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Papa Francesco a Lesbo il 16 aprile 2016 Papa Francesco a Lesbo il 16 aprile 2016

Quattro anni fa il Papa tra i migranti di Lesbo: un abbraccio che continua

Il 16 aprile 2016 Francesco visitò i migranti dell’isola greca di Lesbo, nel Mar Egeo. Le emozioni di quella giornata nelle interviste all’arcivescovo Nikólaos Printezis e a don Ryszard Taraszkiewicz

Giada Aquilino – Città del Vaticano

“Non voglio dimenticare l’isola di Lesbo”. Così nella Pasqua 2020 Papa Francesco ha voluto ricordare i tanti “patimenti” di migranti e rifugiati, “molti dei quali” bambini, riparati sull’isola greca. Tra quei profughi, a un passo di mare dalla Turchia, il Pontefice si recò esattamente quattro anni fa, il 16 aprile 2016. Con lui, al Moria refugee camp, il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, Ieronymos.

Moria oggi

Un rapporto mai interrotto quello del Papa con l’isola del Mar Egeo, che oggi solo a Moria, tra l’hot spot e il campo informale sorto appena fuori, ospita almeno 19 mila persone, perlopiù afghani, ma anche iracheni, iraniani, siriani, yemeniti, nordafricani. Superate le capacità di accoglienza e in piena emergenza da Coronavirus, un migliaio di profughi in queste ore viene trasferito provvisoriamente dalle autorità greche negli alberghi locali. A Lesbo sono stati accertati otto casi di Covid-19 fra la popolazione, uno sull'isola di Samos.

L’arcivescovo Printezis

“Non perdete la speranza”, fu il messaggio che Francesco volle lasciare ai migranti di Lesbo, prima di tornare in Italia portando con sé, a sorpresa, 3 famiglie di richiedenti asilo siriani. Fu una visita “fortemente voluta non soltanto dai migranti ma anche dal popolo di Lesbo”, racconta a Vatican News l’arcivescovo Nikólaos Printezis, amministratore apostolico della diocesi di Chios, Lesbos e Samos, che seguì tutti i preparativi e la giornata di Francesco sull’isola. “Avevamo preparato con emozione la visita, anche con altre persone venute dal Patriarcato di Costantinopoli, da Atene e da Roma: tutta la gente - ricorda - era contentissima, sia i cattolici sia gli ortodossi, ma soprattutto i profughi e i rifugiati”. Già quattro anni fa i campi erano in emergenza. Oggi le condizioni sono “purtroppo peggiorate: lo Stato fa tutto il possibile, anche per trasferire qualcuno altrove, perché è un’isola che ospita molte migliaia di profughi e soffre per questo, il campo - testimonia il metropolita Printezis - potrebbe ospitare 800 persone ma ce ne sono oltre 15 mila. Si tratta di gente che di fatto vive senza una vera casa, senza servizi igienici e poi iniziano ad esserci problemi tra persone che non vengono dallo stesso Paese, che vorrebbero tornare a casa o andare in un altro Stato dell'Europa in cerca di una vita migliore”.

L'intervista a mons. Printezis

Le storie dei migranti

Il Papa andò a Moria per “ascoltare”, disse ai migranti, le loro storie e per esortare la comunità internazionale a dare una risposta adeguata - in modo “degno”, sottolineò - a quella crisi. Ma quattro anni dopo i racconti sono ancora di “problemi da affrontare, di gente che ha lasciato famiglia, affetti, proprietà”, dice monsignor Printezis. 

Accanto a queste persone, assicura, continua ad esserci la Chiesa greca, attraverso Caritas Hellas, “una piccola Caritas aiutata da altre Caritas europee, anche in questo momento di difficoltà”, e grazie al contributo offerto da Papa Francesco: “non c’è da aiutare soltanto la gente di Lesbo, che è tantissima, ma - aggiunge - grandi numeri di migranti nella nostra diocesi ci sono anche a Samos, tenendo presente inoltre che la Grecia ha attraversato una profonda crisi economica”.

L’abbraccio coi bambini

A rimanere indelebili sono le immagini del Pontefice tra i migranti, “quando abbracciava soprattutto i bambini che non sapevano perché si trovassero lì, in un’isola sconosciuta: il Papa li abbracciava come fossero suoi figli”, come fossero “due braccia aperte al mondo”, afferma l’amministratore apostolico. Il Papa ha rassicurato “tutte queste persone che è sempre lì, prega per loro, non dimentica e continua - evidenzia - a inviare persone sul posto quasi a dire: sono venuto, ma poi sono partito solo fisicamente, la mia anima è con voi, non siete soli”.

Il cardinale Krajewski a Moria nel maggio 2019

Le missioni del cardinale Krajewski

È successo a maggio e poi di nuovo a dicembre dello scorso anno, quando Francesco ha inviato a Lesbo il cardinale Konrad Krajewski, l’Elemosiniere apostolico, che ha portato la solidarietà del Papa ai migranti, accompagnato dal cardinale Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e presidente della Commissione episcopale europea (Comece), da mons. Sevastianos Rossolatos, arcivescovo di Atene, e dagli operatori della Comunità di Sant’Egidio che da anni operano sull’isola, in un viaggio organizzato dalla Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale. Su espresso desiderio del Pontefice e grazie a un corridoio umanitario entro i confini europei, con il porporato è poi arrivato in Italia un gruppo di richiedenti asilo politico. Lo stesso è successo anche in Lussemburgo.

La missione di Krajewski a dicembre 2019

La testimonianza di don Taraszkiewicz

“Il Papa anche ora continua a dare speranza ai migranti di Lesbo per andare avanti comunque vadano le cose”, conferma padre Ryszard Taraszkiewicz, vicario generale della diocesi di Chios e parroco alla Madonna dell’Assunta di Samos. Della visita del Pontefice del 2016 il sacerdote polacco ricorda la “grande emozione” sui “volti dei migranti”, commossi da quell’uomo che portò il loro “grido” al di là del mare, in tutto il mondo: “anche senza Coronavirus, la situazione oggi è una tragedia, c’è da vergognarsi perché è una condizione di vita che non è dignitosa per nessuno”. E, conclude don Ryszard, non è poi così difficile da “immaginare” per chi vive nel resto d’Europa.

L'intervista a don Taraszkiewicz

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Il campo di Moria e i profughi di Lesbo
16 aprile 2020, 13:54