Francesco: nei profughi e negli sfollati troviamo il volto di Gesù
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Nei profughi e negli sfollati è presente Gesù, costretto, come ai tempi di Erode, a fuggire per salvarsi. È quanto scrive il Papa in un tweet, dedicato all’odierna Giornata mondiale del rifugiato. Nei loro volti, prosegue Francesco, siamo chiamati a riconoscere il volto di Cristo che ci interpella e allora, conclude, saremo noi a ringraziarlo per averlo potuto amare e servire.
Nel mondo, è la drammatica denuncia dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, oggi ci sono circa 80 milioni di persone in fuga dalle loro case e dai loro Paesi - l’1% della popolazione mondiale - molti di questi sono sfollati interni a cui Papa Francesco ha dedicato il messaggio per la 106ma Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che la Chiesa celebra il prossimo 27 settembre. Chiara Cardoletti è la nuova rappresentante Unhcr per l’Italia, San Marino e designata per la Santa Sede:
R. – Papa Francesco vede sempre le cose in maniera molto chiara. La pace del mondo ci sta completamente sfuggendo. Ciò che più è visibile è la fuga delle persone dai loro Paesi a causa di violenze e di guerre, persone che e poi in cammino dalle loro terre e dalle loro case verso parti migliori. Vediamo questa parte, ma non vediamo il fatto che c’è una responsabilità internazionale nella gestione di questi conflitti e nel portarli alla fine e certamente anche nella gestione delle conseguenze di questi conflitti. Purtroppo, molto spesso, si ritiene che i rifugiati vengano dal nulla, non vengono dal nulla sono una conseguenza diretta di un mondo che è sempre più in subbuglio e che sta facendo sempre più fatica a ritrovare la normalità.
Il paradosso, se vogliamo, è che, negli anni passati, ad un numero inferiore di rifugiati corrispondeva un numero superiore di rientri a casa - nel proprio Paese - oggi si è capovolta la situazione…
R. – Totalmente, è dal 2011 che non vediamo più dei veri programmi di rimpatri e conflitti risolti, quindi ci troviamo in una situazione in cui molte persone si ritrovano a dover lasciare le loro case e molte poche riescono poi rientrarci e quindi, la conseguenza, è un mondo in cui il rifugiato, lo sfollato, è un vero problema e il capire come trovare soluzioni, dare loro una speranza e un modo nuovo per ricominciare una vita, rimane sempre la vera sfida per tutti.
Come è stato più volte detto e ribadito anche in occasione dell’odierna giornata e del vostro rapporto, spesso i Paesi di accoglienza sono Paesi limitrofi a quelli di uscita, anche loro con gravi crisi al loro interno che possano essere politiche, alimentari o ambientali …
R. – Assolutamente, l’80% dei Paesi recettore sono i Paesi in via di sviluppo, Paesi in crisi. Un esempio è ciò che sta accadendo nella regione del Sahel in questo momento, dove tre o quattro Paesi sono Paesi di asilo, ma che stanno gestendo anche gravi situazioni di sfollamento interno. Molti altri Paesi hanno aperto le loro porte, le mantengono aperte e hanno integrato, in maniera anche molto creativa, tantissime persone bisognose, tantissimi rifugiati. Certo, questo si vede poco sui media, è chiaramente molto più visibile quando questo fenomeno arriva alle porte di casa nostra, nei Paesi ricchi, però la realtà è che non solo la povertà, il cambiamento climatico, i problemi legati ai disastri naturali, stanno avendo un impatto molto forte nei Paesi in via di sviluppo, in più c'è anche il fatto che devono assorbire in maniera sempre più grande popolazioni di rifugiati, di sfollati che, chiaramente, portano una ennesima sfida alle popolazioni locali e alla gestione del Paese stesso. Noi chiediamo di capire che i rifugiati non sono responsabili, le Nazioni Unite possono fare solo quello che insieme la comunità internazionale intende fare quindi, se si vuole che questo problema venga gestito nel miglior modo, e che i rifugiati possano effettivamente avere una speranza e un futuro e non continuare a muoversi da un Paese all’altro per cercare questa speranza, bisogna tutti quanti contribuire a una cooperazione internazionale che sia seria ben gestita e con una visione ben chiara.
In questa Giornata mondiale del rifugiato, ricorrenza drammatica che viene celebrata ogni anno, quale è la speranza più forte dell'Unhcr, e quale la più grande preoccupazione? Ogni conflitto porta con sé una sua drammaticità però, probabilmente, starete guardando ad alcune aree con maggiore attenzione …
R. – La speranza è che davvero si ponga fine a questi conflitti e che la comunità internazionale, seriamente, faccia un po' di ordine in quello che è questo mondo così impattato da tutte queste criticità. Quindi, la speranza è che veramente si faccia uno sforzo per risolverli, perché continuano a crescere e non vengono mai affrontati. Chiaramente la speranza è anche che i rifugiati vengano visti sempre più come una risorsa, come un qualcosa che aggiunge, che crea, che unisce e che può portare cose nuove e positive alle comunità ospitanti. Questa è ciò su cui stiamo lavorando molto e vediamo che anche durante la pandemia Covid-19, i rifugiati hanno portato in tutto il mondo il loro supporto alle comunità locali, lavorando come interpreti, come dottori, facendo campagne di informazione. Insomma, vogliamo veramente cercare di far passare il messaggio che i rifugiati, gli sfollati, sono persone come le altre, con tutta una serie di cose positive che possono portare alle società. Per quanto riguarda invece la nostra attenzione sulle varie situazioni, in questo momento una di quelle che ci preoccupa di più è quella del Sahel molto drammatica, multifattoriale, con tantissime problematiche che si uniscono e che ha visto negli ultimi tre mesi aumentare i numeri di sfollati interni in maniera veramente drammatica . È una situazione che stiamo guardando molto attentamente, anche perché questi Paesi già avevano delle problematiche molto serie ancor prima che i conflitti iniziassero e ora sappiamo che più di 5 milioni di persone, nei prossimi mesi, avranno bisogno di aiuti e di supporti a livello alimentare. Quindi, è una situazione che ci preoccupa e che stiamo gestendo come Nazioni Unite nel miglior modo possibile, ma che veramente richiede una soluzione a livello di conflitto ma anche un aiuto molto sostenuto a livello umanitario.
Quella libica è anch’essa una situazione sotto il riflettore delle Nazioni Unite, è soltanto di pochi giorni fa la drammatica notizia di altri bimbi, piccolissimi, morti nell’ennesimo naufragio al largo delle coste libiche …
La situazione in Libia è molto preoccupante, e noi la osserviamo molto attentamente. Il conflitto è estremamente complicato e il destino di quelli che vengono riportati in Libia è di essere nuovamente esposti ad abusi, sfruttamento, torture e violenze, quindi chiaramente il ritorno in Libia è una cosa che l’Unhcr non supporta, non appoggia, è una cosa a cui dobbiamo fare estrema attenzione. Come Organizzazione abbiamo parlato di questo tante volte, bisogna veramente avere dei meccanismi efficaci per il soccorso in mare, per la recezione delle persone a livello europeo e davvero portare l’ Italia in Europa e l'Europa in Italia, cercare di trovare meccanismi che siano più condivisi e più equi per quanto riguarda la distribuzione di persone in cerca di protezione e che arrivano in Europa. Chiaramente è anche profondamente una questione di coscienza pensare di riportare persone molto vulnerabili, bambini e donne, in Libia, in una situazione di conflitto e dove gli abusi, il terrore, lo sfruttamento e la tortura sono cosa di ogni giorno.
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