Il Papa sul Golgota con il mondo delle carceri e gli “eroi” degli ospedali
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Sul Golgota accanto a Gesù, in questo Venerdì Santo che resterà nella storia, Papa Francesco ha voluto con sé, oltre ai membri della Casa Pontificia e ai liturgisti guidati da monsignor Marini, un ex detenuto, un cappellano di un carcere, i rappresentanti del volontariato e di chi gestisce e mantiene l’ordine nelle case di reclusione, e i nuovi eroi della lotta al coronavirus, i medici e gli infermieri in prima linea nell’assistenza ai malati.
Via Crucis dal colonnato al sagrato, passando per l'obelisco
Dopo la Liturgia della Passione e dell’adorazione della Croce, dalle 18 in una Basilica di San Pietro semivuota, dove non è previsto il bacio del Crocifisso di San Marcello, alle 21 in Piazza San Pietro, dal colonnato fino al sagrato della Basilica, passando per l’obelisco, il Papa presiederà la via Crucis con le meditazioni scritte da detenuti, agenti, magistrati e familiari di vittime legati al Carcere "Due Palazzi" di Padova.
Grazie per aver condiviso la vostra storia
“Grazie per aver condiviso con me un pezzo della vostra storia”. Così questa mattina, Francesco li ha ringraziati, in un messaggio audio alla parrocchia del carcere guidata da don Marco Pozza, cappellano, teologo e scrittore. Con la volontaria e giornalista del settimanale diocesano “la difesa del Popolo, Tatiana Mario, don Marco ha raccolto le 14 testimonianze che non hanno un nome e che parleranno così per tutti coloro che, spiega Francesco, “si appassionano per il mondo del carcere”.
I portatori della croce, legati a carceri e ospedali
Nelle stazioni di questa Via Crucis “orfana” del Colosseo e della sua folla di fedeli con le fiaccole in mano, a portare la croce saranno prima Michele, un ex detenuto del “Due Palazzi” oggi “uomo nuovo” e piccolo imprenditore, il direttore della casa circondariale padovana Claudio Mazzeo, il vicecommissario della Polizia Penitenziaria Maria Grazia Grassi, un agente della stessa polizia, Tatiana e don Marco. Dopo di loro, alcuni medici e infermieri del Fondo assistenza sanitaria del Vaticano, che in Italia sono in prima linea nel servizio agli ammalati colpiti dal virus.
Tatiana, volontaria e giornalista: dato voce a chi soffre
Tatiana Mario, don Marco Pozza e gli altri “portatori” legati al mondo delle carceri sono stati ricevuti questa mattina a Casa Santa Marta dal Pontefice. Ecco come la volontaria del “Due Palazzi” racconta l’incontro a Vatican News.
R. – Questa mattina Papa Francesco, che abbiamo avuto il privilegio di incontrare, ha espresso ancora una volta la sua vicinanza al mondo del carcere in generale. Anche nella scelta di chiederci che queste storie, queste 14 meditazioni rimangano anonime, perché la voce di uno questa sera sia la voce di tutti nel mondo: di chi soffre, di chi è solo, abbandonato, di chi vive dentro una cella da anni o decenni, ma anche di chi è vittima di reato, di chi opera tutti i giorni come gli agenti di polizia penitenziaria, i magistrati, i volontari, all'interno delle carceri, scommettendo nella redenzione di ogni uomo. Papa Francesco oggi ha ascoltato molto. Ognuno ha portato la propria testimonianza. Con me c’erano il direttore della casa di reclusione "Due Palazzi", il vicecommissario in rappresentanza degli agenti polizia penitenziaria e poi c'era anche Michele, un ex detenuto che ha ricavato la sua redenzione proprio dal percorso all'interno del carcere e che oggi è un uomo nuovo. E’ un piccolo imprenditore con una propria cooperativa, e che è la testimonianza più bella che ce la si può fare, tutti insieme. E poi Francesco è stato molto colpito da questo e ha lasciato che le storie di queste persone che mi accompagnano entrassero dentro al suo cuore e ci ha ringraziato per averlo coinvolto, anche con i nostri racconti di questa mattina, in ciò che abbiamo fatto e in ciò che rappresentiamo. Si è sentito veramente parte di questo piccolo mondo dimenticato.
Cosa le resterà di questa esperienza? E sta già cambiando qualcosa anche nei detenuti coinvolti?
R. – Per me è stata veramente un'esperienza umana profonda, che ha richiesto tempo, meditazione, e anche una profonda revisione interiore, perché si metteva in gioco la mia persona come donna, come giornalista, come professionista e come volontaria e non posso negare che non sia stata toccata e alle volte anche travolta dalle loro storie. Non era facile confrontarsi con la violenza, la rabbia, la solitudine, il pregiudizio e la disperazione. Le persone detenute della casa di reclusione di Padova si sentono profondamente coinvolte e accompagnate, per cui non si sentono sole, grazie anche a questo gesto che Papa Francesco ha voluto fare.
