TerraFutura: il Papa dialoga sull’ecologia integrale con Petrini di "Slow food"
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Un Papa, come Francesco, che da cardinale non capiva “la forza con cui i vescovi brasiliani parlavano dei grandi problemi dell’Amazzonia” nella conferenza di Aparecida, né che cosa c’entrasse col suo ruolo di vescovo “la salute del polmone verde del mondo”. E un agnostico, ex comunista e gastronomo, come Carlo Petrini, fondatore di “Slow food”. Uniti entrambi dalle comuni radici piemontesi. Dal loro incontro nasce “TerraFutura. Dialoghi con Papa Francesco sull’ecologia integrale”, libro in uscita il 9 settembre che Petrini, anche promotore della rete internazionale ecologista “Terra Madre”, pubblica con Giunti-Slow Food Editore.
Il Papa oggi 83.enne, padre e nonno materno astigiani, e il 71.enne gastronomo e scrittore della cuneese Bra, amico del vescovo di Rieti Domenico Pompili - col quale ha creato le Comunità Laudato si’ per “dare gambe” a quanto proposto da Francesco nella sua Enciclica - si sono incontrati la prima volta proprio insieme a monsignor Pompili.
Petrini colpito dal primo viaggio a Lampedusa
Il vescovo, che firma la prefazione, ricorda che Francesco e "Carlin" (così Petrini è più conosciuto), “sono interessati alla Terra e al suo futuro” e che dal loro confronto emergono le vie “per una ecologia che cessi di essere una bandiera e diventi una scelta”. Il punto di partenza è il pensiero di Papa Francesco, che colpisce l’agnostico Petrini fin dalla scelta di compiere il primo viaggio da Pontefice a Lampedusa, “in segno di solidarietà con i migranti”.
Genesi della Laudato si’
Nel primo dialogo, il 30 maggio 2018, a tre anni dalla pubblicazione dell’Enciclica, che l’ospite Carlo definisce di “potenza straordinaria”, che “ha cambiato lo scenario del discorso ecologico e sociale”, Francesco parla della genesi della Laudato si’. Ricorda che è frutto del lavoro di tante persone, scienziati, teologi e filosofi, che “mi hanno aiutato molto a fare chiarezza”, e che con il loro materiale ha lavorato “alla composizione finale del testo”.
L'attesa della ministra Ségolené
E spiega di aver capito per la prima volta “la centralità” del documento e “la sua importanza per i temi che toccava”, a fine novembre del 2014, incontrando all’arrivo a Strasburgo, per la sua visita al Parlamento europeo, l’allora ministra dell’ambiente francese Ségòlene Royal. Che, racconta il Papa, manifestava “molto interesse” per il testo, di cui si conosceva solo il riferimento “ai temi della casa comune e della giustizia sociale”. “E’ importantissimo”, disse la ministra al Pontefice, predicendo che sarebbe stato “di grande impatto, lo aspettiamo in molti”.
Si aspettava una voce forte, ora penso sia accettata
Fino ad allora, confessa Papa Francesco a Petrini, “non sapevo che avrebbe fatto tanto scalpore”.
Lì mi sono reso conto che l’attesa cresceva e che ci si aspettava una voce forte in questa direzione. Poi è andata bene: dopo la sua uscita, ho visto che la maggioranza della gente, di quelli che hanno a cuore il bene dell’umanità, l’ha letta e apprezzata, la utilizza, la commenta, la cita. Penso sia stata quasi universalmente accettata.
