicino. Egli capisce veramente la nostra sofferenza. Noi abbiamo parlato dei nostri Paesi, poi delle nostre Chiese. Noi siamo delle piccole realtà, abbiamo delle difficoltà, ma abbiamo anche una vocazione da rispettare, una missione che vuole testimoniare la nostra fede, il Vangelo, la fratellanza, il rispetto della vita, della natura. Queste cose sono un po’ strane nel nostro contesto iracheno, che è tribale, violento. Il Papa ci ha mostrato la sua amicizia, la sua vicinanza, la sua preghiera. Egli ha parlato anche del suo desiderio di visitare l’Iraq, ma purtroppo per adesso le condizioni non sono favorevoli. Forse alla fine dell’anno vedremo se ciò sarà possibile. Noi abbiamo bisogno della vicinanza del Santo Padre, ma anche di quella della Santa Sede, per perseverare nella nostra missione e sperare nella pace. Io ho detto al Papa che bisogna aiutare i cristiani dell’Oriente. Noi siamo le radici del Cristianesimo. Anche se siamo una minoranza, siamo come il sale, la luce, siamo un dono per la Chiesa universale. Abbiamo dunque una missione importante e per questo abbiamo bisogno di sentire l’incoraggiamento e una parola del Papa e della Santa Sede.
Un anno fa la Dichiarazione sulla Fratellanza universale di Abu Dhabi firmata dal Papa e dal grande Imam di al-Azhar, Ahamed al-Tayeb. Che frutti ha suscitato questa iniziativa storica?
R. - È stato un passo grande, molto positivo. Spero che un giorno Francesco verrà anche in Iraq per firmare un documento simile. Per ora lo ha firmato con i sunniti, ma attendiamo che faccia lo stesso con le autorità sciite, in modo tale che tutto il modo musulmano accetti questo impegno, per favorire la coesistenza armonica, pacifica fra gli uomini.
Parliamo della Chiesa in Iraq, una Chiesa che assiste da anni alla sofferenza di un popolo in guerra e che oggi porta avanti importanti istanze di giustizia sociale. In che modo la Chiesa è vicina al popolo iracheno?
R. - Noi siamo molto presenti. Siamo una minoranza, ma sempre molto dinamica. Siamo rispettati e facciamo anche tanti gesti. Tante volte sono andato a portare cibo, medicine agli sfollati sciiti e sunniti per dire che noi siamo fratelli. Un imam è venuto al nostro incontro dicendo: “Io so che il vostro Dio è amore”. Ci sarà un cambiamento. Sono quasi sicuro, ma tocca a noi favorirlo. Noi non dobbiamo aver paura, dobbiamo parlare della pace, della vita, del rispetto per la natura, per i diritti degli altri, salvare il pluralismo. Una patria è per tutti. Penso ci sia una presa di coscienza da parte di questi giovani che ora protestano contro la corruzione. Nascerà un nuovo Iraq. La libertà religiosa deve arrivare. Salam: la pace verrà. L’ultima parola non sarà per la guerra e per la morte; sarà per la pace e per la vita.
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