Lo storico Giovagnoli: la voce del Papa rompe le solitudini create dall’epidemia
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Le parole pronunciate ieri da Francesco sono risuonate in ogni regione del mondo e, soprattutto, sono rimaste impresse nei cuori di milioni di persone. L’immagine della tempesta da affrontare remando tutti insieme, indicata dal Pontefice nell’omelia accompagnata dalla pioggia, interpella l’umanità ad aprire, autenticamente, le strade della corresponsabilità e della solidarietà. Il Papa si è rivolto non solo ai cattolici e ai credenti, ma ad ogni uomo. E, soprattutto, ha implorato il Padre perché non ci lasci in balia della tempesta. La sua voce ha rotto il silenzio assordante di città deserte. Nelle sue parole, sottolinea lo storico Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea all' Università Cattolica di Milano, può riconoscersi tutta l’umanità.
R. - Io credo che per il mondo la preghiera di Papa Francesco abbia rappresentato, anzitutto, l’ascolto di parole che descrivono una situazione, in questo momento, davvero universale in cui si ritrova tutta l'umanità. Quindi la voce del Papa rompe, in un certo senso, il silenzio delle nostre città, di piazza San Pietro ieri, per esprimere qualche cosa che è condiviso davvero da tanti. Questo è molto raro, forse unico nella situazione attuale; non c'è nessun'altra voce del mondo che riesca ad esprimere questo in questo modo. E Papa Francesco lo ha fatto proprio partendo dalla descrizione profonda delle tenebre, del buio fitto, del silenzio assordante, del vuoto desolante. Sono parole in cui tutta l'umanità può riconoscersi e questo certamente è importante perché avvicina gli uni agli altri, rompe le solitudini create da questa epidemia terribile.
Alla voce del Papa, in una piazza San Pietro vuota, si sono unite spiritualmente milioni di persone che hanno seguito, attraverso i mezzi di comunicazione, i vari momenti di questa storica giornata. È un po' il contrario di quello che Francesco ha più volte denunciato quando ha parlato di globalizzazione dell'indifferenza. Forse questo è un mondo più attento al grido di dolore anche della Terra…
R. - È un mondo che, in seguito a questa terribile esperienza, certamente sta cambiando e forse in meglio. Almeno questo sembra. Papa Francesco ha trovato delle parole molto semplici ma molto dirette per esprimere la novità di questa situazione. Siamo tutti sulla stessa barca. Ha usato questa immagine evangelica per esprimere un concetto che è evidente a tutti. Ed è una barca in cui tutti constatiamo i nostri limiti. Dunque, la strada di una globalizzazione della solidarietà è una strada obbligata. Papa Francesco ha espresso in modo molto credibile questa esigenza.
La giornata di ieri è stata scandita anche da immagini molto potenti ed eloquenti. Una delle icone del momento di preghiera guidato dal Papa è il crocifisso ligneo bagnato dalla pioggia, quasi “lacrime” provenienti dal cielo…
R. – Si, questo crocifisso ha colpito tutti e non a caso. La fede cristiana presenta il segno di un uomo crocifisso e dunque non è una promessa di prosperità. Eppure, nei momenti come questo si capisce la verità di questo segno. È il segno di un Dio che assume tutte le sofferenze dell'uomo. Ed è il Dio della misericordia. E queste lacrime della pioggia hanno reso visibile, in qualche modo, qualcosa che tutti hanno compreso.
Il tempo della pandemia sta cambiando profondamente il mondo. Questo momento può anche rigenerare il patrimonio della fede…
R. – Io credo di sì, proprio perché smentisce le tante idee di salvezza o di sicurezza che, abitualmente, sembrano rendere così solida la nostra vita. Lo ha detto anche esplicitamente ieri il Papa. Svuotando la vita dagli idoli, diventa più evidente ciò a cui la nostra fede si rivolge. Io credo che ci sarà una rigenerazione nella direzione della responsabilità. Papa Francesco ha citato i tanti che in questo momento si occupano degli altri.
La situazione drammatica che il mondo sta vivendo si è sperimentata anche in altri momenti della storia, come in occasione dei periodi scossi dalla peste. Cosa ci insegnano in questo senso la storia e, in particolare, la storia del cristianesimo?
R. – Ci insegna che la fede, è potente, anzitutto anche nelle opere. Di fronte alla peste, tradizionalmente, gli unici che si prendevano cura degli altri anche a rischio della propria vita erano i cristiani, i religiosi. La stessa parola “Lazzaretto” è stata coniata per definire un luogo dove gli appestati venivano raccolti. Nessuno voleva stare con loro, ad eccezione dei frati cappuccini. La storia del cristianesimo è una storia di solidarietà, di servizio agli altri e, soprattutto, ai più poveri e ai malati. E questo non è venuto meno oggi. La scienza non è tutto. C’è bisogno di solidarietà e i cristiani, in questo momento, lo dimostrano andando a raggiungere coloro che sono senza fissa dimora, gli anziani negli istituti… E poi, soprattutto, il cristianesimo ci insegna che non di solo pane vive l’uomo. Cioè che, anche e soprattutto in questi momenti drammatici, le parole non sono inutili ma sono importanti. Non sono superflue, tanto è vero che le parole di Papa Francesco sono molto ascoltate.
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