La “conversione ecologica” di Jorge Mario Bergoglio
A Carlo che gli chiede conferma del fatto che la sua attenzione ai temi dell’ambiente “è maturata nel tempo”, Francesco confida che “è stato un percorso lungo”, iniziato nel 2007 ad Aparecida, in Brasile, dove da cardinale arcivescovo di Buenos Aires era presidente della Commissione di redazione del documento finale della V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi. Ricorda bene “di aver provato fastidio” per l’atteggiamento dei vescovi brasiliani che in ogni occasione “parlavano dei grandi problemi dell’Amazzonia”, delle loro “implicazioni ambientali e sociali”, e “non capiva questa urgenza e insistenza”. Eppure arrivavano sollecitazioni continue, anche da colombiani ed ecuadoriani, per inserire questi temi nel documento finale. Da allora, commenta il Pontefice, “molto tempo è passato, e io ho cambiato completamente la percezione del problema ambientale”.
Un’Enciclica per tutti
Se Petrin fa notare che trova ancora difficoltà nel costruire ponti di dialogo tra il mondo “credente” e quello “laico”, Francesco sottolinea che “la Laudato si’ è un punto comune di ambedue le parti, perché è stata scritta per tutti”. Il dialogo, ribatte il gastronomo-scrittore, “non è un’opzione morale”, ma “un metodo vero e proprio”. E il Papa aggiunge che “è un metodo prima di tutto umano”. Non si tratta, ribadisce, “di appiattire le differenze e i conflitti, ma al contrario di esaltarle e nello stesso tempo superarle per un bene superiore”.
Cambiare noi per primi
Nella lettura dell’Enciclica, il fondatore di “Slow food” è rimasto affascinato dal valore dato alle “buone pratiche individuali” nel “generare cambiamenti virtuosi”. Il cambiamento parte da noi, conferma Francesco, ricordando che “il vizio del parroco è spegnere la luce, sempre”, perché deve “custodire le offerte per poterle poi utilizzare in beneficenza”. E invece, fa notare, la terza voce di spesa delle famiglie del mondo, dopo cibo e vestiario, è la cura del corpo, della bellezza e la chirurgia estetica, e la quarta gli animali domestici. “Non compare l’educazione”, lamenta, e così “è difficile parlare di un nuovo approccio ecologico e di una nuova armonia con l’ambiente”.
No all’egoismo di chiedere troppo alla Terra
Per stimolare gli uomini ad agire in prima persona per il cambiamento, il Pontefice cerca le parole giuste:
Va combattuto l’egoismo, il pensiero per cui io sfrutto la Madre Terra perché la Madre Terra è grande e deve darmi quello che io voglio, punto. È un pensiero del tutto malato, non potrà che portarci al collasso.
Non è un’Enciclica ambientalista, ma sociale
E’ qui che Papa Francesco torna sul concetto di ecologia integrale, per spiegare che “la Laudato si’ non è un’enciclica verde, non è un testo ambientalista. È piuttosto un’enciclica sociale”. Perché noi uomini, “siamo i primi a far parte dell’ecologia”, uomo e ambiente non sono separabili.
Biodiversità è pregare Dio con la propria cultura
L’ospite gli ricorda anche il grande valore che l’Enciclica dà alla biodiversità, e il Papa chiarisce che “è il patrimonio che ci consente di vivere su questo pianeta”, una ricchezza inestimabile, “ma noi con il nostro modello produttivo ed economico, la distruggiamo come se non ci interessasse”. Giacimento di biodiversità è l’Amazzonia: a Carlo che gli rammenta il discorso pronunciato a Puerto Maldonado e il valore riconosciuto alla spiritualità e alla cultura dei popoli indigeni, Francesco parla di “inculturazione”.
Noi possiamo pregare tutti alla stessa maniera, ma questo distrugge la biodiversità umana, che è anzitutto culturale. No! Ognuno preghi secondo la propria cultura! E celebri i sacramenti secondo la propria cultura: nella Chiesa ci sono più di venticinque riti liturgici differenti, che sono nati in culture diverse.
Portare il Vangelo nel mondo significa inculturarlo
Il Pontefice ricorda le critiche ricevute dalla sua affermazione “abbiamo bisogno di una Chiesa Amazzonica” e poi quelle scandalizzate dei teologi romani a Matteo Ricci, il missionario gesuita che voleva “inculturare” il Vangelo in Cina, “accettando anche qualche rituale cinese”. “La Chiesa non lo capì – spiega con disappunto – chiudendo di fatto le porte al Vangelo in Cina”.
