Il Papa ai giornali di strada: grazie per le vostre storie di speranza
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Non sono semplici fogli di carta ma il segno di una dignità ritrovata, di un riscatto ottenuto grazie ad un lavoro che non rende più invisibili, sono una voce che non ha uguali perché è sussurro oppure grido di una condizione ingiusta. È la storia degli oltre 100 giornali di strada ai quali Papa Francesco si rivolge, in una lettera, definendoli “straordinari”, incoraggiandoli a continuare nel loro lavoro anche di fronte alle difficoltà causate dalla pandemia di coronavirus.
Il conto più pesante
Francesco ricorda che “la vita di milioni di persone, nel nostro mondo già alle prese con tante sfide difficili da affrontare e oppresse dalla pandemia, è cambiata ed è messa a dura prova” ma soggiunge che il timore più grande è per coloro che vivono in strada.
A loro il Papa guarda, a chi soprattutto vende i giornali di strada “che – afferma - sono per la maggior parte homeless, persone gravemente emarginate, disoccupate: migliaia di persone che in tutto il mondo vivono e hanno un lavoro grazie alla vendita di questi giornali straordinari”.
L’esperienza dei giornali di strada
È una realtà, spiega il Pontefice, composta da oltre 100 giornali di strada di tutto il mondo, pubblicati in 35 diversi Paesi e in 25 lingue differenti ma che soprattutto offre reddito a più di 20.500 senzatetto. In Italia, il Papa ricorda “la bella esperienza di Scarp de' tenis, il progetto della Caritas che permette a più di 130 persone in difficoltà di avere un reddito e con esso l'accesso ai diritti di cittadinanza fondamentali”.
Più forti di prima
Il coronavirus ha messo in ginocchio queste realtà e così Francesco esprime la sua vicinanza ma confida nel futuro con un incoraggiamento e in uno spirito di amicizia perché il lavoro che si fa è anche racconto di tante “storie di speranza”.
Testimonianza di povertà
Francesco ha sempre mostrato attenzione verso i giornali di strada. Ha concesso, dall’inizio del suo pontificato, tre interviste. Il 27 ottobre 2015 ha risposto alle domande del giornale olandese Straatnieuws. Un colloquio che si è intrecciato più volte con i ricordi di bambino in Argentina e la vita quotidiana in Vaticano. “Devo continuare a parlare di come sono le cose”: afferma il Papa quando gli viene chiesto della sua insistenza sui temi come gli emarginati e i profughi. Parla di un “dovere” che sente e del desiderio di “un mondo senza poveri” per il quale è necessario lottare sempre anche solo per assicurare le tre “t”: trabajo (lavoro), techo (casa) e tierra (terra).
La Chiesa deve parlare con la verità e anche con la testimonianza: la testimonianza della povertà. Se un credente parla della povertà o dei senzatetto e conduce una vita da faraone: questo non si può fare.
Mettersi nelle scarpe degli altri
Risale al febbraio 2017, prima della visita pastorale a Milano, l’intervista del Papa a Scarp de’ tenis, giornale di strada nato nel capoluogo lombardo nel 1994. Al centro del colloquio c’è l’accoglienza che per Francesco deve andare di pari passo con l’integrazione, c’è la solidarietà tra poveri “perché – spiega – sentono che hanno bisogno l’uno dell’altro” ma c’è anche il modo in cui si fa l’elemosina. “Si può vedere un senzatetto e guardarlo come una persona oppure come fosse un cane”. Il Papa non manca di ricordare quanto sia faticoso mettersi nelle scarpe degli altri, farlo “significa avere grande capacità di comprensione, di capire il momento e le situazioni difficili”.
Spesso per supplire a questa mancanza di grandezza, di ricchezza e di umanità ci si perde nelle parole. Si parla. Si parla. Si consiglia. Ma quando ci sono solo le parole o troppe parole non c’è questa “grandezza” di mettersi nelle scarpe degli altri.
Testa, cuore e mani
Sempre nel 2015, il Papa aveva rilasciato un'intervista anche al giornale delle Villas di Buenos Aires, La Càrcova, distribuito dai volontari agli abitanti degli agglomerati poveri nelle periferie della capitale argentina. Domande collettive, nate spontaneamente e poi formulate a Casa Santa Marta da padre Pepe, parroco della chiesa di San Giovanni Bosco. Si spazia dalla politica in Argentina alla terribile realtà della droga, dalla possibilità di cambiare anche quando tutto è perduto se si affida la propria vita a Dio e si chiede l’aiuto dello Spirito Santo. Francesco (nel video le sue parole)si sofferma pure sul concetto di “appartenenza” ad un focolare, eredità da donare ai figli che vanno presi per mano e accompagnati nella fede, “la cosa più importante” da dare. Ai ragazzi chiede di perseguire tre strade perché da “giovani-museo” che sanno molto ma restano nel virtuale si trasformino in “giovani che sentono”.
Mi piace parlare dei tre linguaggi: il linguaggio della testa, il linguaggio del cuore e il linguaggio delle mani. Ci deve essere armonia tra i tre. In modo tale che tu pensi quello che senti e quello che fai, senti quello che pensi e quello che fai, e fai quello che senti e quello che pensi. Questo è il concreto. Restare solamente nel piano virtuale è come vivere in una testa senza corpo.
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