Il Papa: solidarietà per il Sahel provato dalla siccità
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Europa e Africa, i due continenti nel pensiero del Papa nei saluti dopo il Regina Coeli. Settant’anni fa, ricorda Francesco, era il 9 maggio del 1950, la Dichiarazione Schuman ispirava “il processo di integrazione europea” permettendo così che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, i popoli del continente si riconciliassero, dando il via al “lungo periodo di stabilità e di pace di cui beneficiamo oggi”, è quindi fondamentale che quel messaggio suggerisca anche l’attuale classe politica europea:
Lo spirito della Dichiarazione Schuman non manchi di ispirare quanti hanno responsabilità nell’Unione Europea, chiamati ad affrontare in spirito di concordia e di collaborazione le conseguenze sociali ed economiche provocate dalla pandemia
Nelle parole di Francesco c’è anche l’Africa, perché il 10 maggio di 40 anni fa, nel 1980, il continente accoglieva la prima visita pastorale di San Giovanni Paolo II, che, in quell’occasione, “diede voce al grido delle popolazioni del Sahel, duramente provate dalla siccità”. E Francesco nel suo saluto si congratula con un gruppo di giovani impegnati anche oggi per questo scopo attraverso l’iniziativa ‘Laudato Si’ Alberi’:
L’obiettivo è piantare nella regione del Sahel almeno un milione di alberi che andranno a far parte della “Grande Muraglia Verde d’Africa”. Auspico che in tanti possano seguire l’esempio di solidarietà di questi giovani.
Il progetto ‘Grande Muraglia Verde’ nasce nel 2005 per fermare soprattutto la desertificazione del Sahara e del Sahel. Negli anni l’idea ha visto fasi diverse e oggi sono 22 i Paesi coinvolti, oltre alle organizzazioni internazionali e, soprattutto, alle comunità locali. L’obiettivo è frenare il degrado e combattere la povertà e la speranza è che, nel 2030, possa dare i suoi frutti: 100 milioni di ettari di terra rigenerata. La GMV è formata da tanti progetti di sviluppo sostenibile, frutto di un partenariato africano, sostenuto dalla solidarietà internazionale. Non mancano però le criticità legate soprattutto, ma non solo, alle risorse non sufficienti, così come ai conflitti che toccano molti dei Paesi coinvolti. Di tutto questo, e soprattutto dell’appello di oggi del Papa, Vatican News parla con padre Filippo Ivardi Ganapini, missionario comboniano per dieci anni in Ciad, oggi direttore della Rivista “Nigrizia, il mensile dell’Africa e del mondo nero”:
R. – Francesco è in linea con quello che è il suo sogno ecologico, quello dell' ecologia integrale che ha ribadito con forza nel bellissimo documento, l’Esortazione Apostolica Querida Amazonia, che riprende questo passo di Francesco fondamentale per la missione della Chiesa nell’oggi. Questa Grande Muraglia Verde è un esempio di un tentativo di contrastare quegli effetti dell'intervento dell'uomo sulla natura che attraverso la desertificazione, il degrado delle terre, nel Sahel porta notevoli danni alla popolazione locale . Da una prima fascia diciamo di piantificazione di alberi, il progetto è cresciuto molto e oggi si parla di orti comunitari, di aree di pascolo, di alberi da frutto da reddito, di attività di apicoltura. Si vogliono inoltre valorizzare alcune tecnologie specifiche per esempio come quella del Vallerani System, che è uno strumento meccanico, composto da aratro e da trattore, che permette la lavorazione dei terreni aridi e semiaridi per riabilitare i suoli degradati. Mi piacerebbe sottolineare un altro bell’intervento, una tecnica uti8lizzata da contadini e da pastori, come in Burkina Faso è quello proprio del sistema degli Zaï, piccoli buchi nel terreno arricchiti di letame in cui viene raccolta l'acqua rendendo più fertile il terreno. Ecco che allora le sapienze locali e tradizionali vengono, in qualche modo, valorizzate laddove queste determinano degli esempi importanti anche da estendere
Questo progetto della GMV riguarda 22 Paesi, coinvolge anche organizzazioni internazionali, ma il punto fondamentale è che sono coinvolte soprattutto le popolazioni locali …
R. – Esattamente, questo è stato un punto fondamentale nel poter avviare questo tipo di progetto. Ci si è resi conto che si dovevano mettere al centro le popolazioni locali nella gestione di queste risorse naturali, anche perché il tracciato comunque di questa Grande Muraglia Verde avrebbe attraversato delle aree abitate, delle aree agricole, pastorali, il valore aggiunto è che le comunità locali potevano sentire dei benefici di questo intervento proprio a livello di comunità, ma anche a livello economico per il tentativo di creare anche dei posti di lavoro, il progetto prevede la creazione di 10 milioni di posti di lavoro in aree rurali.