“Benedetto XVI, un rivoluzionario”
Il primo dialogo si chiude con Carlo Petrini che elogia i Missionari della Consolata e la loro testimonianza del Vangelo attraverso un ospedale per gli Indios Yanomani, nell’Amazzonia brasiliana, senza fare proselitismo, e Papa Francesco che ricorda come sia stato Benedetto XVI, ad Aparecida, ad affermare che “la Chiesa cresce non per proselitismo ma per attrazione, cioè per testimonianza”, condannando così il proselitismo.
Perciò mi arrabbio quando dicono che Benedetto è un conservatore, Benedetto è stato un rivoluzionario! In tante cose che ha fatto, in tante cose che ha detto, è stato un rivoluzionario.
Verso il Sinodo panamazzonico
Il secondo incontro avviene il 2 luglio 2019, quando mancano tre mesi al Sinodo dei vescovi per l’Amazzonia. Il padre di “Slow food”, che il quella occasione riceverà l’invito a partecipare all’assemblea come uditore, chiede al Papa cosa si aspetti, e Francesco risponde: “Che abbia un impatto dirompente”. Perché “c’è bisogno di accendere discussioni fertili e proficue”, “di mettere in circolo energie e idee”. Smentisce che sia organizzato per “consentire ai preti amazzonici di sposarsi”. Vescovi ed esperti di tutto il mondo, e rappresentanti dell’Amazzonia, spiega, si confronteranno “sui grandi temi dei nostri giorni”: “ambiente, biodiversità, inculturazione, rapporti sociali, migrazioni, equità e uguaglianza”. Il Pontefice rivela di aver voluto “invitare anche qualche prete e vescovo un po’ conservatore”, perché “se non ci sono opinioni diverse il dibattito è sterile e si rischia di non fare alcun passo avanti”. C’è bisogno, spiega, “del pensiero e delle risorse di tutti”.
Non basta l’ambientalismo, serve giustizia sociale
I grandi temi da discutere, ricorda Papa Francesco, sono tutti affrontati nella Laudato si’
Non si tratta di ambientalismo, che per quanto nobile non è sufficiente. Qui stiamo parlando di quale modello di convivenza e di futuro abbiamo e di come costruirlo: in gioco c’è l’enorme questione della giustizia sociale che ancora oggi, nel mondo interconnesso e apparentemente prospero in cui viviamo, è ben lontana dall’essere realizzata.
Greta e la mobilitazione dei giovani, “anche per il presente”
Petrini, promotore di “Terra Madre”, rete ecologista “di contadini, pescatori, artigiani, cuochi, ricercatori, indigeni, pastori”, chiede al Papa come vede il movimento dei giovani nato dalla ragazzina svedese Greta Thunberg. Francesco approva, e cita gli slogan dei giovani, come “il futuro è nostro e non vostro”. Gli interessa poco sapere se Greta sia “spinta da altri”: se il suo attivismo consente a milioni di giovani di mobilitarsi “non c’è che da gioire”. “Mi interessa la reazione dei ragazzi – chiarisce – oltre che il futuro, loro devono prendersi il presente”.
Loro sono coscienti che questa civiltà e questo modello stanno lasciando loro solo le briciole e che se non agiscono ora in prima persona rischiano di trovarsi nei guai.
No al populismo, che usa gli istinti di chi è in difficoltà
Il dialogo si sposta sulle accuse di “buonismo” rivolte a Papa Francesco per il suo impegno su accoglienza e integrazione dei migranti. Il Papa cita don Chisciotte di Cervantes e spiega che “non bisogna rispondere né lasciarsi intimidire, perché gli attacchi sono il segnale che si sta facendo la cosa giusta”. A chi dice che “sto perdendo la rotta perché ho accolto i rom in Vaticano”, chiede: “Ma questa chiusura dove porta, che cosa ci aspetta? Viviamo in un’Europa che non fa più figli, che si chiude violentemente all’immigrazione e si dimentica della sua storia fatta di migrazioni durate secoli”.