Che realtà è quella di voi volontari nelle carceri? Vi sentite un po' come dei cirenei, che portano la croce degli altri?
R. – E’ un’esperienza che deve partire innanzitutto da un ascolto profondo. Entri con umiltà, devi lasciar da parte i pregiudizi e allenarti costantemente, tutte le volte che indossi il pass e inizi a varcare i cancelli, le porte blindate. Devi allenarti davvero a cancellare la colpa, il pregiudizio e a vedere solo gli occhi dell'uomo, e ad ascoltarlo.
Delle testimonianze che ha raccolto, quale l’ha colpita di più?
R. – Tutte sono state importanti, ma forse la figura della madre che non ha abbandonato il figlio, una volta entrato in carcere, e che continua ad accompagnarlo. Questa è stata la storia più importante.
Dal calvario del coronavirus alla Via Crucis
In rappresentanza dei medici e infermieri che in tutto il mondo stanno vivendo accanto ai malati una quotidiana Via Crucis, oggi porteranno la croce di piazza San Pietro l’endocrinologa Esmeralda Capristo, medico internista del Policlinico Gemelli e ricercatrice Medicina interna dell'Università Cattolica, e Paolo Maurizio Soave, anestesista rianimatore del Policlinico Gemelli e docente a contratto dell'Università Cattolica, sede di Roma, nonché responsabile del Centro antiveleni. Ma soprattutto entrambi sono sul fronte della pandemia e curano pazienti Covid-19, ricoverati al Gemelli e al Columbus Covid 2 Hospital. Ecco le impressioni della dottoressa Capristo.
R. - Questa sera portare la croce durante la Via Crucis del Santo Padre sarà un grandissimo onore e una grandissima emozione, perché rappresenteremo tutti i medici e gli operatori sanitari impegnati in prima linea nella lotta contro questo virus. Sarà una situazione particolare, senza fedeli sul sagrato della Basilica, e poi è un modo per testimoniare il lavoro e la passione che mettiamo tutti i giorni nell’accudire questi pazienti e un’ esperienza umana e professionale enorme anche per noi operatori sanitari.
Stasera portare la croce, per condividere i dolori degli altri e saper portare anche i propri, la farà sentire un po' Simone di Cirene?
R. - Un po’ sì, con tutta l’umiltà possibile cercheremo di testimoniare la nostra presenza e la vicinanza a tutti i pazienti.
Lei lavora in questi giorni, al Policlinico Gemelli, in un reparto per pazienti Covid. Qual è la situazione, in questo momento?
R. - Il Policlinico Gemelli ha trasformato alcuni reparti in reparti Covid. Noi accogliamo pazienti positivi e con sospetta patologia. Attualmente. grazie anche alle restrizioni che la gente sta seguendo, l’affluenza dei pazienti positivi sembra diminuire. Ovviamente non bisogna abbassare l’attenzione.
Il Papa ha definito voi medici, assieme agli infermieri, ai sacerdoti e religiosi e religiose in prima linea che rischiano la vita per assistere i malati i veri eroi di oggi. Si sente un eroe?
R. - Assolutamente no. Io e credo tutti i miei colleghi continuiamo a fare il nostro lavoro con la passione e la dedizione di sempre. E’ un'occasione per mettersi a disposizione degli altri e credo che anche molti di noi, dal punto di vista umano, stanno imparando e provando delle emozioni davvero irripetibili, cercando di stare vicini anche, non dimentichiamo, ai parenti dei pazienti che non possono vederli in questa condizione di sofferenza.
Una storia di questi giorni, un incontro con un malato che porterà nel cuore…
R. - Ogni giorno ci sono esperienze veramente emozionati. Una che ricordo in particolare è di aver fatto comunicare tramite un telefonino del reparto un paziente anziano con la sua famiglia. Lui non aveva il telefono dentro una stanza e i parenti non riuscivano a sapere notizie e a vederlo direttamente. Siamo riusciti a farli comunicare: era un nonno che ha parlato con i suoi nipoti ed è stata una gioia immensa, devo dire, anche per tutti i nomi dell'equipe medica e infermieristica.
Anche il dottor Soave confida la commozione che ha in cuore mentre, dopo il turno di lavoro in rianimazione, lascia il Policlinico per raggiungere Piazza San Pietro e prendere parte alla Via Crucis. "Vado con lo spirito di chi prega, di chi vede la sofferenza di queste persone e questa sera le vuole portare davanti a Dio i loro occhi, le loro sofferenze, i loro sguardi persi e vorrebbe in questo modo, se possibile, far capire a tutti che non si è mai soli in soprattutto in queste circostanze, che si è sempre in compagnia di Gesù". Essere con il Papa, dice, è "un modo di stare vicino a Dio e portare a Lui tutto ciò che i miei colleghi hanno visto, hanno sofferto e condiviso".
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