Come si è affrontato il fatto che alcuni territori interessati sono anche terre di conflitto?
R. – Questo è uno dei grandi problemi ricordiamo che il Sahel in lingua araba vuol dire ‘la riva’ che sta al di sotto del grande Deserto del Sahara, e questa zona è proprio conosciuta oggi come una terra martoriata per gli interventi di terroristi a legati a Boko Haram, legati ad Al Qaida, nel Maghreb islamico, sono tantissimi gruppi e gruppuscoli che stanno infestando quest'area provocando terrore e morte nel nord della Nigeria, nel nord del Camerun e del Niger, quindi davvero questo è un grande problema per portare avanti questo immenso progetto fino al 2030, anche perché nel 2030 si verificheranno i risultati. Oggi poi dobbiamo considerare anche il problema legato al Covid-19 e anche nell'area abbiamo comunque problemi legati al diritto di accesso alla terra e al fatto che la società civile è stata piuttosto tagliata fuori da questo intervento.
Lei ha citato il traguardo del 2030, ma c’è già chi lo ha spostato al 2050 perché si teme che i risultati non saranno raggiunti per quel termine. E’ stato verificato che, da quando è iniziato il progetto, 10 anni fa più o meno, si è raggiunto un 15% dell'obiettivo. Quindi, alla fine di tutto, quanto è efficace, quanto è importante questo progetto per la popolazione? Quali sono le forti criticità che potrebbero metterlo a rischio ?
R. – I risultati sono oggi, per dirla sinceramente, molto insoddisfacenti. Ci sono alcuni Paesi che hanno fatto sicuramente dei passi in avanti molto importanti, a partire dal Senegal che è stato la locomotiva di questi Paesi, e che si pensa che abbia raggiunto il 50% di questi obiettivi. Ce ne sono altri che sono andati a traino, come il Niger, il Chad, il Burkina Faso la Nigeria, il Mali e l’Etiopia, che hanno fatto dei passi maggiori, ma poi ce ne sono altri rimasti molto indietro. Le popolazioni locali non sentono più di tanto i benefici anche perché ci sono stati molti problemi legati alla gestione degli interventi, al coordinamento non facile, ai conflitti di cui abbiamo parlato, ma anche ai conflitti istituzionali, proprio perché sono tanti gli attori in campo, dalle organizzazioni internazionali, alle organizzazioni africane regionali, dagli stessi Paesi, ai finanziatori come Turchia e Russia, ma anche finanziatori privati. Anche tutta la gestione dei fondi è un capitolo molto molto critico in questo senso. Venendo proprio della terra del Ciad, dove ho vissuto negli ultimi 10 anni, so che i risultati si sentono ancora poco. Io vivevo proprio nell'area del Sahel e risultati sono ancora molto molto al di sotto delle attese. In più ci si mettono questi aspetti molto critici dell'instabilità della zona, conosciuta, tra l’altro, per la grandissima sfida dell’insicurezza alimentare, per il problema del diritto alla terra. Un altro problema culturale di cui si deve tenere conto in tutto il Sahel è quello legato agli scontri Intercomunitari tra le varie etnie, così come agli scontri tra allevatori e agricoltori. Quindi, parlando di terra, ecco, questi scontri atavici certo non favoriscono lo sviluppo armonico e il coinvolgimento delle comunità locali.
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