L’egoismo anti-migranti respinto con carità e gentilezza
Da dove viene allora, chiede Petrini, questo nuovo rigurgito di razzismo anche verso giovani atleti, figli di migranti, con insulti e diffidenza? Non siamo più capaci di empatia e vicinanza? Per Papa Francesco è una tendenza momentanea, ma comunque preoccupante…
Una corrente di egoismo che fa male e va respinta con la carità e la gentilezza. (…) Oggi le priorità sono cambiate. Vogliamo prima viaggiare, vogliamo comprarci la casa, dobbiamo fare altre cose che nella cultura di oggi sono più importanti e hanno la precedenza. (…) Che cosa ci aspetta in futuro? Senza figli e senza migrazioni che cosa ci aspetta?
La globalizzazione buona è poliedrica e salva le identità
Eppure, prosegue il Pontefice, in Italia sono spesso le donne filippine, bambinaie e governanti, “quelle che trasmettono la fede e la mantengono viva” con l’esempio. Una diversità che va mantenuta, allora. Papa Francesco ribadisce la sua contrarietà a quella che chiama “globalizzazione sferica”.
La globalizzazione è buona se è poliedrica, cioè se ogni popolo è unico e mantiene la propria identità. Appiattire le differenze fa solo male e non serve a nulla, è una gigantesca perdita per tutti.
Il cibo, costruttore di ponti e amicizie
Petrini sposta l’attenzione sul cibo, “strumento per la costruzione di ponti”, e Francesco ricorda che per creare un rapporto di amicizia “bisogna mangiare insieme molte volte”, perché il mangiare, se non si spettacolarizza l’atto e non si mette al centro il cibo per il cibo, ma la relazione tra le persone, “fa da tramite di valori e culture”. Segue uno scambio di battute sul matrimonio tra cucina piemontese e argentina nella famiglia Bergoglio negli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso, con Jorge Mario adolescente, che mescolava cappelletti e asado, e poi bagna cauda e tanta polenta.
Chiesa e piacere: un bene che viene da Dio
A favore di un piacere del cibo che “non è abbondanza ma morigeratezza”, l’agnostico ospite stuzzica il Pontefice sostenendo che “la Chiesa cattolica ha sempre un po’ mortificato il piacere, come se fosse qualcosa da evitare”. Papa Francesco non è d’accordo, e ricorda che la Chiesa ha condannato “il piacere inumano, volgare”, ma ha accettato quello “umano, sobrio”.
Il piacere arriva direttamente da Dio, non è cattolico né cristiano né altro, è semplicemente divino. Il piacere di mangiare serve per far sì che mangiando ci si mantenga in buona salute, così come il piacere sessuale è fatto per rendere più bello l’amore e garantire la prosecuzione della specie.
Dal cibo al cinema: il pranzo di Babette
Dal cibo al cinema il “trait d’union” è “Il pranzo di Babette”, film amato da entrambi. “E’ uno dei più belli che abbia visto” conferma il Papa, “un inno alla carità cristiana, all’amore”, che “riesce a far percepire quel piacere divino troppo a lungo erroneamente soffocato”. “Sono un appassionato” di cinema, confida, e ricorda che da ragazzo è cresciuto a neorealismo italiano, tre pellicole alla volta viste con la famiglia.
