I Papi e le catacombe
Laura De Luca - Città del Vaticano
Parlando del sabato santo, una volta papa Benedetto XVI lo ha definito “il giorno dell’assenza”: il suo abisso di silenzio ci parla. Anche noi abbiamo spesso a che fare con l’oscurità divina. Gli stessi santi vivono questa penombra e ne traggono motivo per riaccendere la loro fede
La dinamica luce/ombra, parola/silenzio, rivelazione/nascondimento ben si adatta a tutti i cammini di fede. E in questo senso le catacombe, luogo di sepoltura e poi di rifugio e di preghiera per le prime comunità cristiane perseguitate rappresentano un promemoria importante per i nostri tempi..
Visitando questi monumenti, si viene a contatto con suggestive tracce del Cristianesimo dei primi secoli e si può, per così dire, toccar con mano la fede che animava quelle antiche Comunità cristiane. Percorrendo le gallerie delle catacombe, si scorgono non pochi segni dell’iconografia della fede: il pesce, simbolo del Cristo; l’àncora, immagine della speranza; la colomba, rappresentazione dell’anima credente e, accanto ai nomi sui sepolcri, frequentissimo l’augurio "in Christo".
Così GPII, venerdì 7 giugno 1996, parlando ai membri della Pontificia Commissione di Archeologia sacra. Sì, le catacombe, i loro silenzi, il loro respiro secolare di muffe ci incoraggiano e il loro magnifico paradosso è che dalla loro penombra ci spingono alla luce, proprio ad annunciare quel Cristo che secoli fa era invece … clandestino.
E qui a Roma, in quei cimiteri peculiari che sono le catacombe, avvertiamo, come in nessun altro luogo, i legami profondi con la cristianità antica, che sentiamo così vicina. Quando ci inoltriamo nei corridoi delle catacombe romane - come pure in quelli dei cimiteri delle nostre città e dei nostri paesi -, è come se noi varcassimo una soglia immateriale ed entrassimo in comunicazione con coloro che lì custodiscono il loro passato, fatto di gioie e di dolori, di sconfitte e di speranze. Ciò avviene, perché la morte riguarda l’uomo di oggi esattamente come quello di allora; e anche se tante cose dei tempi passati ci sono diventate estranee, la morte è rimasta la stessa.
Così Benedetto XVI nell’omelia della Messa di suffragio per i cardinali e i vescovi defunti, il 3 novembre 2012. Gli fa eco Giovanni Paolo II sempre rivolgendosi alla Pontifica Commissione di Archeologia Sacra nel 1996.
Come non commuoversi dinanzi alle vestigia, umili ma così eloquenti, di questi primi testimoni della fede? Come non rimanere edificati, ad esempio, davanti al sepolcro della giovane Agnese sulla via Nomentana o a quello del diacono Lorenzo nelle catacombe del Verano?
Le catacombe: luoghi che accolsero le speranze e il vigore dei primi seguaci di Cristo… In una sua visita alle catacombe romane di Domitilla del 12 settembre 1965, in un discorso purtroppo non conservato in audio, Paolo VI disse che le catacombe “sembrano raccogliere come nessun altro luogo sacro la parola evangelica e sembrano a noi ripeterla e spiegarla”. E le definì “monumento parlante”.
Per noi sono il ricordo d’una lunga storia di nascondimento, di impopolarità, di persecuzione, di martirio, a cui la Chiesa nei primi secoli del cristianesimo fu sottoposta, a Roma e in tante parti del suo Impero; e nello stesso tempo sono il quadro e il ricordo d’un’intimità religiosa, personale e collettiva, estremamente bella e feconda, d’una tranquilla ed umiliata professione di fede, che sarà per sempre esemplare nei secoli successivi, e d’un’invincibile convinzione che Cristo è la verità, Cristo è la salvezza, Cristo è la speranza, Cristo è la vittoria; convinzione che non potrà tollerare d’essere scossa, d’essere piegata, d’essere negata per lusinghe, minacce, castighi che le fossero intimati o inflitti. Qui la libertà della fede, che è libertà dello spirito, ebbe le sue non timide, ma forzatamente nascoste affermazioni, qui il cristianesimo maturò la coscienza del suo irrinunciabile impegno, qui la sfida non clamorosa, non temeraria, non offensiva alle forze negatrici del mondo circo. stante, fossero pure legalizzate dalla ferrea parola del magistrato: «non licet esse christianos»: non è lecito che vi siano cristiani; qui il cristianesimo affondò le sue radici nella povertà, nell’ostracismo dei poteri costituiti, nella sofferenza d’ingiuste e sanguinose persecuzioni; qui la Chiesa fu spoglia d’ogni umano potere, fu povera, fu umile, fu pia, fu oppressa, fu eroica. Qui il primato dello spirito, di cui ci parla il Vangelo, ebbe la sua oscura, quasi misteriosa, ma invitta affermazione, la sua testimonianza incomparabile, il suo martirio.
Qui, nel nascondimento, proprio nel nascondimento ovvero nella clandestinità, la testimonianza efficace, la sfida più grande per i cristiani. Così Giovanni Paolo II sempre alla Pontificia Commissione Archeologia Sacra nel 1998…
Le catacombe, mentre presentano il volto eloquente della vita cristiana dei primi secoli, costituiscono una perenne scuola di fede, di speranza e di carità. (…) Questa carità collettiva rappresentò uno dei punti di forza delle comunità cristiane dei primi secoli e una difesa contro la tentazione di tornare alle antiche forme religiose. Le catacombe, pertanto, suggeriscono al pellegrino questo sentimento di solidarietà indissolubilmente connesso alla fede ed alla speranza. La stessa definizione di coemeteria, "dormitori", dice che le catacombe erano considerate dei veri e propri luoghi di riposo comunitari, dove tutti i fratelli cristiani, indipendentemente dal loro grado e dalla loro professione, riposavano in un abbraccio largo e solidale, attendendo la risurrezione finale.
Luogo di preghiera nonché tombe dei primi martiri, le catacombe rappresentano continua meta di pellegrinaggio da ogni parte del mondo. Ma sono anche il costante, attualissimo promemoria che le persecuzioni non sono finite, Ancora Paolo VI, nel 1965, negli anni in cui regimi dichiaratamente atei perseguitavano apertamente i cristiani. Oggi, in altri tempi e con altri soggetti, la situazione non è cambiata. Le catacombe vivono ancora…
Poi, per troppo facile associazione di idee, qui penseremo a quelle porzioni della Santa Chiesa che ancor oggi vivono nelle Catacombe, e per esse in modo particolare Noi, insieme con voi, oggi pregheremo. Le analogie reali fra la Chiesa che oggi stenta, soffre, e a mala pena sopravvive nei Paesi a regime ateo e totalitario e quella delle antiche catacombe sono evidenti. Identico è il motivo della resistenza della Chiesa di allora e di oggi: difendere la Verità, e insieme rivendicare il sacro diritto di ogni uomo ad una sua propria responsabile libertà, soprattutto nel campo fondamentale della coscienza e della religione. Identico l’intento degli antichi e moderni persecutori, che, con la violenza fisica o con il peso d’un apparato legale, giudiziario o amministrativo, vogliono imporre la «loro verità» e soffocare ogni contraria manifestazione del pensiero e delle sue oneste manifestazioni.
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