Riflessioni sulla pandemia
L’ultimo incontro a Casa Santa Marta tra Papa Francesco e Carlo Petrini è del 9 luglio di questo 2020, e dal Sinodo panamazzonico si passa alla pandemia di Covid-19. Il gastronomo-scrittore parla della sua partecipazione all’assemblea dei vescovi come di “un’esperienza straordinaria”. “Ho visto una Chiesa diversa da come me la immaginavo: una Chiesa coi piedi per terra, molto viva”. Ma ad un’umanità prostrata da questa emergenza sanitaria, aggiunge, servono ora parole di speranza. E il Papa ricorda che l’umanità è “calpestata da questo virus e da tanti virus che noi abbiamo fatto crescere”, “virus ingiusti: un’economia di mercato selvaggia, un’ingiustizia sociale violenta”.
Una nuova economia, nuovo protagonismo dei popoli
Per trovare speranza, per uscire migliori da questa crisi, guardiamo alle periferie, è il suo invito, “dove si gioca il futuro”. Decentrandosi. Per Francesco ora serve…
Una politica che dica mai a un’economia selvaggia di mercato, mai alla mistica delle finanze a cui non ci si può aggrappare perché sono aria. Un nuovo modo di intendere l’economia, un nuovo protagonismo dei popoli.
E’ cresciuta la coscienza della Laudato si’
Si torna a parlare della Laudato si’, con Petrini convinto che con questo “sconquasso” l’Enciclica “è ancora più attuale di prima”. Sì, conferma il Pontefice, “è cresciuta la coscienza della Laudato si’'". I pescatori di San Benedetto del Tronto che l’anno scorso “mi hanno detto” di aver raccolto in mare “sei tonnellate di plastica in una sola barca”, ricorda, “hanno preso coscienza e hanno capito che dovevano pulire il mare”. E ai petrolieri ricevuti nel 2019 che gli spiegavano che se si mette da parte ora il petrolio “ci sarà una seconda crisi” degli anni Trenta, risponde che è vero, ma “ci vuole la saggezza di fare le cose lentamente, senza togliere il lavoro. Perché il lavoro è come l’aria della nostra cultura, senza il lavoro l’uomo diminuisce...”
Tempo di cambiare
L’ospite gli ricorda che se tutti “auspicano un cambiamento”, dopo la pandemia, purtroppo invece si tende a tornare “agli stessi valori di prima”.
Il Concilio da accettare e la "Teologia della Prosperità"
Il fondatore di “Slow food” sposta l’attenzione sui grandi profeti italiani del secolo scorso, da don Milani a don Mazzolari, da don Tonino Bello ad Arturo Paoli, che “adesso, per fortuna – commenta Papa Francesco - vengono recuperati”, anche grazie al Concilio Vaticano II. Che, lamenta, “non è stato ancora accettato cinquant’anni dopo, da tanta gente che cerca di andare indietro”. Siamo a metà strada, le reazioni più forti, spiega, vengono “da una concezione del liberalismo economico”, simile a quello “del Cristianesimo della Teologia della Prosperità. Quella non è la strada. Anzi, la strada è quella della Teologia della Povertà!”
Vecchi con i giovani, i genitori di oggi sono deboli
Francesco giustifica il suo insistere tanto sul “dialogo fra i vecchi e i giovani” con il fatto che “la generazione dei genitori di oggi”, “con questa cultura del benessere, ha perso la memoria delle radici, ma i vecchi ce l’hanno ancora”. Se questi genitori sono indeboliti da “benessere e consumismo”, alla scuola e all’università spetta il compito di “riprendere i tre linguaggi umani: quello della mente, quello del cuore e quello delle mani. Ma in armonia!”. Altrimenti “formerà tecnici che forse con lo sviluppo saranno sostituiti dall’intelligenza artificiale che non ha cuore e non sa accarezzare”.
L’uomo maturo è quello che gioca coi figli
La chiusura è dedicata ancora all’educazione. Il Pontefice ricorda che un suo “grande professore di filosofia” diceva che “se un uomo non sa giocare con i bambini, non è maturo”. E che lui, da confessore, domandava sempre ai genitori: “Ma lei gioca con i suoi figli?”.
E’ quella, la vera poesia! Se un papà non è poeta, non saprà educare bene il figlio, ma con questa poesia della gratuità, sì.
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